IC7 - Il commento di Astrit Sukni
Dal 15 al 21 gennaio 2017
Islam in Tv: ed è subito disinformazione
Chaima Fatihi
L’anno scorso sono stato contattato dalla redazione di "Virus", condotto da Nicola Porro. Un giornalista praticante della redazione mi contattò su Facebook, chiedendo se poteva farmi chiamare da un suo collega perché dovevano fare una puntata sui fatti di Bruxelles. A stretto giro arrivò la telefonata, a dir poco comica. Oltre alle domande di rito se fossi musulmano, praticante, sui miei genitori e su quale fosse il mio rapporto con la fede e con l’islam, il giornalista mi chiese se avevo ricevuto minacce per le mie posizioni. Minacce dirette no, se poi sono in qualche lista nera, non lo so.
Il giornalista si era informato male sul mio conto perché era stato tratto in inganno da un mio commento su Facebook relativo al film documentario “Il Figlio di Hamas”, Mus'ab Hasan Yusuf, figlio dello sceicco Sheikh Hassan Yousef, guida politica del movimento militare terroristico palestinese Hamas, che aveva collaborato per anni con lo Shin Bet. Il giornalista credeva che mio padre fosse un terrorista e quindi credeva di avere trovato la persona giusta su cui costruire una eventuale puntata.
Dissi al giornalista che aveva letto con poca attenzione ciò che avevo commentato su Facebook. Ci lasciammo con l'accordo che mi avrebbe fatto sapere. Poi il silenzio totale. Perché vi ho raccontato questo piccolo aneddoto? Perché sulle pagine de La Stampa, la giornalista Karima Moual, ha messo in evidenza le dinamiche scorrette che molti programmi televisivi adottano nei confronti delle musulmane moderate, consistenti nel montare un “teatrino” ad hoc per fare audience. Regola rigorosa: portare il velo in studio. Altrimenti non se ne fa nulla. E’ facile finire “preda” dei talk show di approfondimento perché sovente si cerca di fare solo disinformazione e questo comporta che il pubblico, già a digiuno di suo su un argomento come l’islam, lo sia ancor di più dopo aver visto il programma.
Nei programmi di approfondimento si fa cattiva informazione. L’articolo di denuncia di Karima Moual (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=65075) informa però solo parzialmente, perché il problema del velo esiste anche al di fuori degli studi televisivi. Le ragazze musulmane della seconda generazione indossano quasi tutte il velo. Molte di loro non lo indossano per scelta. La maggioranza dei giovani musulmani ha come riferimento l’associazione “Giovani Musulmani d’Italia” che, come molti sanno, è una costola di UCOII. Di certo non brilla per progresso, integrazione e occidentalizzazione.
Molte di queste ragazze, Chaimaa Fatihi per esempio, che oggi si rifiutano di fare da burattino su argomenti come islam e terrorismo, sono le stesse che fino a ieri - ma lo saranno anche domani - erano disposte a partecipare nei programmi televisivi quando l’argomento era il conflitto arabo-israeliano. In quel caso sono sempre disposte a partecipare. Sono disposte a paragonare Israele al nazismo e a definirlo uno Stato che pratica l’apartheid nei confronti dei palestinesi praticando il genocidio. Sono libere e non si sentono burattini quando c’è da sfoggiare l’antisemitismo passando per l’antisionismo. Anche in questo caso i conduttori incassano la menzogna e la retorica senza battere ciglio per ingraziare i dati dell’audience o magari proprio perché credono a quello che sentono.
Astrit Sukni - Redazione IC