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Bet Magazine Rassegna Stampa
09.02.2017 Gerusalemme capitale unica: che cosa succede tra venti anni?
Analisi di Angelo Pezzana

Testata: Bet Magazine
Data: 09 febbraio 2017
Pagina: 17
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Il 2040 e la fondamentale questione di Gerusalemme capitale unica: in ballo, un boom economico per tutti»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità Ebraica di Milano di febbraio 2017, a pag. 17, con il titolo "Il 2040 e la fondamentale questione di Gerusalemme capitale unica: in ballo, un boom economico per tutti", l'analisi di Angelo Pezzana.

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Angelo Pezzana

In Israele si discute vivacemente (potrebbe non esserlo?) su come dovrà essere Gerusalemme nel 2040, una data che viene suggerita da un progetto nato da una iniziativa privata che ha trovato molti consensi nell’area governativa. Va da sé l’immediata preoccupazione di coloro che ritengono Gerusalemme capitale di due Stati, una prospettiva che cancellerebbe l’ipotesi dell’unità della capitale. Da qui a quell’anno, se il progetto venisse approvato, nascerebbe un secondo aeroporto internazionale non lontano da Jericho, persino più grande del Ben Gurion, una ferrovia che arriverebbe fino a Ramallah, un enorme complesso commerciale vicino a Qalandiya , un parco a soggetto biblico nella Riserva Naturale di Refa’im e ,naturalmente, un numero rilevante di Hotel. Il tutto con la priorità ambientale da salvaguardare. L’iniziativa parte dal filantropo e businessman ebreo Kevin Bermeister, australiano. Gerusalemme diverrebbe così una città con almeno 12 milioni di turisti ogni anno.

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Il fronte critico ha subito messo le mani avanti, affermando che in questo modo si elude l’aspetto politico della capitale, poco importa se i legami con i territori palestinesi saranno oggetto di grandi miglioramenti, interessati da protagonisti a tutto il progetto. Qui nasce spontanea una domanda: chi si oppone non ha avuto finora una proposta alternativa allo status quo, tranne le solite invocazioni al mantra “due stati, uno accanto all’altro, in pace, con Gerusalemme capitale di entrambi”, dimostratosi fallimentare a tutti i livelli, nazionali e internazionali.

Perché insistere, quando la controparte palestinese non fatto altro finora se non opporsi a qualunque proposta israeliana? Non sarà che la fine del conflitto sarebbe anche tale per quella minoranza che in Israele si sente ancora orfana dell’economia di stato laburista, sconfitta da quella del libero mercato della fine degli anni ’70? Quella minoranza che si ostina a credersi maggioranza ancora oggi, quando tutti i sondaggi, non importa su quale argomento, affermino il contrario? Quella minoranza che impiega decenni prima di rendersi conto della fondamentale importanza del fattore sicurezza? Niente di meno veritiero di un altro mantra, quello che accusa chi vuole mantenere una larga maggioranza ebraica tramite un controllo della minoranza musulmana , il che annullerebbe l’aspetto democratico del Paese. È vero il contrario, Israele è democratica perché la maggioranza dei suoi cittadini sono ebrei. E per capirlo è sufficiente volgere lo sguardo agli stati arabo-musulmani, tutti. Ce n’è uno soltanto che sia (lontanamente) democratico? Allora perché opporsi a un progetto che farà di Israele un paese ancora più moderno e –forse- potrà persino porre fine a un conflitto che finora non ha trovato soluzione? 

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