Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/01/2017, a pag. 25, con il titolo "La globalizzazione totalitaria dei sudditi-guerrieri del Califfo", l'analisi di Domenico Quirico.
Domenico Quirico
Terroristi dello Stato islamico
È il consueto peccato dell’Occidente: pensare a se stesso, immaginarsi come totalità, modello, speranza, possibilità, tentazione. In fondo non ci siamo mai svincolati dall’Ottocento, il secolo del Progresso, e del colonialismo. Così accade anche per il dibattito sulla mondializzazione, infervorato da un ritorno di moda del sovranismo, del suddito dello stato-nazione abbrancato alla sua (assai presunta) diversità. Quale mondializzazione? La nostra, ovviamente! Quella della produzione-consumo recitante il Verbo liberista, che immaginava un mondo in cui tutti potessero comprare i medesimi prodotti. Pittoresco guazzabuglio dove tutti avrebbero parlato, più o meno, inglese, ascoltato la stessa musica, guardato gli stessi film. E forse letto gli stessi libri.
Purtroppo ce n’è un’altra, e questa trionfante, indiscussa, brutale, la mondializzazione islamista, il problema più urgente del secolo. La globalizzazione che è non economia ma metamorfosi metafisica, tentativo teologico macchiato di sangue e terrore, e la morte è tentazione o addirittura speranza. La restaurazione della «asabiyya»’ sunnita, il principio di coesione sociale e di identità religiosa. Eterno e infrangibile perché il «mulk», la sovranità di stati e imperi, fatalmente tende al declino. L’asabiyya no.
E se i globalizzatori di maggior successo fossero proprio loro, gli uomini del Califfato, i profeti dell’ecumene del dio unico della legge unica del Libro unico? Questo terribile ritorno alla religione non è una mutazione della sensibilità, del modo di considerare il mondo e la responsabilità degli uomini assai più profondo di quello in cui il Mercato avrebbe dovuto creare l’Uomo Nuovo senza frontiere? E lo costruiscono con il Corano, ma anche con Internet. Ma non era, quest’ultimo il «passepartout» della nostra globalizzazione?
Eppure i segni si potevano leggere, erano chiari, non tentavano certo di nascondersi i globalizzatori di Allah. Bin Laden, che ormai è antiquato precursore, non aveva forse inventato la globalizzazione del terrorismo? Gli autarchici dirottatori di Abu Nidal nell’epoca di Internet e delle comunicazioni rapide erano superati: si poteva portare ovunque il teatro del terrore; e la rapidità e l’efficacia del suo messaggio si muoveva a velocità e con echi impensabile ai tempi di Alamut o della «propaganda dei fatti» anarchica.
Lezione assimilata dagli uomini di Raqqa e Mosul, non psicopatici esaltati ma freddi, intelligenti, istruiti, gente di fede che sa che la vita dell’aldilà la vince su quella del mondo. Vi hanno aggiunto la distruzione delle frontiere. Come per la mondializzazione occidentale il nemico principale sono i posti di dogana, i passaporti, le separazioni amministrative dei confini. A cui hanno dedicato il lavoro eversivo delle ruspe demolendo quelli tra Iraq e Siria: in attesa di procedere con altri. E’ un mondo unico quello voluto di califfi. Dall’atlantico alla Malaysia nessun Stato ma un solo Stato che li ha inghiottiti tutti, la città di dio, il mondo perfetto. I seguaci-sudditi della sharia vivranno senza frontiere e passaporti, secondo stesse leggi recitando le stesse preghiere mangiando lo stesso cibo puro indossando gli stessi vestiti…: «Prendete le armi, o soldati del califfato e combattete, combattete! Fate sapere al mondo che voi vivete ormai in una nuova era...» incitava tre anni fa Abu Bakr.
Il nostro mondo «globalizzato» si restringe, fisicamente, perché un numero crescente di luoghi (e abitudini) ci sono vietati dalla guerra e dalla paura. Il loro si allarga: dal Caucaso alla Somalia, dalla Nigeria alla terra dei due fiumi alle periferie di occidente.
Ma non è solo questo. Non sono sudditi-guerrieri di una globalizzazione totalitaria i combattenti della guerra santa? Il fanatico cresciuto nelle scuole di Londra a fianco del figlio dei fellah e dei postsovietici kirghisi, dei tuareg saheliani? Misticismo e nichilismo, disposti a fare qualunque cosa contro chiunque, per scuotersi, appartenere a una comunità, partecipare a una opera umana, vivere pienamente, intensamente. Come Mersault, lo straniero di Camus, che uccide per sentirsi vivere. I bambini che il Califfato alleva immersi fino alla testa nella bollente pentola totalitaria non sono la generazione dell’Islam globalizzato per cui non esisterà altro che sharia, jihad e preghiera? Mossa da un disgusto, di violenza insondabile, a rinnegare tutto ciò che aveva rapporto con il paradiso terrestre di una volta: quello che noi credevamo seducente come un destino.
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