Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/02/2017, a pag. 1, con il titolo "Grosso guaio in Yemen", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Un'immagine della guerra in Yemen
Roma. Lo Yemen rischia di diventare per il presidente americano, Donald Trump, quello che la Siria è stata per il predecessore Obama: un paese ignoto e mai nominato in campagna elettorale, che scala le prime posizioni nella lista dei suoi problemi in politica estera. L’analogia però finisce qui, perché mentre a Obama è stata rimproverata l’inerzia in Siria, Trump invece pensa a un ruolo molto aggressivo dell’America in Yemen. Secondo alcune fonti vicine al presidente citate da Foreign Policy, l’Amministrazione Trump vede il paese che occupa l’angolo sud della penisola arabica come un campo di confronto con l’Iran.
Da due anni in Yemen c’è una guerra per procura che oppone i ribelli Houthi aiutati dall’Iran al governo in esilio che invece è appoggiato dai sauditi e dall’America. Washington vuole aumentare il numero di bombardamenti con i droni, il numero di consiglieri militari nell’area e anche il numero di raid con i commando – che di solito hanno per bersaglio l’organizzazione terroristica al Qaida nello Yemen, conosciuta anche con la sigla Aqap – contro gli Houthi. Tra le novità ci sono anche una revisione della procedura per lanciare attacchi militari contro i miliziani in Yemen, per renderla più spedita rispetto all’Amministrazione Obama, e un incremento degli sforzi per intercettare i carichi di armi iraniane che arrivano agli Houthi. Questa nuova linea è congeniale all’ex generale Michael Flynn, consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, e ad altre figure importanti attorno al presidente, come l’ex generale James Mattis, ora capo della Difesa, che da anni hanno fatto della lotta all’egemonia iraniana in medio oriente una battaglia personale.
Il problema è che lo Yemen è un terreno difficile, la guerra saudita per battere gli Houthi si è impantanata tra perdite civili, sconfitte sul campo e interferenze da parte dei gruppi jihadisti, e non c’è alcuna vittoria in vista. Due giorni fa gli Houthi hanno lanciato per la prima volta un missile balistico che ha colpito una base militare non distante dalla capitale saudita Riad – e così hanno provato di disporre di armi più pericolose di quanto si pensasse. In particolare, si tratterebbe di un missile chiamato Burkan- 2, in arabo Vulcano, in grado di danneggiare i sauditi molto in profondità. Gli Houthi ne hanno mostrati cinque in un video di recente diffusione. L’America ha mandato davanti alla costa dello Yemen l’incrociatore Uss Cole, dopo che la settimana scorsa una nave saudita è stata colpita da un attacco esplosivo non meglio specificato – si parla di un barchino guidato da un attentatore suicida o pilotato a distanza, con due tonnellate di esplosivo ricavate da vecchie mine navali sovietiche.
Dal punto di vista di Trump, la lotta contro l’Iran in Yemen non soffre dell’ambiguità che c’è in Siria – dove la presenza della Russia a fianco di Teheran non permette sfide dirette. Però porta l’Amministrazione molto vicina all’alleato saudita, il che suona bizzarro considerate le posizioni intransigenti in altri settori. In questo quadro, ci sono anche le azioni contro al Qaida. Domenica 29 gennaio Trump ha ordinato un raid contro il capo del gruppo, che però è fallito, e il bersaglio ha risposto con un audio che dice: “Il nuovo stupido dentro la Casa Bianca ha preso uno schiaffo”. “Il nuovo presidente vede troppi film con Steven Seagal”, ha commentato a Reuters un capo tribale locale.
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