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La Stampa Rassegna Stampa
21.02.2017 Nel segno della Menorà: una mostra a Roma sul simbolo dell'ebraismo
Commento di Ariela Piattelli

Testata: La Stampa
Data: 21 febbraio 2017
Pagina: 28
Autore: Ariela Piattelli
Titolo: «Nel segno della Menorà s'illumina il dialogo tra le fedi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/02/2017, a pag. 28, con il titolo "Nel segno della Menorà s'illumina il dialogo tra le fedi", il commento di Ariela Piattelli.

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Ariela Piattelli

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Quando si accendeva la Menorà nel tempio di Gerusalemme, tutta la città si illuminava. È una delle leggende attorno al candelabro ebraico, che con una storia plurimillenaria dalla Torà passa per Gerusalemme e Roma, dal Tabernacolo di Mosè arriva al Museo del Louvre. Il viaggio della lampada a sette bracci, simbolo identitario del popolo ebraico, lo racconta una mostra, imponente sia per ciò che espone, opere e esemplari da musei e collezioni private del mondo, sia per quel che rappresenta, ovvero la prima collaborazione tra Stato del Vaticano e Comunità Ebraica di Roma. Segno di dialogo, al lavoro. «Menorà: culto, storia e mito», dal 15 maggio al 23 luglio a Roma, presso il Braccio di Carlo Magno dei Musei Vaticani e il Museo Ebraico, è a cura di Arnold Nesselrath, delegato per i Dipartimenti Scientifici e i Laboratori di Restauro dei Musei Vaticani, di Alessandra Di Castro, direttrice del Museo Ebraico di Roma, e dello storico dell’arte Francesco Leone.

«La Menorà è come se fosse il logo del popolo ebraico», ha detto il rabbino capo Riccardo Di Segni durante la presentazione di ieri al Museo Ebraico di Roma. «La mostra è un importante segno di dialogo». Il candelabro a sette bracci è un simbolo che si configura come messa in atto del dialogo «ed è la sua luce che conduce tutti noi», afferma il cardinale Giuseppe Bertello. «Papa Francesco ci dice di creare ponti», spiega la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta. «Questa mostra, importante sia dal profilo artistico sia di relazioni tra le istituzioni, è un ponte. D’altra parte la bellezza unisce».

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L'Arco di Tito, a Roma

Quaranta chili d’oro
Un’équipe di studiosi ha lavorato tre anni per arrivare all’obiettivo. «È segno di collaborazione riuscita tra ebrei e cristiani», aggiunge il cardinale Kurt Koch, «nella città in cui vivono gli uni accanto agli altri da oltre venti secoli». Roma, dove la Menorà da storia è diventata leggenda, «è la location naturale di questa mostra», spiega il presidente della Comunità Ebraica Ruth Dureghello. «Le religioni si mettono in gioco per un reciproco cammino».

Quello della Menorà è un viaggio avvincente, costellato di colpi di scena e capovolgimenti, come nella sceneggiatura di un kolossal. La mostra, attraverso 130 opere, ne segue le tracce dall’antichità fino al XXI secolo. Il candelabro a sette bracci fa la sua prima apparizione nel libro dell’Esodo, quando Dio ordina a Mosè di forgiarla in oro per il Tabernacolo, poi arriva nel Tempio di Gerusalemme come segno dell’alleanza con il popolo d’Israele, e con Tito nel 70 d.C. approda a Roma assieme agli ebrei fatti schiavi, come è immortalata nell’arco di trionfo dedicato all’imperatore; quindi finisce nel Templum Pacis, e in seguito è razziata dai vandali di Genserico. Da lì se ne perdono le tracce, e così il candelabro, quaranta chili d’oro puro in un’unica colata, esce dalla storia per entrare nel mito. Del suo destino non vi è più traccia, una leggenda la vuole inabissata nel Tevere.

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«La prima raffigurazione della Menorà è sul conio, in mostra, di una moneta del primo secolo prima di Gesù in Palestina», spiega lo studioso Amedeo Spagnoletto «anche per questo è stata scelta dallo Stato d’Israele come simbolo che da religioso e divenuto nazionale». Un pezzo unico che sarà in mostra è la pietra dell’antica sinagoga di Magdala risalente al I secolo a.C. «È a Roma, in età imperiale, che la Menorà diventa il simbolo più rappresentativo della cultura e della religione ebraica», spiega Leone, «nel momento in cui si definiscono i simboli del cristianesimo. Ed è così che l’oggetto inizia a comparire, e a moltiplicarsi in ogni dove, a Oriente e a Occidente». Iscrizioni nelle catacombe ebraiche, gioielli, pietre e monete. La lampada a sette bracci compare ovunque. E dal Medioevo la riprende anche il cristianesimo.

«Con la Menorà i cristiani evocano la loro radice ebraica e la storia dell’Impero Romano», spiega Nesselrath. «Per i cristiani è sintesi dell’ebraismo e di ciò che hanno fatto gli imperatori. La mostra è un segno di pace». Così ecco il candelabro a sette bracci nelle chiese: in mostra alcuni monumentali esemplari dal Santuario della Mentorella, il più caro a Giovanni Paolo II, dal Duomo di Prato e da quello di Pistoia, e due candelabri del XVIII secolo provenienti da Palma di Maiorca.

Un simbolo eterno
Nelle opere d’arte la Menorà diventa una parte che racconta il tutto, spiega Alessandra Di Castro: «La sua forza sta nel suo rapporto dialettico con i tempi che cambiano». In pittura gli artisti la vogliono per raccontare la distruzione del Tempio di Gerusalemme: in mostra i dipinti di Giulio Romano, Andrea Sacchi, Marc Chagall e Nicolas Poussin, provenienti dal Louvre di Parigi e dall’Israel Museum. «La complessità del linguaggio artistico contemporaneo investe la Menorà», dice Leone. «In mostra anche inedite forme espressive».

Alla «call» hanno risposto molti musei internazionali: oltre al Louvre, tra gli altri, la National Gallery di Londra, il Kupferstichkabinett di Berlino, il Jewish Museum di New York, la Biblioteca Ambrosiana di Milano e i musei ebraici italiani; quello di Casale Monferrato manda uno Shiviti del 1700, ovvero un salmo rappresentato come una Menorà. E per mostrare come l’oggetto fosse anche nel quotidiano, ci sarà una medaglietta da automobile, commissionata da una contessa padovana negli Anni 20.

«La Menorà rappresenta la tensione alla luce e alla spiritualità, è la tensione messianica, di redenzione, e del ritorno in Israele», dice Spagnoletto. «A differenza di altri simboli che hanno perso vigore, ha superato la crisi “post Tempio”, ed è diventata eterna». La tiene viva la sua luce.

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