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Informazione Corretta Rassegna Stampa
19.01.2017 Come si comporterà l’America nel conflitto sciita-sunnita?
Analisi di Zvi Mazel

Testata: Informazione Corretta
Data: 19 gennaio 2017
Pagina: 1
Autore: Zvi Mazel
Titolo: «Come si comporterà l’America nel conflitto sciita-sunnita?»

Come si comporterà l’America nel conflitto sciita-sunnita?
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

http://www.jpost.com/Opinion/Analysis-The-age-old-Sunni-Shiite-conflict-478953

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In scuro, le regioni a maggiornaza sciita

Nel mondo islamico i sunniti rappresentano l’85%, mentre gli sciiti arrivano a un misero 15%, eppure l’Iran – la suprema autorità religiosa e politica sciita – gode di un assoluto prestigio, mentre nel mondo sunnita ogni imam può emettere le proprie fatwa senza che sia obbligatorio tenerne conto. Persino Al Azhar, malgrado la sua lunga storia e l’immensa fama, non può imporre i propri editti. Un esempio è l’impossibilità dei paesi sunniti di fissare un giorno comune per l’inizio del digiuno di Ramadan. In più, con l’eccezione di Arabia Saudita e Qatar, gli stati sunniti hanno istituzioni laiche basate su costituzione, elezioni, parlamento e la separazione dei poteri, anche se la Sharia rimane la principale fonte legislativa.

Mentre l’estremismo religioso sciita e sunnita rimane in bilico verso un Medio Oriente senza una solidarietà centrale religiosa, per non dire di una comune politica, viene gravemente ostacolata la possibilità dei paesi sunniti di contrastare la minaccia iraniana. A partire da Khomeini, l’Iran si è data un potente e aggressivo esercito per sviluppare i propri programmi: “esportare” con forza la rivoluzione islamica nei paesi sunniti della regione quale primo passo prima dell’attacco al “grande satana”, l’ America e i suoi alleati. Facendo del proprio meglio per ridurre al massimo gli interventi diretti per appoggiarsi alle organizzazioni che ha contribuito a creare: Hezbollah, Ansar Allah (sciiti yemeniti, meglio noti con il nome ‘Huti’), il movimento Badr e numero di milizie formate da veterani dell’Afghanistan e dell’Iraq, definiti “volontari del popolo” per mascherare la loro immagine di terroristi.

Sono tutti istruiti, equipaggiati e comandati da Teheran, come ammise apertamente Nasrallah alcuni mesi fa. La forza motrice dietro di loro è il generale Qassem Soleimani, capo delle brigate Al Kuds nelle guardie della rivoluzione, che addestrano questi combattenti in Iraq e Siria. L’Iran è stato la forza guida responsabile della disintegrazione di Iraq, Siria, Yemen e del caos nel Libano attuale. Il Pentagono cercò di cooperare con l’Iran contro Al Qaeda in Iraq, ma Teheran non fu interessata: un Iraq in conflitto e instabile serviva di più a rafforzare il proprio potere sul paese che non un governo sciita messo in piedi in America. In Siria, l’Iran ha sostenuto Assad nel primo momento delle rivolte popolari, mentre Washington non aveva colto la storica opportunità di sostenere l’opposizione sunnita, collaborare alla caduta di Assad e separare la Siria dsll’Iran. Poi, nel 2013, Teheran e Hezbollah si schierano con Assad per impedire che venisse cacciato.

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In Yemen, la rivolta degli Huti, totalmente finanziata dall’Iran, tenta di impadronirsi non solo del paese ma alza il livello delle minacce all’Arabia Saudita controllando gli stretti di Bab el Mandeb, l’accesso al Mar Rosso. Nel 2008, un tentativo di una cellula infiltrata di Hezbollah di sabotare il Canale di Suez e destabilizzare l’Egitto, veniva scoperta in tempo e il terrorista incarcerato. Il loro capo, Sami Shehab, era riuscito a scappare durante la cosiddetta primavera araba. Da qui, l’Iran affrontò con maggiore cautela i rapporti con il Cairo, arrivando ora a un tentativo di avvicinamento. In quanto alla Turchia, gli Ayatollah si muovono con prudenza e un certo dialogo si sta creando. Erdogan ritiene che non avranno il coraggio di attaccarlo; Teheran prende tempo, convinta che la caduta dei regimi sunniti nella regione isolerà la Turchia. Il tutto mentre gli iraniani ignorano il Trattato nucleare che hanno firmato, infatti continuano a costruire missili a lunga gittata che realizzano il progetto di Khomeini, mentre aspettano di poter dare inizio alla costruzione dell’arma nucleare, come stabilito nell’Accordo firmato con Usa e Ue.

I paesi sunniti sanno benissimo che cosa sta succedendo, ma non possono abbandonare i loro interessi nazionali per formare un fronte comune non solo contro l’Iran, ma anche contro il Daesh. Malgrado le forze kurde siano in prima linea nella guerra contro lo Stato islamico, la Turchia è più interessata a combatterli per prevenire la nascita di una Autonomia kurda ai propri confini che sosterrebbe i kurdi turchi e il loro partito PKK. Per questo Ankara è più interessata a chiudere un occhio sull’ingerenza dell’Iran nella crisi siriana; per lungo tempo non fece nulla per fermare Daesh, ritenendo erroneamente che avrebbe sbaragliato i kurdi. Ora è chiaro che lo Stato Islamico è anche una minaccia per la Turchia. L’Egitto, privo dell’aiuto americano, si è rivolto alla Russia – che di fatto è alleata con l’Iran per sostenere Assad - che quindi non fa nulla. Per chiarire la situazione, Egitto e Turchia non hanno rapporti, dato che Ankara non ha dimenticato la cacciata del presidente Morsi e la caduta del regime dei Fratelli Musulmani. L’Arabia Saudita teme sempre la minaccia iraniana, primo per la vicinanza, secondo per l’importanza nel mondo sunnita in quanto guardiano delle città sante di Mecca e Medina. Aiuta i ribelli in Siria mentre cerca di aprire un dialogo con Egitto e Turchia; ma fintanto che entrambi rimarranno ai ferri corti un fronte comune contro l’Iran è impossibile.

In un passato recente, Egitto e Arabia Saudita avevano creato un fronte simile, includendo gli Emirati del Golfo, Giordania e persino Marocco, con Israele che lo sosteneva segretamente. Speravano così di bloccare le ambizioni nucleari dell’Iran, anche con la forza se necessario. L’America era il collante che li teneva insieme, finchè Obama firmò un trattato con l’Iran dopo i colloqui segreti nell’Oman. Oggi il mondo sunnita è senza speranza diviso, non solo in Medio Oriente. Marocco e Algeria litigano sul futuro del Sahara occidentale; la Libia è in preda al caos della guerra civile. Le organizzazioni estremiste terroriste da Al Qaeda a Daesh stanno sempre cercando di forzare le loro componenti sunnite del Califfato nei paesi sunniti, destabilizzando così la regione.

Di fronte al pericolo effettivo, i paesi sunniti sono incapaci di allearsi. Che avverrà ? Forse la nuova Amministrazione americana spariglierà le carte sul tavolo. Puà essere che alla fine si vedrà quanto sia accresciuta la minaccia verso tutto l’Occidente. La crisi umanitaria che continua darà origine a milioni di rifugiati che cercano salvezza e speranza in Europa e America. Il terrorismo islamico attacca ancora obiettivi civili, armi di distruzione di massa possono essere usate, anche la Russia non ne è immune, i suoi confini sud sono pericolosamente vicini alle zone del conflitto e al suo interno vi sono significative minoranze musulmane. Insieme, Washington e Mosca possono mettere in atto azioni, non realizzabili singolarmente: gettare acqua sul fuoco e realizzare misure di pacificazione. Ma raggiungere questo obiettivo avrebbero dovuto distruggere Daesh insieme e trovare il modo di separare l’Iran dalla Siria, l’unica via per entrare in Medio Oriente.

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.  


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