Riprendiamo dalla FONDAZIONE CAMIS DE FONSECA, con il titolo "Tramonta il mito dei ‘due stati per due popoli’ ", l'analisi di Laura Camis de Fonseca.
Laura Camis de Fonseca
Rabi e Arafat con Bill Clinton nel 1994
Dagli accordi di Oslo in poi, diplomatici e politici hanno dato per scontato che Israeliani e Palestinesi sarebbero usciti dal conflitto creando ‘due stati per due ‘popoli’. Era un’illusione, un mantra ripetuto per non doversi confrontare con la dura realtà: la regione non ha lo spazio, le risorse, la configurazione geografica necessaria per ospitare due stati indipendenti e autonomi, entrambi con confini difendibili, accesso al mare e all’acqua.
Sin dall’inizio le due parti interpretarono la formula in modo diverso. Gli Israeliani pensavano a una federazione di due stati in cui uno (quello arabo) rinunciasse ad avere una proprio esercito e una propria politica internazionale, in cambio di accesso al commercio, allo sviluppo tecnologico e ad aiuti economici. Gli Arabi immaginavano (come si è visto dopo il ritiro israeliano da Gaza) uno spazio autonomo in cui preparare gli armamenti per distruggere lo stato di Israele e impossessarsi di tutta la regione, con l’aiuto di altre popolazioni arabe o islamiche.
Ora un inaspettato ‘accesso di realtà’ porta gli analisti occidentali a trovare il coraggio di abbandonare le vecchie posizioni politically correct anche sulla questione israelo-palestinese. Mentre Kerry si appresta a ripetere per l’ennesima volta a Parigi (il 15 gennaio 2017) che la crescita demografica palestinese preme su Israele, obbligandola a ritirarsi entro la linea verde del 1949 per salvare la propria democrazia, decine di articoli lo smentiscono pubblicando dati recenti. La crescita demografica di Arabi ed Ebrei all’interno dello stato di Israele (entro i confini del ’49) non è più in favore degli Arabi , tanto più che l’immigrazione in Israele da altre parti del mondo non è cessata: nel 2016 la popolazione è aumentata di 167 000 persone, di cui 116 000 Ebrei, 38200 Arabi, 12.800 di altra etnia.
La situazione è molto diversa se si prende in considerazione il West Bank , dove la popolazione è quasi tutta araba. Ma nella zona C del West Bank, cioè nelle aree del West Bank ancora amministrate da Israele e ancora sotto controllo militare israeliano , oggi ci sono circa 375 000 ‘coloni’ israeliani. Se Israele annettesse una fascia di zona C tale da permettere il controllo della frontiera con la Giordania e la Siria lungo la valle del Giordano, e annettesse la valle che unisce Gerusalemme alla valle del Giordano, incluse Hebron e Betlemme, è stato calcolato che i territori annessi conterrebbero all’incirca 350000 Ebrei israeliani e 350000 Arabi: l’equilibrio demografico non verrebbe compromesso. I 350000 Arabi diventerebbero cittadini israeliani a pieno titolo e in maggioranza ne sarebbero contenti, perché ne avrebbero molti vantaggi.
Certamente gli abitanti arabi del West Bank a nord e a sud dell’area eventualmente annessa si ritroverebbero isolati e quasi privi di risorse, cioè in una condizione inaccettabile. A questo proposito gli analisti controcorrente sostengono che sarebbe più facile creare degli Emirati arabi locali su base tribale, capaci di stringere accordi commerciali e politici con i paesi circostanti e con Israele, piuttosto che raggiungere il consenso fra tutti i Palestinesi, costantemente divisi in sette tribali e religiose che si combattono fra di loro. Secondo questi analisti (ad esempio Mordechai Kedar e George Friedman) non esiste una identità nazionale né araba né palestinese tanto forte da dar coesione politica a uno stato, ma esiste un millenario senso di appartenenza alla tribù o al clan, su cui poter costruire piccoli stati efficienti. È un’opinione di comodo, che nasconde il desiderio di esautorare e sopraffare i Palestinesi? Forse sì. Però è chiaro a tutti che gli stati nazionali del Medio Oriente sono in pieno disfacimento, dall’Iraq alla Siria al Libano, mentre forti minoranze estremiste aspirano alla ricostituzione violenta dell’antico Califfato su base religiosa, che non potrà essere una soluzione per le società del XXI secolo. È irrealistico che proprio inquesto periodo si pensi che sia possibile costituire uno stato nazionale palestinese capace di autogovernarsi senza cadere nella guerra civile: non ci crede più nessuno, neppure fra i Palestinesi. Infatti i Palestinesi non vanno al summit di Parigi, così come non ci vanno gli Israeliani. L’assenza delle parti in causa sottolinea l’irrilevanza di un summit in cui si ripetono formule ormai prive di contenuto.
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