Cogliere l’occasione
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Benjamin Netanyahu
Cari amici,
anche per chi segue come noi con appassionata costanza la cronaca di Israele e dintorni, è difficile negare che vi sia qualcosa di ripetitivo, di bloccato in questa vicenda. Capita di vedere non per la prima o per la seconda, ma per la decima o la ventesima volta gli stessi episodi: un assalto crudele e immotivato a civili ebrei da parte di arabi magari giovanissimi; il rapimento o sequestro di un cittadino israeliano (o, al di là di qualunque elementare sentimento di umanità, dei suoi resti mortali) da parte di un’organizzazione terrorista, con l’infinito tira-e-molla delle trattative che mira a ottenere un riscatto spudorato di uno a mille; l’incitamento all’assassinio di innocenti da parte di chi professa di essere altamente morale e naturalmente oppresso.
Anche da parte israeliana, purtroppo, da decenni prevale la routine, sia sul piano strategico, con la scelta fondamentale di usare la forza solo per reagire agli assalti terroristi ma anche politici da parte dei nemici al Nord (Hezbollah, Siria), al Sud (Hamas) e anche al centro (terrorismo organizzato prevalentemente da Fatah, che è il partito leader dell’autorità palestinese). Della routine fanno parte anche i ritiri (dal Libano meridionale, da Gaza, da parte di Giudea e Samaria) di cui abbiamo avuto un esempio con l’abbattimento dell’insediamento di Amona, qualche giorno fa. E’ paradossale ma ovvio che queste sconfitte autoinflitte sono decise dai governi di destra almeno quanto dai governi di sinistra. Da Gaza se ne andò Sharon, fino ad allora bestia nera di tutti i filopalestinisti del mondo; Amona è stata abbandonata dal governo spesso dipinto come quello più di destra della storia di Israele. Certo, non è stata una scelta di Netanyahu, ma della Corte Suprema, con la motivazione che il piccolo insediamento comprendeva qualche pezzetto di terra di proprietà privata araba. Ma questa proprietà è stata accertata, da quel che ho capito, non secondo la legge israeliana, che non vale in Giudea e Samaria, ma secondo la legislazione precedente, non ho capito se giordana o turca, che si accontenta della prova che vi sia stato in passato uso della terra da parte di qualcuno, senza titoli di origine o cessione formale da parte del demanio, per attribuirgli il possesso. E che a quanto pare rende difficile o impossibile l’esproprio, anche con compensazione. E’ proprio di quest’ultimo meccanismo giuridico che tratta la nuova legge in discussione alla Knesset, ferocemente combattuta dalla sinistra, ma essa è stata rallentata dalle pressioni internazionali – un altro dato ripetitivo. Com’è ripetitivo il fatto che tutta la rivendicazione araba sui lotti di Amona e su alcuni di quelli dove si sarebbe dovuto ricostruire il villaggio, sia stata promossa e sostenuta da organizzazioni “non governative” dirette da israeliani nemici di Israele e finanziate da governi stranieri (soprattutto europei) e dunque non proprio “non governative”.
E’ vero, la difesa spesso gode di un vantaggio strategico sull’offensiva, come insegna la strategia. Almeno in tempi normali. Ed è vero, probabilmente lo status quo avvantaggia Israele sul piano politico, militare, economico, anche solo per il semplice fatto che “normalizza” la situazione; e infatti la “normalizzazione” è il nemico principale di tutti i nemici di Israele. E però senza il gesto audace e imprevisto, anzi contrastato fino all’ultimo non solo da antisionisti che non amavano il popolo ebraico come la Arendt, ma anche da “prudenti” come Weizmann, con cui Ben Gurion colse il solo momento per fondare lo stato – e senza l’altro effetto imprevisto e non progettato della conquista di Gerusalemme e della Giudea e Samaria nel ‘67 – non saremmo qui a parlare di Israele oggi. La dinamica politica, l’azione frenante della Corte suprema e del vertice della magistratura, il volgere della sinistra laburista da elemento dinamico a blocco della difesa di Israele ha estremamente limitato le possibilità politiche e militari dello stato ebraico. Tutti i difensori di Israele che ragionano sanno benissimo di avere un grande debito di gratitudine nei confronti di Netanyahu, che ha saputo far superare Israele senza gravi danni un decennio in cui in politica internazionale esso era ricco solo di nemici potenti (Obama in testa) e del tutto privo di difensori. Ma la politica di Netanyahu, anche se audace in certi momenti, per esempio nell’opposizione senza compromessi all’accordo con l’Iran, è stata sostanzialmente una difensiva, un tentativo di mantenere la forza di Israele, di sottrarlo ai progetti di smantellamento costruiti dall’Europa e dall’amministrazione americana. E non va sottovalutato che per averlo fatto, per non aver fatto la conversione a sinistra di Sharon, da cui pure le cronache dicono che è stato più volte tentato, Netanyahu ha subito e subisce ancora uno stillicidio di odio e di attacchi personali e di inchieste giudiziarie: una strategia di logoramento elettorale, politico, giudiziario, mediatico che avrebbe distrutto da tempo chiunque fosse meno resistente di lui e che rischia ancora di travolgerlo con le ultime accuse che gli sono state rivolte.
Ripeto, Israele ha molto guadagnato dalla sua resistenza e gode oggi probabilmente della migliore posizione strategica della sua esistenza. Ma per fortuna l’assedio diplomatico e politico che l’ha stretto negli ultimi dieci o vent’anni sta crollando, almeno è venuto a cadere nel suo punto centrale, cioè la posizione americana. E’ forse venuto il momento di ritrovare l’elasticità, la fantasia, la capacità di innovare che caratterizzano tanti altri aspetti della vita israeliana. Se non si cambia il gioco nel momento in cui tutta la politica internazionale è sparigliata da Trump e dal movimento di opinione pubblica che lo sostiene, si rischia di perdere una grande occasione storica.
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