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La Stampa Rassegna Stampa
16.02.2017 Israele e territori palestinesi: le ipotesi per la pace
Commenti di Ariel David, Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 16 febbraio 2017
Pagina: 7
Autore: Ariel David - Giordano Stabile
Titolo: «Confederazione o un piano saudita, ecco le strade per puntare alla pace - Così gli 007 Usa hanno preparato i palestinesi al cambio di rotta»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2017, a pag. 7, con il titolo "Confederazione o un piano saudita, ecco le strade per puntare alla pace", il commento di Ariel David; con il titolo "Così gli 007 Usa hanno preparato i palestinesi al cambio di rotta", il commento di Giordano Stabile.

Ecco gli articoli:

Ariel David: "Confederazione o un piano saudita, ecco le strade per puntare alla pace"

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Ariel David

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Israele, Gaza, territori contesi

Nella conferenza stampa a margine del suo primo incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente americano Donald Trump ha confermato che la sua amministrazione non considera la soluzione dei due Stati l’unica percorribile per porre fine al conflitto israelo-palestinese.

La dichiarazione rompe con le precedenti amministrazioni Usa e con il resto della comunità internazionale, che fin dagli accordi di Oslo del 1993 ritiene essenziale per il raggiungimento della pace la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele.
Con il protrarsi dello stallo nei negoziati di pace, alcune voci moderate hanno cominciato a valutare nuovi modelli, ma finora le alternative alla visione dei due Stati sono arrivate principalmente dalle frange estreme della politica israeliana e palestinese.
Quali sono le alternative che ora potrebbero trovare ascolto alla Casa Bianca? E quali i maggiori ostacoli alla loro realizzazione?

Le ipotesi sul tavolo
Una delle prime ipotesi è quella di una Confederazione o Stato binazionale. Questo modello è caldeggiato da diversi esponenti del partito di destra Likud, tra cui il presidente israeliano Reuven Rivlin. Un «falco» in politica estera, ma attento a garantire i diritti civili dei palestinesi, Rivlin è contrario alla creazione di uno Stato palestinese. In passato, ha lanciato la proposta di una confederazione composta da Israele e da «un’entità» autonoma palestinese, in cui lo Stato ebraico manterrebbe il controllo sull’esercito e i confini.

Questa settimana, durante un incontro con un’organizzazione pro-insediamenti, Rivlin si è invece dichiarato favorevole all’annessione di tutta la Cisgiordania, a patto che agli abitanti palestinesi sia concessa la cittadinanza israeliana. La soluzione dello Stato unico è appoggiata non solo da ambienti di destra, ma anche da esponenti dell’estrema sinistra e degli arabi israeliani.

Ovviamente è una soluzione che presenta criticità. È improbabile ad esempio che la dirigenza palestinese accetti una soluzione a sovranità limitata, e tantomeno un’annessione. L’ipotesi di uno Stato binazionale spaventa anche gli stessi israeliani moderati. Annettere la Cisgiordania e concedere la cittadinanza a quasi tre milioni di palestinesi altererebbe gli equilibri demografici del Paese e rischierebbe di segnare la fine d’Israele come Stato ebraico, aprendo possibili scenari di guerra civile.

C’è poi la via di una annessione parziale, ed è quella sostenuta dal ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, leader del partito di estrema destra la Casa Ebraica: egli propone di annettere il 60 per cento della Cisgiordania e creare delle autonomie palestinesi nei territori rimanenti. In base al suo piano, Israele annetterebbe l’Area C della Cisgiordania che comprende i principali insediamenti, e offrirebbe la cittadinanza ai circa 150.000 palestinesi che risiedono nell’area.

La proposta di Bennett potrebbe trovare sostenitori nell’amministrazione Usa, come David Friedman, il candidato di Trump alla carica di ambasciatore in Israele. Friedman, vicino alla destra israeliana, si è detto in passato favorevole all’annessione di parte della Cisgiordania. Ma per i palestinesi e i moderati israeliani, l’idea di Bennett rimane inaccettabile, perché lascerebbe ai palestinesi solo dei minuscoli «bantustan» a sovranità limitata e privi di continuità territoriale.

«Il piano saudita»
Trump e Netanyahu nella loro conferenza stampa di ieri hanno auspicato un ruolo maggiore nel processo di pace per il mondo arabo e una soluzione regionale al conflitto. Proposte in questo senso vanno da quella di Yaakov Peri, deputato dell’opposizione ed ex capo del servizio di Sicurezza Interna, che vorrebbe aprire in Arabia saudita un tavolo di negoziato permanente con i palestinesi e gli altri Paesi arabi, all’idea di una confederazione tripartita tra Israele, Palestina e Giordania.

Iniziative come la proposta di pace saudita del 2002 dimostrano la crescente disponibilità del mondo arabo a normalizzare le relazioni con Israele, ma queste aperture considerano ancora imprescindibile il ritiro israeliano dai territori conquistati nel 1967 e la creazione di uno Stato palestinese.

Giordano Stabile: "Così gli 007 Usa hanno preparato i palestinesi al cambio di rotta"

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Mike Pompeo, capo della CIA

Sul proscenio mondiale della Casa Bianca il duetto con Netanyahu. Dietro le quinte le trattative con i palestinesi per preparare il terreno alle «nuove soluzioni», cioè la fine della formula «due popoli, due Stati». È la parte difficile per il grande accordo che sogna il presidente americano Donald Trump.

Senza la soluzione «due Stati» le posizioni si allontanano in maniera irrimediabile. Per questo martedì è arrivato a Ramallah, il giorno prima del summit alla Casa Bianca, il direttore della Cia Mike Pompeo. Un faccia a faccia con il presidente palestinese Abu Mazen, segreto ma fatto filtrare da fonti interne alla Muqata. Che hanno anche fatto trapelare come nei giorni scorsi il capo dell’intelligence palestinese, Majd Faraj, era a Washington per colloqui con «alti funzionari della sicurezza», cioè lo stesso Pompeo, in vista del vertice e di un possibile incontro fra il leader palestinese e il presidente americano.

Assieme ad Abu Mazen c’era anche il capo negoziatore Saeb Erekat. Pompeo ha anticipato quello che poi ieri Trump ha chiesto a Netanyahu. Un freno ai nuovi insediamenti nei Territori. La mossa, assieme allo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, che potrebbe scatenare una rivolta incontrollabile in Cisgiordania. Ne sono convinte le forze di sicurezza palestinesi che hanno passato le informazioni ai colleghi americani. E infatti, dopo la frenata sull’ambasciata, sono arrivate anche le richieste della Casa Bianca per lo stop alle 6 mila nuove case che il governo israeliano ha annunciato di voler costruire.

Le contropartite offerte dagli americani non sono comunque sufficienti. Senza la prospettiva di uno Stato palestinese su tutta o quasi la Cisgiordania, la leadership moderata perde la sua carta più importante e rischia di essere travolta dagli oltranzisti, a cominciare da Hamas ora guidata da un «militare» come Yahya Sinwar. Il fuoco di sbarramento è cominciato prima ancora della conferenza alla Casa Bianca. «Non ha senso accantonare la politica dei due Stati - ha detto Hanan Ashrawi, del comitato esecutivo dell’Olp -. Non possono dirlo senza un’alternativa». E l’alternativa, ha aggiunto, «è uno Stato unico con eguali diritti per tutti».

È la posizione ribadita da Erekat, che si oppone «a ogni sistema discriminatorio nei confronti dei palestinesi». Se Stato unico deve essere, i palestinesi dovranno godere dei pieni diritti. Ma questo punto potrà rimanere uno Stato «ebraico»? Il rischio per gli ebrei di ritrovarsi in minoranza è una delle ragioni che ha frenato la leadership israeliana, assieme alle pressioni internazionali, dall’annettere una parte o tutta la Cisgiordania.
I palestinesi non si fidano e vedono come principale minaccia gli insediamenti che, secondo Erekat, stanno portando «alla costruzione di uno Stato, due sistemi, cioè all’apartheid». E anche se i contenuti dei colloqui con Pompeo sono rimasti segreti c’è da scommettere che è stato questo il punto critico delle discussioni.

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