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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
20.02.2017 Berlino: crescono le comunità ebraica e islamica. Opportunità e problemi
Roberto Brunelli accentua le prime, nasconde i secondi

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 20 febbraio 2017
Pagina: 12
Autore: Roberto Brunelli
Titolo: «Berlino città aperta, ora anche per gli ebrei»

Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 20/02/2017, a pag. 12, con il titolo "Berlino città aperta, ora anche per gli ebrei", il commento di Roberto Brunelli.

L'articolo di Brunelli non disinforma, ma non accentua come dovrebbe - per rendere l'idea di un quadro complessivo - i problemi legati all'immigrazione dai Paesi musulmani. Un'analisi equilibrata dovrebbe mettere in rilievo i successi dell'integrazione (laddove ci siano), ma anche gli insuccessi legati all'ostilità dell'islamismo per qualsiasi cultura differente.

Ecco l'articolo:

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Per le strade di Neukolln, Berlino

"Come vede, qui ci sono anche dei tedeschi", sorride un signore biondo che corre lungo la Sonnenallee. Ormai è una battuta, qui a Neukoelln. Alzi lo sguardo, e vedi una signora velata di nero che avanza frettolosamente mentre tiene per mano i suoi bambini. Macellerie "halal", negozi con abiti matrimoniali con dei niqab in vetrina, profumi di kebabari che si confondono in maniera strana con il freddo pungente di un febbraio sotto la media, poi ancora pasticcerie turche e café libanesi, ragazzi siriani che fumano in silenzio seduti su un muretto davanti all'edicola, ma anche venditori di "Bockwurst", la salsiccia tedesca più tedesca che ci sia.

Ci sono 139 mila abitanti a Neukoelln, il quartiere più multiculturale di Berlino. Una città nella città. Di questi, circa 65 mila vengono da paesi di cultura islamica. Per qualcuno è il nuovo paradiso dell'incontro dei popol i e delle religioni, per altri una sorta di banlieue di frontiera, un misto tra il Bronx e il Cairo. Per i simpatizzanti della destra estrema, è più o meno l'inferno. Per artisti, intellettuali, filosofi "à la page" e studenti, un paradiso. Con qualche problema, ma un paradiso. Uno strano incrocio di realtà - o stereotipi, dipende dai punti di vista - in apparenza così lontani tra loro: la confusione mediterranea e il proverbiale ordine teutonico, gli odori levantini e il bus in perfetto orario, l'hummus e la birra.

Il meltin' pot di Neukoelln Non lontano dalla Sonnenallee c'è il Café Gordon. Lo gestiscono Doron Eisenberg e Nir Ivenizki. Esatto. Il loro nome non vi trae in inganno: sono ebrei, ovviamente. Il Café Gordon, che deve il suo nome ad una strada di Tel Aviv, potresti immaginartelo bene a New York, e invece sta qui a una manciata di passi da un'associazione palestinese. È una delizia per il vero hipster: oltre a offrire le caratteristiche pietanze come la Shakshuka, il Sabih o il Bouerkas, il tutto innaffiato da Ginger Ale, oppure una specie di cioccolata vegana, qui si viene per ascoltare musica elettronica, volendo persino in vinile. Sostanzialmente, si tratta di un negozio di dischi, anche se sui generis. E forse non è poi una scoperta così sorprendente trovarlo qui, in questa specie di Neo-Arabia germanica. "Perché il numero di ebrei che hanno deciso di trasferirsi a Neukoelln è in continua crescita", come ci spiega Alekos Hofstetter, un artista berlinese molto attento a tutte le evoluzioni e contorsioni sociali della sua città. "Soprattutto giovani, certo, attirati dagli affitti ancora relativamente bassi".

L'attrattiva non è solo Berlino in quanto città, al momento, più "trendy" d'Europa. Non sono solo le gallerie d'arte, i locali alternativi di Prenzlauer Berg o i bar di Kreuzberg, ritrovo della Bohème e, un tempo, dei punk tedeschi. Non solo i musei di Mitte e il fascino strano delle vestigia del Muro che aveva diviso in due la città e il mondo intero. Per quanto possa sembrare paradossale, è proprio Neukoelln il magnete più forte. Una questione di atmosfera.

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Jehuda Teichtal a Neukolln

Il cibo, i locali, i sapori. "Qualcosa che assomiglia al mondo da cui vengono. Qualcosa che, straordinariamente, li fa sentire più vicino casa", spiega Hofstetter. Il che, inutile negarlo, fa ancora più impressione quando l'occhio ti cade sulle "pietre d'inciampo", che anche qui ricordano i nomi delle vittime dell'orrore nazista: ebrei, certo, ma anche rom e sinti, attivisti socialdemocratici, sindacalisti, uomini di chiesa tra gli altri. Una mostra, aperta da poco, racconta le loro storie, proprio al Municipio di Neukoelln. E non è un caso. "E una cosa straordinaria che siamo qui, no?", esclamava il rabbino ortodosso Jehuda Teichtal, invitato di recente dai giornalisti della Zeit a farsi un giro per il quartiere, giust'appunto lungo la Sonnenallee. Il suo entusiasmo ha un senso che si può comprendere bene, nella città dove il bunker di Hitler (completamente ricostruito) è diventato una delle più richieste attrazioni turistiche.

In realtà, qualche problema il buon rabbino Teichtal l'ha avuto: sguardi di ghiaccio, una donna che sputa per terra al suo passaggio, qualche giovane in macchina che gli grida "ebreo" dal finestrino abbassato. Qualcuno penserà che passare di qui vestito da ortodosso, il che per Teichtal ovviamente non è una scelta, sia una sorta di provocazione. Qualcun altro ci racconta che molti ebrei portano un cappellino da baseball sopra la kippah. "La polizia ha segnalato che l'anno scorso a Berlino ci sono stati oltre 170 atti penalmente rilevanti a sfondo antisemita, la maggior parte messi in atto da estremisti di destra. Quasi tutti si sono verificati a Mitte, in centro, molti meno a Neukoelln o Spandau": così scrive sempre la Zeit

Il caso del libro di Armin Langer Com'è, come non è, mentre Parigi vive una sorta di piccolo esodo di cittadini d'origine israelitica dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan, Berlino registra una controtendenza. Ventimila, trentamila in tutta Berlino. Prevalentemente giovani e di buone letture, che cominciano a sentirsi un po' stretti in patria, anche grazie alla politica aggressiva di Netanyahu. Spesso ragazzi creativi, come quelli che si erano inventati, un po' di tempo fa, la pagina Facebook Olim Le Berlin, giocato su un gioco di parole provocatorio, fatta apposta per incoraggiare la migrazione verso la capitale tedesca invece che verso Israele. Cosa che ha fatto infuriare più d'uno, in patria. Certo, poi ci sono dei casi a parte. Uno di questi è Armin Langer. Ha scritto un libro, di cui si è molto discusso in Germania, dotato di un titolo ovviamente programmatico: Un ebreo a Neukoelln. Anche lui è considerato una specie di provocatore. Qui, in questo quartiere, il ventiseienne ha varato l'iniziativa "Salaam-Shalom", pensata per favorire il dialogo tra le religioni. Lui nega con decisione che queste strade siano una "no-go area" per ebrei, come ripete qualcuno. Della sua associazione fanno parte anche persone di credo islamico, atei, cristiani. Tempo fa ha organizzato una catena umana, con tanto di canti. Pare che sia stata una bella festa.

Ma c'è chi non vede di buon occhio la sua iniziativa. Gli dicono che vuole banalizzare un problema grave come l'antisemitismo di stampo islamico. Raccontano di bambini israeliani che subiscono le vessazioni dei compagni di famiglie musulmani appena rivelano di essere ebrei. "Ma il 98 per cento degli assalti a ebrei viene da estremisti di destra", ribatte lui. "A molti interessa più stigmatizzare i musulmani che difendere gli ebrei". Ungherese, con un breve passato di studi rabbinici, Armin sostiene che "qui gli ebrei non stanno peggio che a Charlottenburg", l'elegante quartiere borghese di Berlino.

Anche Daniel è ebreo. La sua famiglia, racconta, è originaria della Polonia. Lui è nato e cresciuto in Israele. Non osiamo chiedergli che fine hanno fatto i suoi nonni. Lui è entusiasta del clima che si respira a Neukoelln. "Io mi sento benissimo qui. Vorrei istituire delle gite organizzate per il quartiere. Funzionerebbero alla grande". Studia all'università e trova che "è tutto molto pacifico" in queste strade, tra Hermannplatz e la Karl-Marx-Strasse. Però qualcuno ha soprannominato Neukoelln "la Striscia di Gaza". Sbagliatissimo, dice lui. "Qui non ci sono barriere che dividano gli abitanti", taglia corto Daniel. C'è chi pensa che Neukoelln sia una specie di laboratorio. Un luogo dove sperimentare quello che la Germania potrà essere in un futuro neanche tanto lontano. "Con i suoi lati belli e quelli brutti", commenta l'autore Thomas Lindemann sulla Faz. "Se esiste una New York tedesca, allora è questa", è la sua tesi.

Una "storia di successo" malgrado i disoccupati In effetti, secondo un recente sondaggio, l'80 per cento degli abitanti di questa strana città-quartiere dice di trovarsi a proprio agio. C'è chi viene discriminato? Sì, soprattutto donne prese a male parole per il fatto di portare il velo. E ancora: "La maggioranza delle persone interpellate mostra un atteggiamento tollerante nei confronti delle persone di altre religioni o di altra origine etnica, così come nei confronti delle minoranze sociali". Un risultato a suo modo incoraggiante, nel paese che tra 2015 e 2016 ha visto entrare sul suo territorio circa un milione di migranti. Persino la criminalità - che pure non manca, ovvio - ha un che di epico, a Neukoelln: fa già un gran parlare di sé una superfiction qui ambientata - andrà in onda da maggio - che qualcuno ha già definito la "Gomorra" tedesca (la serie, non il libro).

Un laboratorio, si diceva. Gli abitanti del quartiere vengono da 160 paesi diversi. Persino l'autorevole Foreign Policy se n'è occupato, definendo questo strano quartiere una "success story", e questo nonostante che il 15 per cento dei suoi abitanti sta nelle liste di disoccupazione: tre punti più della media nazionale, va detto. Certo, un ruolo non secondario in tutto questo lo gioca il welfare tedesco: un posto all'asilo qui ce l'hanno tutti, anche chi ha mezzi modesti. Per quanto riguarda l'atmosfera di Neukoelln, oltre ai kebabari libanesi e i chioschi turchi, una parte importante ce l'hanno anche i "cool kids" israeliani, come li chiamano i giornalisti americani. Ragazzi che non considerano più un'opzione troppo ragionevole andare, per dire, in Ungheria, dove l'antisemitismo sta conoscendo un ritorno di fiamma. Anche Daniel si considera un "cool kid", questo è chiaro. Trova piacevole la confusione di Neukoelln. E quando ha bisogno di un prodotto di elettronica, lo compra in un negozio che si chiama "Al Aqsa Elektro". Sì, Al Aqsa, come la moschea di Gerusalemme. È gestito da palestinesi. "Ovviamente quando sono lì dentro non mi metto a gridare che sono ebreo".

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