Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/02/2017, a pag.4, con il titolo "Gaza si ribella ad Hamas e incorona i nuovi leader 'ci state solo affamando'", il reportage dalla Stricia di Fabio Scuto.
Fabio Scuto
Da qualche tempo non compariva più su Repubblica la firma di Fabio Scuto, corrispondente da Israele. Pensavamo a un lungo periodo di ferie accumulate, invece Scuto stava passando alla Stampa, come si vede dal reportage di oggi da Gaza.
Non crediamo che la Stampa abbia fatto un buon affare, i pezzi da Israele di Scuto sono quasi sempre stati disinformanti ad altissimo livello, c'è da supporre che continuerà, anche se il pezzo di oggi, apparentemente, è molto critico nei confronti di Hamas. Scriviamo'apparentemente critico', perchè descrive attività anti-Hamas inesistenti, a Gaza chiunque dissente viene immediatamente eliminato, fisicamente. Secondo Scuto, invece, pare che avvengano manifestazioni addirittura continue. Che Scuto si sia messo in testa che a Gaza, raccontando un supposto dissenso, Hamas non sia tutto sommato quella organizzazione terrorista riconosciuta tale da Usa e UE, può essere. Come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato ma si indovina sempre.
Le notti di Gaza sono nere come la pece, senza illuminazione per le strade, senza luci nelle case. Agli angoli di qualche strada si vede il baluginio delle fiamme che ardono in un vecchio bidone, una piccola folla intorno riunita in cerca di calore. La Striscia e i suoi due milioni di abitanti stanno sprofondando in un Medioevo moderno. Alle carenze dell’assedio e delle tre guerre in dieci anni, si è sommata in questi mesi la mancanza di energia elettrica e presto gli abitanti di Gaza faranno i conti con una crisi ancora più grave per la terribile qualità dell’acqua che minaccia la vivibilità. In queste settimane non c’è energia per 19-20 ore al giorno, e quando viene fornita arriva a macchia di leopardo, quattro ore qui, cinque ore lì, esasperando la popolazione già provata da un’emergenza umanitaria che la guerra del 2014 non ha fatto che aggravare. Hamas che governa con bastone e kalashnikov la Striscia da dieci anni, per la prima volta è stato bersaglio di contestazioni nelle strade, un segno di coraggioso dissenso della popolazione civile contro gli islamisti. Una protesta spontanea che, partita dal campo profughi di Jabalya, è dilagata in tutte le città della Striscia. Manifestazioni di gente comune, famiglie intere, giovani, contro i continui black out che paralizzano ogni possibile attività, ma anche la vita normale nelle case. Gaza sente il bisogno di nuovi leader e li trova nelle strade, fra la gente comune. Come Mohammed Al Taluli, che tutti chiamano «Guevara di Gaza» per una vaga rassomiglianza con l’eroe della rivoluzione cubana di cui è un convinto sostenitore, come dimostra un grande poster del Comandante sul muro della sua stanza. «Guevara di Gaza» ha guidato le manifestazioni a Jabalya contro Hamas, represse duramente dalla polizia islamista. Latitante a 24 anni Mohammed-Guevara non ha mai fatto politica prima, 24 anni, un diploma in tasca e come la maggioranza dei suoi coetanei (il 53%) è disoccupato e vive con la famiglia. Non ha simpatie né per Hamas né per Fatah. La sua casa è stata perquisita più volte dal mukhabarat di Hamas, come racconta sua sorella Ahlam. «Per quattro volte - prima e dopo le proteste - hanno fatto irruzione cercando mio fratello, hanno confiscato pc e telefonini. Hanno lasciato per lui una convocazione al Quartier Generale della Polizia, ma non si presenterà, non ha fatto nulla di male». Bloccato dalla polizia islamista il suo account Facebook, così come quello su Twitter. «Guevara di Gaza», si è dovuto dare alla macchia, ed essere latitante nella Striscia non è cosa semplice. Gli amici di questo giovane scapigliato sono davvero tanti, ma anche le spie del General Investigation Department - il nuovo apparato della sicurezza interna a Gaza -, che hanno orecchie dappertutto. Lui però promette che la battaglia per i diritti non è finita qui. Proteste bloccate Hamas in qualche modo è riuscito a bloccare le proteste, prima con la mano dura - c’è stata un’ondata di arresti - poi con la promessa che, grazie agli aiuti di Qatar e Turchia, l’energia sarebbe stata ripristinata almeno otto ore al giorno. Una soluzione temporanea, soldi e forniture bastano per meno di 90 giorni. E poi? La frustrazione nelle strade di Jabalya, come in quelle di Gaza, Rafah, e Khan Younius rimane e la rabbia può tornare a esplodere in ogni momento. Perché il problema dell’energia è strutturale. Gaza ha una sola centrale elettrica a gasolio, che funziona a metà potenza per mancanze di pezzi di ricambio, parte dell’energia viene dall’Egitto (20MG) e la maggior parte è fornita Israele (120 MG), la stessa potenza di venti anni fa quando nella Striscia viveva mezzo milione di persone, e che l’Ente elettrico israeliano rifiuta di aumentare per la morosità dell’Azienda elettrica palestinese. La somma di queste forniture (230-240 MG) arriva a soddisfare normalmente solo la metà della richiesta degli abitanti di Gaza (500 MG), che aumenta nei picchi estremi delle temperature in estate e in inverno. I costi dei generatori elettrici sono schizzati e la maggior parte delle famiglie non può permetterseli, e allora si arrangia con candele, lampade a gas e qualche legno di scarto da bruciare. Imad Reila, un piccolo negoziante con cinque figli, racconta come la sua famiglia ha adattato il ritmo di vita alle poche ore di energia al giorno. «Ho connesso una vecchia radio a una presa elettrica con il volume al massimo», racconta Imad, «e quando c’è elettricità a qualunque ora del giorno o della notte tutta la famiglia si sveglia per fare la doccia, asciugare i capelli, usare la lavatrice e stirare». Senz’acqua e luce Il black out continuo non è l’unica urgenza nella Striscia. Fawzi Najar, che vive a Khan Younis, sono dieci anni che non beve acqua dal rubinetto di casa. Ogni mattina fa quattro chilometri a piedi per riempire una tanica da 20 litri in una stazione di desalinizzazione locale. «L’acqua è salata come se provenisse direttamente dal mare», spiega Najar, padre di sei figli. Si usa l’acqua desalinizzata per lavare le stoviglie e bere, mentre i pochi che possono permetterselo usano l’acqua in bottiglia anche per lavarsi. Le cause del problema dell’acqua sono molteplici, ma derivano principalmente dalla falda acquifera. Quella principale di Gaza contiene dai 55 ai 60 milioni di metri cubi in un anno, ma la domanda di due milioni di abitanti supera i 200 milioni di metri cubi. Rebhy al Sheikh, Magistrato delle acque di Gaza, dice che la falda acquifera è sovra-utilizzata e questo permette all’acqua di mare del Mediterraneo di infiltrarla, insieme a liquami e altre sostanze scaricate in mare. In questo mare, dove in qualunque paese europeo sarebbe vietata la balneazione per inquinamento grave. Il 96,5% dell’acqua estratta dalla falda non è adatta all’uso né umano né animale, né può essere usata nell’agricoltura. Un rapporto dell’Onu indica il 2020 come l’anno in cui il danno alla falda sarà diventato irreversibile e Gaza sarà dichiarata inabitabile. Di questo Hamas non pare occuparsi. Si dibatte nella sua più grave crisi finanziaria, sono finite le royalties milionarie che venivano dai tunnel del contrabbando con l’Egitto, si è inaridita la «vena» dell’oro iraniana. Resta un’organizzazione armata che usa la popolazione come ostaggio per la sua guerra, non spende un dollaro per i bisogni della collettività. Predica a voce una tregua di lunga durata con Israele, ma migliaia di «desert rats», topi del deserto, scavano tunnel d’attacco verso le zone circostanti Gaza a ciclo continuo. Prepara la prossima guerra, è solo questione di tempo.
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