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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Hamas ha un nuovo leader, ma il terrorismo rimane lo stesso 19/02/2017
 Hamas ha un nuovo leader, ma il terrorismo rimane lo stesso
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

Un manager non è un leader. Il primo è un professionista a cui compete la gestione, il suo ruolo è fare in modo che le attività di un’organizzazione siano gestite in modo intelligente e razionale, consentendo di raggiungere i propri obiettivi nel modo più efficiente possibile e di ottenere risultati ottimali con il minimo impiego di risorse. Un manager è un dipendente, per i cui servizi viene ingaggiato dagli azionisti di un’organizzazione finanziaria, o designato da un’organizzazione pubblica o governativa; viene nominato per un periodo di tempo limitato, e in caso di successo, i responsabili per l’organizzazione cercheranno di estendere il suo mandato; nel caso fallisca, avranno il dovere e la responsabilità di licenziarlo e assumere un altro manager.

Un leader è un manager il cui ruolo è molto più significativo. Deve gestire l’organizzazione come farebbe il dirigente professionale di cui sopra, ma la sua missione ha uno scopo molto più ampio: la sua personalità deve attrarre come simbolo e modello del ruolo, il suo comportamento deve essere un esempio per i subordinati e per coloro che valutano l’organizzazione dall’esterno. Deve essere fonte di ispirazione e speranza, deve incoraggiare quelli che hanno rinunciato, sostenere chi ha fallito, il suo ruolo di leader ha molti aspetti personali, mentali e psicologici assai più importanti di quelli che costituiscono i doveri di un manager, che sono principalmente di tipo tecnico. Un’organizzazione con un ambiente di lavoro calmo e tranquillo, i cui obiettivi sono finanziari, che utilizza l’ingegneria o la tecnologia e i cui risultati sono misurati in termini di denaro o di obiettivi reali e definiti (come ad esempio la costruzione di un ponte), richiede un manager. Un’organizzazione che al contrario, lavora in un contesto molto critico, i cui obiettivi riguardano la sfera religiosa, ideologica, nazionale e popolare, che avrà finalità determinate da emozioni, credenze, sentimenti e impulsi, il cui ruolo sarà quello di sostenere una lunga ed estenuante lotta, carica di vittime, questa organizzazione ha bisogno di un leader, perché le esigenze dei suoi membri - i suoi combattenti - sono di natura religiosa, ideologica o nazionale e sono raggiungibili dopo molte difficoltà. Pertanto, il successo o il fallimento di un manager si misurano sulla base degli obiettivi posti dall’organizzazione, raggiunti con gli strumenti a disposizione a un costo minimo, mentre il successo o il fallimento di un leader si misurano con la risposta alla domanda se sia riuscito a influenzare i membri dell’organizzazione e se hanno raggiunto il livello di disponibilità al sacrificio che gli obiettivi richiedono. Il manager si misura in base ai risultati, mentre il leader si misura dal modo in cui ha cercato di raggiungere l’ obiettivo e, soprattutto, se non l’ha raggiunto. Un Paese in pace ha bisogno di un buon manager, mentre un Paese in guerra ha bisogno di un vero leader.

Hamas diviso tra management e leadership

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Ismail Haniyeh

Nel giugno del 2007, circa 10 anni fa, Hamas aveva strappato il controllo su Gaza dopo una tempestosa lotta religiosa e ideologica contro Fatah e l’Autorità Nazionale Palestinese. Era costato un grande spargimento di sangue, con decine di membri delle forze di sicurezza dell’ANP uccisi in sparatorie e buttati giù dai tetti degli edifici. Hamas ha lavorato per istituire il primo Paese islamico sunnita secondo la scuola rivoluzionaria dei Fratelli Musulmani, funzionando da modello per gli altri rami della Fratellanza in Egitto, Tunisia, Siria, Giordania e altrove. Per i dieci anni della sua esistenza, lo Stato di Hamas è stato gestito da due forze opposte: da un lato, l’ideologia jihadista, i cui obiettivi sono liberare tutta la “Palestina dal fiume Giordano al Mediterraneo”, eliminare totalmente lo Stato ebraico e fondare sulle sue rovine uno Stato islamico con capitale “al-Quds al-Sharif”. Fino a quando questo obiettivo non sarà realizzato, secondo l’ideologia jihadista, si continuerà a lottare senza sosta. Dall’altra parte c’era la necessità di governare un Paese, di rifornirlo di alimenti, acqua, elettricità, benzina, lavoro, salute e sviluppo economico, per il bene degli abitanti. Questo è un fine che richiede ad Hamas la necessità continuare a vivere mantenendo uno stato di cessate il fuoco con Israele. Questi due poli opposti si riflettono nelle due parti della leadership del movimento: da un lato, i vertici dell’esercito di Hamas richiedono l’autorizzazione a continuare e addirittura ad allargare, il campo di applicazione del Jihad contro Israele, investendo nello sviluppo di missili, nell’acquisto di armi e di intelligence, continuando a scavare gallerie e ad addestrare una forza di combattimento, che è pronta a colpire Israele, ogni volta che non ha funzionato come la leadership militare di Hamas aveva previsto. Dall’altra parte c’è la leadership politica, i cui membri più anziani preferiscono l’attività politica, lo sviluppo dello Stato di Gaza, comprese le infrastrutture e i servizi in grado di rafforzare l’attività economica, civile. Naturalmente, i vertici politici vorrebbero rinviare il Jihad - in cui credono con tutto il cuore – ma in un futuro non meglio definito. Ismael Haniyeh, Primo Ministro durante questi primi dieci anni a Gaza, ha fatto da anello di congiunzione, da ponte tra i vertici politici e quelli militari. Ha agito da intermediario, è stato lui a trovare una forma di equilibrio tra i conflitti contro Israele e la costruzione dello Stato alla cui guida si trovava. Con discorsi entusiasmanti e arringhe calcolate, sapeva come soddisfare la intrinseca e radicata sete di Jihad che caratterizza Hamas dati i suoi precedenti tra i Fratelli Musulmani, ed il desiderio di vedere uno Stato funzionante a Gaza, in grado di fornire l’istruzione, l’energia elettrica, l’applicazione della legge e la salute. Ha creato l’immagine del jihadista che prende accordi con Israele, cosa per cui è stato duramente criticato dagli estremisti. Senza dubbio Haniyeh è riuscito nella sua ambizione di governare lo Stato di Gaza, creare le istituzioni e vederle in funzione giorno dopo giorno . Ha fornito un certo stato di benessere, riuscendo a costringere Israele a fornire viveri ed acqua, energia elettrica e carburante. Ha condotto tre guerre contro Israele (2008-09, 2012, 2014), ma ha portato a Gaza distruzione, sofferenza e morte. In termine di risultati, Haniyeh è stato un politico di successo, ma non è riuscito a guidare il Jihad, perché non è stato capace di spezzare lo spirito combattivo di Israele, sconfiggerlo militarmente o distruggerne il morale, non raggiungendo così l’obiettivo di Hamas, quello di distruggere Israele. Peggio ancora, è stato attento a rispettare il cessate il fuoco con Israele, ha arrestato e torturato salafiti che vi si opponevano, così che molti – all’interno del movimento di Hamas, ma anche all’esterno - hanno visto Haniyeh come se servisse gli interessi di Israele. Haniyeh ha avuto successo come manager, ma non come leader del Jihad ed era giunto il momento per lui di lasciare il suo posto a qualcun altro, qualcuno diverso da lui.

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Yehya al-Sinwar

L’organizzazione di Hamas ha cercato un leader, non un manager, qualcuno con il carisma e la capacità di influenzare le masse, riportare lo spirito del Jihad, qualcuno che fosse un modello capace di ispirare negli abitanti di Gaza la volontà di sacrificare la vita per raggiungere la meta suprema. L’uomo che è stato scelto è Yehya al-Sinwar (“Abu Ibrahim”), un ex detenuto del sistema carcerario israeliano, condannato a quattro ergastoli e liberato durante l’operazione per la liberazione di Gilad Shalit. Dal suo rilascio, ha raggiunto le alte sfere militari, conquistando il titolo di “capo dei nemici di Israele a Gaza”. E’ importante notare che il fatto di essere stato condannato al carcere a vita, e in particolare i suoi quattro ergastoli, gli hanno concesso lo status di un leader autentico e legittimo, come qualcuno che ha sacrificato la propria libertà per la comunità e per il Jihad. Al-Sinwar è nato nel 1962 nel campo profughi di Khan Younis da una famiglia che ha vissuto, prima del 1948, nella Ashkelon di oggi. Fu allievo delle scuole nel campo dell’ UNRWA, un fatto che dimostra ancora una volta - se qualcuno avesse ancora bisogno di prove - che l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite in parte finanziata dal contribuente statunitense, perpetua solo il conflitto arabo-israeliano e intensifica il terrorismo. Il suo background accademico è presso l’Università islamica di Gaza, un’altra istituzione jihadista dei Fratelli Musulmani, dove si distinse come attivista importante in diverse associazioni studentesche. Dal 1982, quando Israele controllava ancora Gaza, era stato messo in detenzione amministrativa più volte, accusato di istituire l’organizzazione della sicurezza di Hamas, Majad (onore) e, infine, fu condannato a quattro ergastoli. I palestinesi raccontano che ai suoi giudici israeliani egli aveva detto che avrebbe preferito la condanna a morte al carcere. Per gli uomini di Hamas in prigione con lui, era stato uno dei leader più seguiti e le sue opinioni su vari argomenti erano molto importanti per quelli che erano fuori. Al fine di ridurre il suo prestigio tra i membri di Hamas, il servizio carcerario lo spostava da una prigione all’altra, a volte mettendolo in isolamento, ma niente di tutto questo ha influenzato il suo status. Ha cercato di fuggire diverse volte ed è stato punito con l’ isolamento. Non vi è dubbio che egli sia un modello venerato, un ideale del combattente per il Jihad. Suo fratello, Muhammad al-Sinwar, è una figura di primo piano nell’ala militare di Hamas, e ha preso parte al rapimento di Shalit, nel tentativo di liberare il proprio fratello. Di recente, è stato nominato Capo della Striscia di Gaza del Sud, al posto di Raad al Atar, ucciso nell’Operazione “Scudo Protettivo” del 2014. Una volta liberato dopo lo scambio con Shalit, Al-Sinwar si è unito al braccio politico di Hamas in qualità di rappresentante dell’ala militare, insieme al suo amico di prigione, Ruhi Musteha, e i due militanti hanno fortemente influenzato i vertici politici del movimento di Hamas. Al-Sinwar si è presentato, negli ultimi anni, come un uomo che unisce una leadership militare incorrotta, pronta al sacrificio di sé, ad una leadership politica di vasta portata. Durante l’Operazione ”Scudo Protettivo”, è stato uno di quelli che più ha influenzato la gestione della guerra e le decisioni prese, sia durante i combattimenti che a guerra finita. La sua opinione, la testardaggine e la potente personalità, erano chiaramente visibili durante l’operazione; nel 2015 è stato nominato responsabile della geestione dei prigionieri israeliani nelle mani di Hamas e dei negoziati con Israele su questo tema specifico. Il suo compito era quello di sfinire Israele, per spingerne i leader a strisciare ai suoi piedi e accettare le sue condizioni, come la liberazione dei terroristi assassini, in cambio delle parti del corpo di Hadar Goldin e Shaul Oron, così come la liberazione di prigionieri vivi, Avera Mengistu e un altro, il cui nome non è stato reso pubblico. Sulla base del potere che Yehya al-Sinwar ha tra i militari e le ali politiche di Hamas, gli è stato permesso di aprire un’indagine sul comportamento di tutti i ranghi dei combattenti di Hamas, durante l’Operazione “ Scudo Protettivo”. Al-Sinwar non ha esitato a regolare i conti con coloro che sono stati accusati di un comportamento che non era stato all’altezza. Un attivista di Hamas, Muhamad Alshtiyi, è stato punito di recente con la morte, dopo essere stato riconosciuto colpevole di corruzione finanziaria e amministrativa; la sua famiglia sostiene che Yehya al-Sinwar è il responsabile della sua condanna a morte. Evita poi i media, per ragioni di sicurezza oltre a quelle personali, e questo gli dà ancora più potere e migliora la sua immagine di leader carismatico che non cerca pubblicità, microfoni o riflettori. Le sua attività da quando è stato rilasciato dalla prigione, hanno ricevuto un ampio sostegno da entrambi i bracci, militare e politico, di Hamas. La sua scelta a comandare dopo Haniyeh è stato il risultato naturale. E’ importante ricordare che il vice di Sinwar è Khalil Alhia, un leader ben noto negli ambienti militari di Hamas e uno che Israele ha cercato di eliminare più volte. Prevedere il futuro Non vi è dubbio che la scelta di Yehya al-Sinwar e del suo vice, segnali il desiderio di Hamas di tornare ad aprire il Jihad contro Israele, di aumentare il livello di violenza, e di proteggere l’indipendenza di Gaza e la separazione totale sia da Fatah che dall’ANP. Hamas non vede l’ora di elevare il livello del Jihad – l’ideologia della guerra islamica definita nel 7 ° secolo - contro Israele da Gaza, con la presa del potere in Giudea e Samaria, quando alla fine ci sarà uno Stato palestinese. Il controllo di Gaza, sul fianco occidentale di Israele, e della Giudea e Samaria su quello orientale, consentirà ad Hamas di attaccare Israele a tenaglia, e i sionisti saranno poi inondati di missili da ogni direzione. Dal punto di vista di Hamas, dal momento che i sistemi di difesa di Israele non possono resistere a un attacco di molti razzi e missili lanciati da distanza ravvicinata e da ogni direzione, la strategia che Hamas ha scelto, prima o poi porterà alla vittoria su Israele e l’eliminazione del progetto sionista. Yehya al-Sinwar sarà il leader, non il manager, che porterà le masse palestinesi, gli arabi e i musulmani che lo seguiranno, ad una grande battaglia finale che porterà Israele in ginocchio e a disperdere gli ebrei del 21 ° secolo in tutti gli angoli della terra, per l’esilio che Allah profetizzò per loro a causa dei loro peccati, come elencato nel 7 ° secolo nel Corano. Tutto ciò che rimane da fare per Hamas, oltre ai preparativi militari, è quello di incoraggiare le altre forme di Jihad - economica, politica, pubblica, dei media, degli accademici, in modo che la posizione internazionale di Israele diventi traballante e il suo nome venga diffamato in tutto il mondo; Hamas chiede contemporaneamente al mondo di abbandonare e boicottare Israele, punirlo e togliere tutti gli investimenti, utilizzando il BDS. Intende comprare politici, media e personalità accademiche utilizzano i soldi dei suoi amici del Qatar, vuole esortare il mondo a non trasferire le ambasciate a Gerusalemme e portare le decisioni del BDS in organismi internazionali che proclamino che Gerusalemme non appartiene a Israele. Tutte queste azioni hanno lo scopo di trasformare Israele in una facile preda per il Jihad militare che porterà alla sua distruzione finale, che si verificherà sotto la sapiente guida di Yehye al-Sinwar e del suo vice Khalil. Ora che i piani sinistri di Hamas sono chiari come il giorno, Israele - se vuole sopravvivere - deve sfidare la nuova leadership di Hamas in tutti i modi possibili per convincere loro e quelli che saranno rimasti dopo di loro, a rinunciare al sogno di eliminare Israele. Questo non è un obiettivo facile da raggiungere, ma può essere fatto utilizzando una buona intelligence, le misure giuste e una decisione forte per una leadership israeliana che guardi avanti e veda ciò che c’è in serbo per il futuro. In Medio Oriente, la pace è concessa solo a coloro che non sono vinti e che riescono a convincere i loro nemici che vale la pena di lasciarli stare. Hamas conosce le regole del gioco, e la questione che rimane aperta è se il popolo di Israele si rende conto che il Medio Oriente è un luogo dove, per sopravvivere, non si possono seguire le regole del gioco dettate da una cultura diversa.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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