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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
01.02.2017 Iran: test missilistico viola gli accordi, Trump intervenga; traffico d'armi dall'Italia agli ayatollah
Cronache di Paolo Mastrolilli, Fausto Biloslavo

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Paolo Mastrolilli - Fausto Biloslavo
Titolo: «Teheran sfida il presidente americano con un nuovo test missilistico - Il pianista Bahrami: 'Non torno più negli Stati Uniti' - Gli italiani convertiti all'islam vendevano armi a Libia e Iran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/02/2017, a pag. 5, con il titolo "Teheran sfida il presidente americano con un nuovo test missilistico", la cronaca di Paolo Mastrolilli; la breve "Il pianista Bahrami: 'Non torno più negli Stati Uniti' "; dal GIORNALE, a pag. 16, con il titolo "Gli italiani convertiti all'islam vendevano armi a Libia e Iran", la cronaca di Fausto Biloslavo.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Teheran sfida il presidente americano con un nuovo test missilistico"

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Paolo Mastrolilli

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La prima sfida internazionale per l’amministrazione Trump è già arrivata, dall’Iran. La Repubblica islamica infatti ha tenuto un test missilistico, che ieri ha provocato una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per valutare se così ha violato le risoluzioni del Palazzo di Vetro. La reazione però è stata moderata, anche perché la Casa Bianca sta ancora definendo la sua posizione su Teheran. Diversi consiglieri infatti premono per dare appoggio all’opposizione interna, e rivitalizzare proteste sul modello di quelle innescate dal «Green Movement» nel 2009, che potrebbero mettere in difficoltà il regime fino al punto di minacciare la sua sopravvivenza.

Il test, negato dall’Iran, è stato denunciato lunedì da americani e israeliani. Secondo i loro rilevamenti il missile ha volato per circa 600 miglia, prima di esplodere. Non è sicuro se lo scoppio sia stato accidentale o voluto. La nuova ambasciatrice di Washington all’Onu, Nikki Haley, come suo primo atto ha chiesto e ottenuto una riunione del Consiglio di Sicurezza, per valutare se il test ha violato le risoluzioni del Palazzo di Vetro. Alcune delegazioni hanno detto che il lancio è avvenuto in contraddizione con le norme vigenti, ma altre hanno chiesto più elementi di giudizio.

La risoluzione in vigore prima dell’accordo nucleare vietava tutti i test, ma quella negoziata dopo proibisce solo quelli con missili in grado di trasportare testate atomiche. Teheran sostiene di non averle, e quindi nessun lancio può rientrare in questa categoria. Il ministro degli Esteri Javad Zarif, pur senza ammettere l’esplosione, ha invitato ieri gli Stati Uniti a «non sfruttare le difese militari iraniane come un pretesto per creare nuove tensioni».

La risposta di Washington si capirà nei prossimi giorni, ma nel frattempo è in corso un dibattito nell’amministrazione per decidere la linea da adottare. Il capo del Pentagono Mattis ha criticato l’accordo nucleare, ma ha detto che per il momento conviene tenerlo. Gli Usa però potrebbero promuovere una nuova risoluzione per limitare le attività missilistiche convenzionali della Repubblica islamica.

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Alcuni consiglieri suggeriscono invece di affrontare il problema alla radice, lavorando per favorire un cambio di regime che potrebbe avvenire senza interventi militari. Queste persone pensano che gli ayatollah siano deboli, e temono un movimento di protesta come quello del 2009, che ha ancora molti consensi nella società civile. Per incoraggiarlo, la squadra di Trump aveva considerato di invitare all’Inauguration l’ayatollah dissidente Hossein Boroujerdi, appena liberato di prigione. Non sarebbe venuto, ma l’invito in sé avrebbe rappresentato un segnale ai suoi sostenitori. La prossima occasione verrebbe il 21 marzo con la celebrazione del Nowruz, il capodanno iraniano. La Casa Bianca potrebbe sfruttarla per fare una dichiarazione di saluto, e di sostegno agli oppositori, chiarendo così che se torneranno nelle piazze, stavolta avranno l’aiuto esplicito degli Usa.

LA STAMPA: "Il pianista Bahrami: 'Non torno più negli Stati Uniti' "

Se Bahrami non vuole più andare in Stati Uniti può sempre tornare in Iran, il crudele regime da cui è fuggito e in cui suo padre è stato incarcerato per dieci anni.

Ecco la breve:

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Ramin Bahrami

«Un cow-boy pazzo, totalmente fuori di testa, una persona ignorante, stupida e arrogante, accecata dai suoi soldi»: non va per il sottile il pianista iraniano Ramin Bahrami, quando parla di Donald Trump e dei suoi decreti contro l’immigrazione. Costretto ad abbandonare il suo Paese a dieci anni dal regime degli ayatollah, il padre scomparso nelle carceri iraniane, Bahrami, oggi quarantenne, è a Genova per un concerto dedicato a Bach. «Questo signore non rispetta il pensiero americano. Penso a Robert Levin, un genio della musica che insegna a Harvard, a persone di questo calibro e alla fatica che fanno a sentirsi americani come Trump». Bahrami ha suonato molte volte in America. «Ma mi chiedo, pur amandola, se ora valga la pena tornarvici. E la risposta è no, no, no».

IL GIORNALE - Fausto Biloslavo: "Gli italiani convertiti all'islam vendevano armi a Libia e Iran"

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Fausto Biloslavo

L'imprenditore che vende elicotteri da guerra alla faccia dell'embargo, la coppia del Napoletano con il marito convertito all'Islam, che ha contatti ad alto livello in Iran e a Tripoli e il misterioso libico che va a controllare le armi in Ucraina. L'inchiesta «Italian job» della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha scoperchiato un clamoroso traffico di materiale bellico con l'Iran e la Libia: elicotteri, fucili mitragliatori d'assalto, missili a spalla terra-aria e anti carro. Ieri la Guardia di finanza al comando del colonnello Gianluca Campana ha eseguito decine di perquisizioni in tutta Italia e arrestato tre persone. In manette è finito Andrea Pardi, amministratore della Società Romana Elicotteri e una coppia di San Giorgio a Cremano, nel napoletano, Mario Di Leva e Anna Maria Fontana. Il libico Mogamud Alì Shaswish è latitante.

L'accusa dei pm Catello Maresca e Maurizio Giordano è di «traffico internazionale di armi» con Paesi sotto embargo. Il sistema era semplice e si basava sulle triangolazioni. In pratica le armi non transitavano mai per l'Italia e Pardi procurava elicotteri per il soccorso o da trasporto di fabbricazione russa, che venivano facilmente armati in seguito. «Sicuramente sono andate a buon fine la fornitura di pezzi di ricambio per gli elicotteri iraniani e di fucili d'assalto alle milizie libiche» spiega al Giornale, il colonnello Campana. Pardi si appoggiava alla coppia Di Leva per i contatti all'estero. La banda ha trattato un carico di 13.950 fucili M 14 per la Libia, ma pure un'eliambulanza ed elicotteri russi Mi 17. In una mail alla moglie Di Leva scriveva incautamente: «Hi Anna, i need this Jup... Igla, Sam-7, Kornit». La procura specifica che si tratta di «modelli di missili anti-carro e terra-aria di produzione sovietica». Mario è un convertito all'Islam sciita con il nome musulmano di Jaafar. Sua moglie ha vissuto in Iran per 17 anni e a San Giorgio veniva soprannominata la «dama in nero» per l'abitudine a portare il velo. Negli anni '80-'90 faceva parte della giunta locale per il Psi e Psdi.

L'ultimo post del 29 agosto sulla pagina di Mario/Jaafar è il faccione di Grillo sotto il link «M5s unica speranza d'Italia». I coniugi si sono fatti immortalare con l'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Gli investigatori hanno sequestrato una missiva di Jaafar indirizzata al grande ayatollah Alì Khamenei, guida conservatrice dell'Iran, per mettersi a disposizione in maniera «inequivocabile». L'esportazione dei pezzi di ricambio per elicotteri proibiti a Teheran valeva 757.500 euro versati sul conto di una società panamense. Anna Maria Fontana è stata definita in un libro dell'ex senatore Sergio De Gregorio «l'emissario che naviga fra Ayatollah e guardiani della rivoluzione come un maschio barbuto. Amica dei leader delle fazioni più integraliste è considerata dalla Cia un infiltrato del servizio segreto iraniano». La coppia collaborava con il libico latitante, che aveva il compito di recarsi in Ucraina per controllare l'efficienza delle armi. Mario era riuscito a incontrare un emissario di Abdelhakim Belhaj, ex veterano di Al Qaida che ha partecipato alla rivolta contro Gheddafi e oggi è a capo del potente Consiglio militare di Tripoli. I trafficanti di armi arrestati non avevano nulla a che fare con le bandiere nere, ma grazie ai contatti libici la coppia napoletana si è scambiata messaggi sul rapimento dei 4 italiani a Sabrata del 2015.

Fausto Piano e Salvatore Failla verranno uccisi otto mesi dopo con i loro carcerieri tunisini. Subito dopo il sequestro il marito avvisa la moglie che risponde via WhatsApp: «Notizia vecchia, già sto in contatto». Lui replica: «Ce li hanno proprio quelli dove noi siamo andati già sto facendo, sto operando con molta tranquillità e molta cautela». Per i pm non si può «escludere una loro possibile attività nel complicato meccanismo di liberazione che solitamente avviene tramite il pagamento di riscatti o la mediazione con altri affari ritenuti di interesse dei miliziani». E le armi valgono come merce di scambio.

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