Riprendiamo dal FOGLIO di oggi 28/01/2017, a pag.3, la recensione del libro "Il gioiello", di Shulamit Lapid.
ll gioiello, nella traduzione di Elena Loewenthal, è la terza inchiesta di Lisi Badichi, dopo Dalla nostra corrispondente e L'esca, tutti editi da Astoria. Attraverso una serie di polizieschi scritta fra il 1989 e il 2007, avente per protagonista la nostra indomita eroina, Shulamit Lapid traccia un ritratto vivace e divertito della società israeliana, della sua variopinta umanità e dei suoi inconfondibili tic nervosi.
Shulamit Lapid
Giallo in Israele. Una capo infermiera molto "chiacchierata" viene assassinata nella sua stanza di un centro di cura per anziani. In passato, aveva cercato di farsi intestare l'eredità dei vecchietti che accudiva con affetto. Per giunta, aveva appena litigato con il direttore dell'ospedale. E' un delitto torbido, con vari sospettati, che sconvolge la piccola comunità e i suoi anzianissimi ospiti. Poco dopo, un secondo omicidio, ancora più sconcertante e repentino, complica ulteriormente il mistero. ll romanzo è ambientato all'inizio degli anni 90, all'epoca del buco nell'ozono e dei primi telefoni cellulari. Le indagini, data l'età di alcuni protagonisti, portano molto indietro nel tempo, addirittura all'epoca dei primi pionieri sionisti, durante la Prima guerra mondiale, quando la resistenza ebraica si batteva al fianco dell'Impero britannico e organizzava coraggiosamente la lotta clandestina contro la dominazione ottomana. Dal contesto di fatti storici realmente accaduti e di personaggi eroici che hanno fatto la storia di Israele (come Sarah Aaronsohn e il gruppo Nili) affiorano episodi oscuri, comportamenti vergognosi e vili, pagine buie che erano rimaste relegate negli anfratti più reconditi della cronaca e della memoria. Lisi Badichi, giornalista indomita e impertinente, cocciuta e ficcanaso, si tuffa a capofitto nel mistero e, inutile dirlo, dà costantemente la birra alla polizia, goffamente rappresentata dai suoi due cognati burberi e pasticcioni. Grazie alle sue domande incalzanti e a un formidabile mix di intelligenza e intuito, Lisi ricostruisce un poco alla volta una vicenda storica antica e ignominiosa, capace di resuscitare sensi di colpa mai sopiti e di scatenare impulsi incontrollabili. "Benyamin Blooms non voleva la stampa. Neanche quella simpatizzante. I suoi soldi erano una faccenda privata, così come la donazione. Aveva comprato un tomografo computerizzato per il Soroka perché era ciò di cui l'ospedale aveva bisogno. Se loro avessero deciso di darne notizia, allora lei lo avrebbe saputo. Ma non voleva che la cosa uscisse da lui. Benyamin Blooms non cercava pubblicità. Non l'aveva mai cercata. Malgrado i suoi novant'anni, malgrado la sua temporanea infermità, era determinato e prepotente".
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