Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/02/2017, a pag. 14, con il titolo "Uccise un attentatore palestinese, diciotto mesi al soldato israeliano", la cronaca di Giordano Stabile.
A destra: Elor Azaria
Prima del pezzo di Stabile, riprendiamo le tre titolazioni che dovrebbero indignare tutti coloro che dai giornali si aspettano il rispetto dei fatti. Il palestinese che aveva già accoltellato un soldato non è più un terrorista - è per questo che Azaria gli aveva sparato - ma un semplice "palestinese ferito"(Avvenire). Idem (IlSole24Ore), il giornale di Confindustria "uccise un palestinese". Sul Manifesto diventa un "soldato killer".
Che potesse avere poi una cintura esplosiva, non viene mai citato. Quale condotta deve seguire un soldato di fronte a un terrorista? chiedergli u n documento di identità?
La sentenza è politicamete corretta, può però rappresentare un pericoloso precedente.
Avvenire: "Un anno e sei mesi di prigione al soldato che sparò al palestinese ferito"
Il Sole 24 Ore: "Uccise un palestinese, soldato condannato".
Il Manifesto: "Israele si giudica e si 'grazia'. 18 mesi al soldato-killer".
Ma l'articolo che più disinforma sull'argomento è oggi quello di Michele Giorgio sul Manifesto, secondo cui "Israele si giudica e si 'grazia' ": un controsenso evidente, dal momento che Azaria è stato condannato a 18 mesi di reclusione. Si può essere d'accordo o meno sulla condanna e se la sua durata sia congrua, ma non si può certo dire che ci sia stata una "grazia". Il Manifesto mente esplicitamente, ma pur di attaccare e demonizzare Israele, questo e altro. Michele Giorgio passa poi a descrivere i fatti, dipinti come una "esecuzione" da parte di Azaria. Come al solito, un articolo colmo del solito odio.
Michele Giorgio
Ecco l'articolo della Stampa:
Giordano Stabile
La condanna è arrivata, ma per omicidio colposo, e la pena è di 18 mesi. Il 5 marzo, salvo sorprese legate alla presentazione dell’appello, per il sergente Elor Azaria, 21 anni, si apriranno le porte del carcere. Poco meno di un anno fa, il 24 marzo del 2016, a Hebron, ha ucciso un coetaneo palestinese, Abdel Fattah al-Sharif: un colpo di fucile a distanza ravvicinata a un giovane che aveva appena accoltellato un altro militare di pattuglia, era stato ferito gravemente e giaceva a terra.
Il processo ha infiammato, spaccato Israele. Il premier Benjamin Netanyahu ha chiesto da subito che Azaria venisse graziato. I partiti religiosi conservatori, con il ministro della Giustizia Naftali Bennet in testa, hanno guidato la protesta di piazza, con minacce pesanti ai giudici, in particolare Maya Heller, che guidava la corte marziale a Tel Aviv. In centinaia hanno assediato il tribunale anche ieri mattina, per l’ultima udienza.
Il sergente Azaria, 21 anni, con doppia nazionalità israeliana e francese, è il primo soldato a essere condannato per omicidio da oltre 10 anni. Il soldato si è sempre difeso sostenendo di temere che al-Sharif indossasse un corpetto esplosivo. «L’accusato - ha invece sentenziato la Heller - ha colpito un terrorista senza giustificazione. In contrasto con un valore supremo, quello della vita».
La giuria, composta da altri due giudici, ha però riconosciuto al sergente, ora degradato a soldato semplice, diverse attenuanti: la situazione complessa in cui si era venuto a trovare, «in territorio ostile», nel momento di massima intensità della cosiddetta «Intifada dei coltelli» scoppiata nell’ottobre 2015, e una certa disorganizzazione da parte dei suoi superiori diretti. Uno dei giudici aveva chiesto per il soldato una pena compresa fra 30 e 60 mesi, più in linea con quella avanzata dalla pubblica accusa.
Il caso Azaria era esploso dopo la pubblicazione di un filmato registrato dai militanti di una ong filo-palestinese. Si vedeva Al-Sharif quasi immobile, con l’arma non più a portata di mano, il sergente che prima spara con il fucile e poi, con un calcio, avvicina il coltello al corpo. Israele si è spaccata sulla sorte del militare, con il 67 per cento favorevole al suo perdono e la sinistra, soprattutto le Ong dei diritti umani, che chiedevano una pena severa. Un portavoce del governo palestinese ha descritto la sentenza come un «semaforo verde» a «crimini di guerra». È stata «un’uccisione a sangue freddo», hanno insistito i familiari di Al-Sharif.
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