Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/02/2017, a pag. 10, con il titolo "A Jared, 'genero-presidente', il difficile dossier Medio Oriente", il commento di Federico Rampini.
Fra due giorni Benjamin Netanyahu incontrerà Trump a Washington, un primo passo per ristabilire la vicinanza politica tra Stati Uniti, lacerata durante gli otto anni dell'amministrazione Obama, nonostante le relazioni tra Stati Uniti e Israele siano rimaste buone e la collaborazione in tanti settori ampia. Seguiremo con attenzione l'incontro Trump-Netanyahu.
Ecco l'articolo:
Federico Rampini
Jared Kushner con Ivanka e Donald Trump
La pace fra Israele e palestinesi sarà The Ultimate Deal. Dal gergo affaristico di Donald Trump (vedi il suo best-seller “The Art of the Deal”) la definizione si potrebbe tradurre come “l’affare del secolo”? Oppure “il capolavoro di tutti gli accordi”? Lo raggiungerà, promette Trump, il marito di Ivanka. Appena 36enne, Jared Kushner è sprovvisto di esperienza in politica estera. Ha un vantaggio su tutti, però: l’assoluta fiducia del suocero.
Il New York Magazine ha coniato per lui il neologismo “President-in-law”. Primo Genero? Presidente-Genero? A 48 ore dall’arrivo di Benjamin Netanyahu a Washington, l’attenzione dei media americani si concentra su Kushner. Ebreo ortodosso, convinto e praticante al punto che Ivanka ha dovuto convertirsi per sposarlo, Kushner viene da una famiglia che ha forti e antichi legami con il premier conservatore israeliano. Lui aveva 17 anni quando incontrò Netanyahu ad Auschwitz, in un viaggio di studenti nei luoghi dell’Olocausto. Ma ancor prima, Jared aveva ceduto al premier… il suo letto: quando Benjamin detto Bibi fu ospite a casa dei suoi genitori. Le indagini sul passato si allargano alla storia familiare dello stesso presidente, per riesumare un altro aggancio: negli anni Ottanta, quando Bibi era l’ambasciatore israeliano all’Onu e quindi viveva qui a New York, divenne amico del papà del presidente, colui che è all’origine della fortuna familiare, il palazzinaro Fred Trump.
Un simile bagaglio di storie e aneddoti amichevoli, contribuisce ad accrescere le aspettative che si concentrano sul summit di mercoledì alla Casa Bianca. Da un lato è ovvio che le cose andranno molto bene: se il paragone viene fatto con il rapporto disastroso fra Netanyahu e Barack Obama. Gli ultimi otto anni sono stati una discesa agli inferi per i rapporti bilaterali, con Netanyahu che “tifava” apertamente per i repubblicani, da loro si faceva invitare al Congresso senza neppure avvisare il presidente. Peraltro, Israele non ha pagato alcun prezzo: Obama non ha ridotto di un centesimo i maxi-aiuti militari, e politicamente il caos del Medio Oriente (Siria Libia ecc.) ha perfino distolto l’attenzione dalla questione israelo-palestinese. Ma le attese di idillio con Trump sono salite talmente in alto, che il rischio di qualche delusione va messo in conto. Elencandole, si comincia dalla promessa della nuova Amministrazione di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, gesto simbolico potente, e schiaffo all’intero mondo arabo per il quale Gerusalemme deve rimanere città “aperta” e multi- religiosa, non capitale politica.
Segue l’antica richiesta di Netanyahu di stracciare l’accordo nucleare con l’Iran. Per arrivare alla richiesta della destra israeliana, che Netanyahu e Trump abbandonino nei colloqui di mercoledì ogni riferimento a una “soluzione basata su due Stati”, ovverosia al pieno riconoscimento della Palestina come Stato sovrano sia pure in futuro. Tutto questo forse è troppo, soprattutto per un primo vertice. Com’è già accaduto su altri dossier internazionali — ultimo e clamoroso, Cina-Taiwan — il presidente americano sta rimangiandosi i propositi più dirompenti della sua campagna elettorale, almeno in politica estera.
Anche su Israele c’è qualche accenno di retromarcia. Il caso più emblematico riguarda i nuovi insediamenti abusivi di coloni nei territori palestinesi. A dicembre, Obama decise che l’America si sarebbe astenuta su una mozione al Consiglio di sicurezza Onu che condannava gli insediamenti come illegali. Con l’astensione Usa la mozione Onu passò e fu una sconfitta diplomatica per Israele. Trump attaccò Obama, mandò a Netanyahu un messaggio di solidarietà: «Tieni duro, tra poco cambia tutto». Però una settimana fa sembra averci ripensato. In vista dell’arrivo di Bibi a Washington, la Casa Bianca gli ha rivolto un messaggio di moderazione sugli insediamenti. Trump in un’intervista a un quotidiano israeliano ha ammonito che quegli insediamenti non aiutano la causa della pace. Il Primo Genero Kushner a quanto pare prende sul serio la missione Ultimate Deal: e ha cominciato a consultare tutti gli alleati arabi dell’America.
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