Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 01/02/2017, a pag. 13, con il titolo "La nuova linea della Casa Bianca spacca Fatah", il commento di Michele Giorgio.
Anche oggi Michele Giorgio si lamenta per le posizioni di Donald Trump verso i "poveri palestinesi". Giorgio non risparmia i commenti lacrimevoli. Una buona notizia, quindi, quando il quotidiano comunista ha da recriminare.
Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
Donald Trump
Annunci quasi quotidiani di nuove case per coloni israeliani a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, taglio dei finanziamenti americani (221 milioni di dollari) all'Autorità nazionale palestinese (Anp), Donald Trump che vuole trasferire l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.
L'ELENCO DELLE brutte notizie per l'Anp si allunga. Se gli 8 anni di Obama alla Casa Bianca sono stati deludenti per le aspirazioni palestinesi, i prossimi 4 con Trump si annunciano un incubo. I primi giorni di presidenza hanno detto parecchio su come intende agire sul terreno mediorientale. E il patto d'acciaio che il neo presidente stringerà con il premier israeliano Netanyahu, il 15 febbraio, quando si incontreranno a Washington, indebolirà ulteriormente il leader palestinese Abu Mazen. Buona parte della popolazione palestinese non condivide la linea moderata di Abu Mazen, che trova inadeguata ad affrontare le politiche di Israele. In questo quadro l'alleanza tra Casa Bianca e Israele che Trump ripete di voler rendere ancora più stretta è destinato ad acuire lo scontro dentro Fatah e l'Anp e a riportare in primo piano la successione all'81enne presidente palestinese.
CHI ai VERTICI PALESTINESI chiede fermezza in molti casi lo fa per attaccarlo. "In apparenza ai piani alti di Fatah e dell'Anp regna la coesione contro il pericolo Trump, in realtà è in corso un dibattito lacerante su come affrontare questa nuova fase - ci spiega un funzionario di Fatah che preferisce restare anonimo - Alcuni importanti dirigenti del partito che ambiscono alla presidenza, dicono che siamo davanti a una crisi eccezionale che richiede un cambio di passo. E Abu Mazen, aggiungono, non è in grado di compierlo".
NEI giorni scorsi, a cominciare dal segretario dell'Olp e capo negoziatore Saeb Erakat, diversi esponenti di primo piano di Fatah, hanno minacciato la revoca del riconoscimento di Israele (votato dai palestinesi 21 anni fa) se Trump trasferirà l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Qualcuno è tornato a reclamare la fine della cooperazione di sicurezza con Israele. Abu Mazen è contrario a questi passi, li giudica affrettati. A suo parere potrebbero aprire la strada a un massiccio intervento militare di Israele in Cisgiordania.
LA QUESTIONE E' APERTA e la scorsa settimana, al Comitato centrale di Fatah, Nasser Qidwa, ex ambasciatore palestinese all'Onu e nipote del presidente scomparso Yasser Arafat, ha presentato una proposta in 10 punti che da un lato rappresenta un compromesso tra i fautori della linea dura e i sostenitori della prudenza, e dall'altro gli consente di inserirsi nel ristretto gruppo di candidati alla poltrona di Abu Mazen. Qidwa non sostiene l'annullamento del riconoscimento di Israele ma una mobilitazione permanente contro Trump e Netanyahu, facendo leva sul diritto internazionale, in ogni sede possibile e coinvolgendo sino in fondo la Giordania.
IL REGNO HASHEMITA è alleato dello Stato ebraico nelle questioni di sicurezza ma è insofferente di fronte alle mire della destra religiosa israeliana sulla Spianata di al Aqsa a Gerusalemme. Qidwa chiede inoltre che i palestinesi si proclamino contro il proseguimento della mediazione americana e che siano chiuse le rappresentanze dell'Anp negli Stati Uniti "È un attacco frontale ad Abu Mazen - ci spiega ancora l'anonimo funzionario di Fatah - II presidente mai, anche con Trump alla Casa Bianca, sarà favorevole a passo del genere. Crede che gli Usa siano centrali per la risoluzione del conflitto (israelo-palestinese, ndr)". Dalla parte di Qidwa, sebbene con posizioni più radicali, si sarebbe schierato Marwan Barghouti, il leader più popolare di Fatah, in carcere in Israele dal 2002.
LA RICONCILIAZIONE, VERA, con gli islamisti di Hamas aiuterebbe il presidente palestinese a contenere le pressioni interne. Appena ieri però, da Ramallah, hanno annunciato la nuova data delle elezioni amministrative, il 13 maggio, precisando che il voto si terrà solo in Cisgiordania e non a Gaza, controllata da Hamas. Un passo criticato con forza dal movimento islamico.
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