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Perché il mondo arabo non sostiene gli arabi palestinesi Analisi di Mordechai Kedar (Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz) Vorrei iniziare questo articolo con alcune domande precise: Un altro motivo delle ire del mondo arabo è la figura di Arafat. Il suo sostegno all’invasione irachena del Kuwait sotto il regime di Saddam Hussein del 1990, causò l’espulsione di molte migliaia di lavoratori palestinesi dall’industria petrolifera del Kuwait. Tutti poi sapevano bene che Arafat portava sempre la divisa militare perché le sue numerose tasche contenevano foglietti con i nomi di coloro nelle cui mani aveva riposto le ricevute dei milioni prelevati dal denaro destinato agli aiuti. Il giorno in cui Arafat morì, tutti divennero istantaneamente milionari, anche se nessuno è a conoscenza dell’ammontare totale. Una terza spiacevole sensazione deriva dal fatto che questi stessi palestinesi hanno guadagnato ingenti somme di denaro lavorando per costruire case nelle comunità ebraiche fin dal 1948, sia all’interno della ”linea verde” (linee armistiziali del 1949) che nei cosiddetti “territori occupati” post-1967. Sono stati loro ad aver letteralmente costruito lo Stato di Israele. Arabi palestinesi lavorano nelle industrie fondate dagli ebrei, acquistano i prodotti fabbricati da loro stessi, contribuendo all’espansione dell’ economica israeliana nei “territori occupati”. Una quarta sensazione negativa nei confronti dei palestinesi è la consapevolezza da parte del mondo arabo che l’ONU ha sempre aiutato fin dal 1948, per lo più attraverso l’UNRWA, i “profughi palestinesi” concedendo loro fondi assai più generosamente di quanto veniva stato dato a tutti gli altri rifugiati - in Siria, Sudan, Giordania, Iraq e Turchia – messi assieme. Molti arabi ritengono che i palestinesi usino l’estorsione per ricattare le coscienze a livello internazionale e ottenere enormi finanziamenti con la scusa che le loro risorse finanziarie non sono sufficienti, per cui non rimane abbastanza denaro per i veri rifugiati, quelli dalla Siria o dall’Iraq, per esempio, che hanno un disperato bisogno di aiuti dalle Nazioni Unite . La quinta sensazione di disagio nei confronti dei palestinesi è emersa a inizio del 2011, quando è scoppiata la “Primavera araba” che ha deposto i regimi di Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia, Saleh nello Yemen e fa ancora traballare il governo di Assad. Molti arabi prevedevano che i palestinesi avrebbero approfittato di questi eventi per iniziare una vera e propria rivolta che si sarebbe sbarazzata dell’ “occupazione” israeliana. Ma questo non si è verificato. I palestinesi hanno placidamente guardato i loro fratelli arabi che fluivano nelle strade, riempivano le piazze, dimostravano pubblicamente e abbattevano poteri stabilizzati. Hanno guardato tranquillamente gli eventi sui teleschermi sgranocchiando semi di girasole, l’equivalente del pop corn in Medio Oriente, ma non hanno mosso un dito. L’uomo arabo della strada si chiede: cosa stanno aspettando i Palestinesi? Che Israele diventi più forte? Che il mondo arabo diventi più debole e ancora più conflittuale? E, peggio ancora, nel mondo arabo c'è la sensazione che i palestinesi preferiscano andare avanti con l’“occupazione” da parte di Israele, perché se continua ad esistere, hanno tanto da guadagnarci, soprattutto economicamente. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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