Riprendiamo dalla REPUBBLICA - TORINO di oggi, 24/01/2017, a pag. VIII, con il titolo "Olocausto, i ragazzi del Berti narrano il coraggio di Yehudit", la cronaca di Claudia Allasia.
Claudia Allasia
Eyal Lerner
YEHUDIT Schischa-Halevy aveva diciotto anni quando arrivò ad Auschwitz, l' 11 giugno '44. Mengele in persona le diede la mano per aiutarla a scendere dal treno. Fiduciosa, lei chiese di restare accanto alla madre malata. Lui le sorrise e con un gesto, intanto, la destinò alla camera a gas. Poco dopo Yehudit fu trasferita a Birkenau. La sera, nella baracca, le sue compagne le chiedevano di ballare, mentre loro cantavano a bassa voce. A Natale, il kapò che organizzava lo spettacolo per le Ss le chiese di ballare ma lei rifiutò. Per punizione, fu costretta a restare a piedi nudi in mezzo al campo, sotto la neve. Decise che se fosse sopravvissuta avrebbe dedicato la vita alla danza.
La sua storia sarà raccontata stasera al teatro Astra dai ragazzi della Scuola Statale Berti, con lo spettacolo "Che non abbiano fine mai... cristalli di speranza", in collaborazione con il musicista israeliano Eyal Lerner (ideatore del Progetto Memoria rivolto alle scuole ), con il sostegno di Fondazione Camis de Fonseca e Circoscrizioni 3 e 4 e il patrocinio della Città di Torino.
Gli spettatori di Torino Danza ricorderanno forse la storia di Yehudit firmata dal direttore-coreografo Rami Beer, in scena tre anni fa al Carignano con il titolo "Aide Memoire", nell'interpretazione della Kibbutz Contemporary Dance Company. Di quella compagnia, Yehudith Arnon era stata fondatrice, maestra e coreografa. Al Carignano lei non c'era era morta da poco, a oltre 90 anni, ma dopo lo spettacolo c'era stato l'incontro pubblico con il coreografo e suo allievo Rami Beer. Le era stato chiesto di un particolare visto in un video girato dal regista Spielberg per l'Archivio del Ghetto di Cracovia, in cui Yehudith Arnon aveva raccontato la sua vita, come i pochi altri vecchi sopravvissuti alla Shoah.
Tra le tante cose diceva di avere sostato alcuni mesi sul lago di Avigliana, con il suo futuro marito e una settantina di bambini e ragazzi orfani, dai sei ai sedici anni, che erano stati loro affidati per raggiungere la Palestina. Erano di lingue e nazionalità diverse e Yehudit e suo marito, per tenerli buoni e occupati, insegnavano loro la danza e la matematica. Il coreografo Rami Beer rispose di conoscere benissimo quella sosta piemontese, perché assieme a Yehudit e al suo uomo c'erano due ragazzi ventenni che erano poi diventati i suoi genitori. Beer disse che nella Kibbutz Company tutti conoscevano questa storia.
Nacque un interesse immediato, nell'ambito dell'associazione Italia-Israele e del Centro Primo Levi, che indusse a condurre ricerche al Comune di Avigliana, nell'Archivio diocesano torinese e agli Archivi vaticani. All'Astra stasera si darà conto anche di queste ricerche, attraverso la danza, le parole, la musica e i documenti video di Biagio Puma. Gli studenti del Liceo Berti sono stati guidati dalla loro insegnante Paola. In un importante dossier recentemente pubblicato da Giulietta Weisz, che ha suscitato non poche polemiche, si racconta del fastidio, per non dire del razzismo manifestato in quegli anni verso i profughi dalla popolazione locale.
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