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La Repubblica Rassegna Stampa
15.02.2017 Il ritornello di Federica Mogherini
La intervistano Andrea Bonanni, Alberto d'Argenio

Testata: La Repubblica
Data: 15 febbraio 2017
Pagina: 15
Autore: Andrea Bonanni; Alberto d'Argenio
Titolo: «'L'America mai così divisa tra conflitti politici e sociali, all'Ue più responsabilità nella leadership mondiale'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/02/2017, a pag. 15, con il titolo 'L'America mai così divisa tra conflitti politici e sociali, all'Ue più responsabilità nella leadership mondiale', l'intervista di Andrea Bonanni, Alberto d'Argenio a Federica Mogherini.

Federica Mogherini conferma la propria incompetenza e risponde alle domande degli intervistatori senza affrontare i problemi concreti, ma preferendo risposte vaghe e inconcludenti. Traspare comunque l'ostilità per l'attuale amministrazione americana dalla frase "dovremo di volta in volta stabilire quali siano i nostri interessi, su cosa potremo lavorare insieme". Mogherini, inoltre, non perde occasione per ribadire che l'ambasciata dell'Ue in Israele non sarà spostata da Tel Aviv, implicitamente negando così che Gerusalemme faccia parte dello Stato ebraico. Il solito ritornello di Mogherini, a cui siamo ormai abituati.

Ecco l'articolo:

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Andrea Bonanni, Alberto d'Argenio

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Federica Mogherini con Yasser Arafat e con il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif

«Nei rapporti tra Europa e Stati Uniti si apre una fase nuova, più pragmatica. È fuori di dubbio che l’amicizia tra i nostri popoli vada di là dai cambiamenti di amministrazione perché a legarci sono la storia e il futuro: le persone, la cultura, gli investimenti, gli interessi concreti. E non credo che gli Usa siano, o possano mai diventare, una minaccia per noi europei. Ma d’ora in poi il nostro rapporto sarà meno automatico; dovremo verificare caso per caso quali siano i nostri interessi e se coincidano con quelli americani. E ci potranno essere casi in cui Europa e Stati Uniti non avranno le stesse posizioni». Sulla parete dell’ufficio al dodicesimo piano di Palazzo Berlaymont, dove Federica Mogherini riceve i giornalisti del gruppo Lena, spicca un manifesto che raffigura il volto di Barak Obama, accanto ad un altro con la scritta “No more walls”: basta muri. Se ci fossero dubbi su dove batta il cuore dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, l’arredamento li dissipa prima ancora che lei apra bocca. Ma la sua prima mossa, dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, è stata di prendere un volo per Washington per incontrare il nuovo segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, che si è dimesso ieri, e il consigliere della Casa Bianca Jared Kushner.

Com’è andata? «Ho trovato un’atmosfera molto buona. Mi rendo conto che questo non riflette alcune uscite pubbliche. Il messaggio che nei primi contatti ufficiali mi è stato trasmesso è stato di grande attenzione per l’Europa, di una disposizione favorevole e di una notevole importanza che l’amministrazione americana attribuisce ai rapporti con noi. Vedremo. Anche perché ci sono già cambiamenti nella squadra del presidente. ».

E però lei stessa riconosce che qualcosa è cambiato nelle relazioni transatlantiche... «Nell’ultima fase dell’amministrazione Obama l’empatia con Washington era naturale. Sui grandi dossier internazionali loro guardavano a noi e noi, istintivamente, a loro. Ora dovremo di volta in volta stabilire quali siano i nostri interessi, su cosa potremo lavorare insieme».

Lei sembra avere un approccio pragmatico. La cancelliera Merkel, invece, ha parlato di “valori” come del metro per misurare i rapporti transatlantici. C’è una divergenza? «Nessuna. Ne abbiamo parlato la scorsa settimana al vertice di Malta. Noi abbiamo i nostri valori, i nostri interessi e le nostre priorità. E su queste basi impostiamo il dialogo con gli Stati Uniti».

I temi di dissenso non mancano. Cominciamo dal Medio Oriente. Trump vuole spostare l’ambasciata a Gerusalemme... «Non c’è dubbio che la nostra ambasciata resterà a Tel Aviv. Come non c’è dubbio che noi continueremo ad avere fiducia nel Quartetto per negoziare la crisi in Medio Oriente e che restiamo convinti che la soluzione sia quella della convivenza dei due Stati: israeliano e palestinese».

Altri temi di divergenza? «Il multilateralismo. Il sostegno alle Nazioni Unite. Un sistema di regole globali, incluso per il commercio libero ed equo. Ho ricordato ai nostri partner americani che l’Ue è il primo mercato al mondo anche per la loro economia e che l’80% degli investimenti esteri negli Usa viene dall’Europa e genera 8 milioni di posti di lavoro. Altro tema su cui oggi siamo distanti è il cambiamento climatico: noi rimaniamo convinti che sia fondamentale combatterlo e con una strategia coordinata. Anche con l’Iran, siamo bene decisi a continuare il dialogo. Invece, per quanto riguarda i rapporti con la Russia e la crisi siriana, non ho sentito voci discordanti dalla linea finora seguita».

Paradossalmente il principale motivo di contrasto potrebbe essere proprio l’Unione europea. Trump non la ama, benedice la Brexit e si dice che voglia nominare come ambasciatore presso le istituzioni comunitarie Ted Malloch, che predica il disfacimento della Ue... «Deve essere ben chiaro che l’Ue è indispensabile, forte. E che lo resterà. Una Ue forte è nell’interesse di tutti, anche della Gran Bretagna, come dice la stessa Theresa May. A Washington ho spiegato quali sono le procedure per la nomina dell’ambasciatore americano all’Ue e che la persona indicata deve avere il gradimento attivo di tutti i 28 stati membri e delle stesse istituzioni. Noi vorremmo avviare le nostre relazioni in modo tranquillo, senza asperità. E al momento non è ancora stata presa nessuna decisione su chi sarà il prossimo ambasciatore».

Abbiamo vissuto oltre 60 anni in cui la leadership americana dell’Occidente era data per scontata. Alla luce di quello che ci sta spiegando, possiamo ancora dire che gli Usa restano i leader del mondo libero? «Vedremo. Posso solo ricordare che, per esercitare leadership, un Paese deve essere forte e unito in casa propria. E non ho mai visto gli Stati Uniti così polarizzati, attraversati da forti conflitti sociali, politici e istituzionali. Presumo che lo slogan presidenziale “America first” voglia anche dire che gli Usa devono per prima cosa risolvere i propri problemi interni. Tutti di questi tempi parlano delle divisioni europee. Io, oggi, vedo molte più divisioni negli Stati Uniti. E credo che l’Europa sia chiamata ad assumersi più responsabilità nella leadership mondiale. Possiamo, e forse dobbiamo, farlo».

Trump dice che la Nato è obsoleta e chiede che gli europei spendano di più per la propria difesa. Questo la induce a modificare le proposte che ha presentato mesi fa sulla creazione di una Difesa europea? «No. Il rafforzamento della Difesa europea è essenziale e per questo ho presentato un pacchetto di proposte fin dall’estate scorsa, prima delle elezioni americane. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è già lì, non occorre inventarsi niente di nuovo. Sto preparando una serie di decisioni che i governi potrebbero prendere già in vista del vertice di Roma, in marzo. Ma naturalmente tutto dipende dalla volontà politica degli Stati membri: se vogliono dotarsi degli strumenti di cui hanno bisogno, sono alla loro portata, nell’Unione Europea».

Da Washington nessuna obiezione? «Mi sono sembrati molto interessati. La Difesa europea è lo strumento ideale per ottimizzare la resa degli investimenti nel settore. Ho passato mesi a spiegare che le mie proposte non indebolivano la Nato. Adesso mi sembra che sia molto chiaro, di qua e di là dell’Atlantico»

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