Riprendiamo oggi, 15/01/2017, da LA STAMPA, AVVENIRE, L'UNITA' tre cronache seguite da un nostro commento.
La Stampa-Giordano Stabile:"L'avvertimento di Abu Mazen al neoleader Usa: mai la vostra ambasciata a Gerusalemme"
Giordano Stabile
La cronaca di Giordano Stabile, curiosamente da Ramallah, è ricca di omissioni:
1) "Il vecchio raiss ha abbracciato Bergoglio, ha detto di sperare in una rapida ripresa «dei colloqui diretti» dopo il summit.". Menzogna, è Abu Mazen che ha interrotto i colloqui, non Netanyahu.
2) Lo spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme - cita Abu Mazen - è "«Un rischio serio di riaprire il conflitto»". Stabile si guarda bene dal ricordare che Abu Mazen è il primo responsabile dei continui incitamenti al terrorismo contro Israele, è l'Anp la fonte delle stragi di civili in Israele. Non scriverlo, impedisce ai lettori di capire la realtà del conflitto.
3) Vale anche per le parole del Papa, identiche a quelle di Abu Mazen. Ignora la condizione dei cristiani nei territori dell'Anp, e non perde occasione per recitare la solita cantilena sulla pace pur avendo di fronte uno che semina terrore e non pace.
4) il pezzo termina sottolineando le difficoltà causate dai posti di controllo israeliani, quasi giustificando l'attentatore del camion, abitante in uno di questi villaggi, una reazione al fatto che "era obbligato a costeggiare il muro per kilometri"
5) la posizione di Israele relegata in poche righe.
Ci sembra abbastanza, per definirlo una pessima cronaca.
Ramallah - L'ultima occasione prima dell'arrivo del ciclone Trump. A Ramallah stanno tutti attaccati alle radio in auto, per seguire la missione Abu Mazen in Italia e in Francia. Ieri l'incontro con Papa Francesco, oggi la Conferenza di pace di Parigi e l'attesa dichiarazione finale con il presidente francese François Hollande. Due alleati solidi. Che non basteranno di fronte alla nuova amministrazione Usa, schierata con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il vecchio raiss ha abbracciato Bergoglio, ha detto di sperare in una rapida ripresa «dei colloqui diretti» dopo il summit. Ma ha minacciato di ritirare il riconoscimento di Israele se l'ambasciata verrà spostata a Gerusalemme, una delle promesse del nuovo presidente in campagna elettorale: «Un rischio serio di riaprire il conflitto», ha avvertito. E la pietra tombale sugli accordi di Oslo. Bergoglio ha espresso «la speranza che si possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti per giungere alla fine della violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili e ad una soluzione giusta e duratura». Anche se Oslo è su un binario morto e fra i palestinesi «due popoli, due Stati» è una professione di fede senza convinzione. La missione di Abu Mazen ha però riscaldato l'orgoglio. «Il mondo è con noi ma Israele non rispetta nessuno», riassume Jehad Harb, uno degli analisti politici più ascoltati all'interno di Al-Fatah, il partito del presidente. «Ci servono risultati concreti. Il mondo deve aumentare le pressioni. Sulla base delle risoluzione Onu». Il rischio altrimenti è la radicalizzazione dei giovani. «L'Isis nei Territori non c'è, ma il salafismo dilaga». La sede del Parlamento, la Muqata dove Arafat resistette per mesi all'assedio dell'esercito israeliano, sono vuoti. Sembrano abbandonati. Le istituzioni sono bloccate dal 2007, quando Hamas ha preso con un colpo di mano Gaza. Gli islamisti governano la Striscia, Al-Fatah la Cisgiordania. E sono tutte e due debolissimi. Abu Mazen ne è consapevole. Ha lanciato l'offensiva preventiva prima dell'arrivo di Trump, con la risoluzione passata all'Onu per lo stop agli insediamenti, il discorso del Segretario di Stato americano John Kerry, la Conferenza di Parigi. E ha riavviato i colloqui con Hamas, in campo neutro, a Beirut. «La base dell'accordo c'è - spiega Amin Maqboul, segretario generale del Consiglio rivoluzionario di Al-Fatah . il documento firmato al Cairo dove Hamas rinuncia alla lotta armata e sceglie la via diplomatica per arrivare all'indipendenza». II problema, denuncia Maqboul, sono le poltrone. Hamas vuole «il 40 per cento dei posti» nel futuro governo di unità nazionale. Al-Fatah punta invece a una «partecipazione delle organizzazioni popolari, dei sindacati» e a dare meno spazio ai partiti. Quanto a Trump «è un uomo d'affari, uno abituato a fare accordi, vediamo gli atti, in campagna elettorale si dicono tante cose». Ma è chiaro che lo spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme è «la linea rossa», ribadisce Maqboul. Per Israele sarebbe il riconoscimento di fatto di Gerusalemme «capitale unita» dello Stato ebraico, uno dei punti irrinunciabili. Ma fonti diplomatiche israeliane ne smorzano la portata. «Un atto simbolico, e anche altri presidenti americani l'avevano promesso». Per gli israeliani, che non partecipano alla Conferenza di Parigi, l'unica strada sono «colloqui bilaterali», la vera questione è il riconoscimento di Israele come «Stato ebraico» e su questo né Al-Fatah né Hamas sono disposti a cedere. «Significherebbe ammettere che qui siamo ospiti, mentre invece qui viviamo da migliaia di anni - si scalda Abuljaber Fuqahaa, uno dei parlamentati del Movimento di resistenza islamico -. Per questo dobbiamo unirci. II ciclone Trump? Non sarà peggio di Obama, la più grande delusione per i palestinesi e per tutti gli arabi». Hamas vuole «sanzioni, sanzioni, e boicottaggio». L'ondata di attacchi contro civili e militari israeliani nella «Intifada dei coltelli», che Hamas appoggia apertamente, ha reso i controlli ancora più duri. Un fila chilometrica di auto e camion aspetta al check-point di Qalandia. Per arrivare a Jabal Mukkaber, da dove è partito il terrorista che ha fatto strage con un camion domenica scorsa, si costeggia il Muro per chilometri. Gli insediamenti sono in cima alle colline, ordinati, con viali alberati e i parchi giochi davanti alle scuole. II quartiere palestinese si arrampica sulla montagna con strade strette e dissestate. Trentamila abitanti e «neanche una palestra, un campo sportivo», si lamentano i giovani davanti al fruttivendolo Al-Mukhtar. Nessuno dice di conoscere il killer. «Perché condannarlo? A noi possono sparare in qualsiasi momento. Siamo prigionieri e non sarà certo Abu Mazen a liberarci».
Avvenire-Mimmo Muolo:" Abu Mazen dal Papa: riprenda il negoziato"
Mimmo Muolo
La cronaca del quotidiano dei vescovi riflette puntualmente la politica del Vaticano nei confronti dell'islam: grandi sorrisi, inni alla pace, e se poi i terroristi ammazzano e perseguitano i cristiani chessaramai, adesso Abu Mazen ha persino l'ambasciata in Vaticano, di uno stato che non c'è. Israele ha dovuto attendere quasi 50 anni perchè la S.S. (Santa Sede) prendesse atto della sua esistenza. Il sì è arrivato - supponiamo - dopo che tutti i tentativi arabo-musulmani di distruggere lo stato degli ebrei erano miseramente falliti. A quel punto la S.S ha dovuto cedere.
Dopo il volemose bene col Papa, Abu Mazen è volato a Parigi, dove l'accozzaglia lo attende volenterosa.
Secondo Udg Abu Mazen avrebbe incontrato anche Angelino Alfano. Vedremo come si comporterà oggi a parigi il nostro ministro degli esteri.
Udienza dal Papa e inaugurazione dell'Ambasciata di Palestina presso la Santa Sede. Quindi l'auspicio condiviso con la Santa Sede: ripresa dei negoziati diretti tra Israele e Autorità nazionale palestinese. La giornata romana di Abu Mazen è stata caratterizzata ieri da questi due appuntamenti, con un pubblico ringraziamento al Papa. «Abbiamo incontrato Sua Santità - ha detto il presidente palestinese all'inaugurazione-. Speriamo che altri Stati seguano l'esempio della Santa Sede e riconoscano lo Stato di Palestina». La cronaca dell'udienza parla di 23 minuti di colloquio definiti «cordiali» dalla Sala Stampa della Santa Sede, con l'appendice dello scambio di doni e soprattutto una serie di temi (primo tra tutti la ricerca della pace) affrontati nel faccia a faccia. In particolare, si legge nella nota diffusa al termine, «ci si è soffermati sul processo di pace in Medio Oriente, esprimendo la speranza che si possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti per giungere alla fine della violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili e ad una soluzione giusta e duratura». ll riferimento indiretto è alla Conferenza di Parigi, che non vede presenti né israeliani, né palestinesi. Francesco e Abbas (questo il vero cognome del presidente) hanno anche parlato, degli altri conflitti che affliggono la Regione, dei «buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e laPalestina, suggellati dall'Accordo globale del 2015, che riguarda aspetti essenziali della vita e dell'attività della Chiesa nella società palestinese» e della salvaguardia dei Luoghi Santi. In tale contesto, prosegue il comunicato della Sala Stampa, «si è ricordato l'importante contributo dei Cattolici in favore della promozione della dignità umana e in aiuto dei più bisognosi, particolarmente nei campi dell'educazione, della salute e dell'assistenza». Infine è stato espresso l'auspicio che, con il sostegno della Comunità intemazionale, «si intraprendano misure che favoriscano la reciproca fiducia e contribuiscano a creare un clima che permetta di prendere decisioni coraggiose in favore della pace». Atmosfera distesa anche al momento dello scambio di doni (una icona di Cristo e una pietra del Golgota, da parte di Abu Mazen, la medaglia del Giubileo e i documend Amoris Laetitiae Laudator, da parte di Francesco), con un membro del seguito di Abu Mazen che ha consegnato al Pontefice una maglia della nazionale palestinese, informandolo di fare il tifo per il San Lorenzo de Almagro (la squadra del cuore di Bergoglio), avendo la moglie argentina. Quindi l'incontro con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e l'arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Infine Abu Mazen ha inaugurato l'Ambasciata di Palestina presso la Santa Sede, i locali cui si trovano in un palazzo extraterritoriale della stessa Santa Sede, alla presenza del sostituto della Segreteria di Stato, l'arcivescovo Angelo Becciu. Rappresentanti di più di 70 Paesi si riuniscono oggi a Parigi (per l'Italia ci sarà il ministro degli Esteri Angelino Alfano), in una conferenza internazionale per il rilancio dei negoziati diretti tra israeliani a palestinesi, che però non partecipano al vertice nella capitale francese. La conferenza cade tra l'altro in un momento di frizione tra Israele e la comunità internazionale, dopo l'approvazione all'Onu di una risoluzione che condanna gli insediamenti. Un'altra incognita è data dall'imminente cambio a Washington. II segretario di Stato John Kerry è presente a Parigi, ma tra una settimana lascerà e la nuova amministrazione di Donald Trump ha già nominato un ambasciatore filo-israeliano che ha annunciato di voler trasferire l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. II premier israeliano Benjamin Netanyahu ha già definito la conferenza una 'farsa ', mentre Abu Mazen ha condannato l'ipotesi di trasferire la capitale.
L'Unità-Umberto De Giovannangeli:" Francesco riceve Abu Mazen e benedice la Palestina "
Fin dal titolo, oltremodo esultante ma veritiero, Umberto De Giovannageli dà fiato alle trombe dell'esultanza, unendo il catto-comunismo del perfetto trinariciuto con l'appassionato trombettiere del palestinismo più ottuso. La visita di Abu Mazen da Bergoglio non ha trovato toni simili neppure nei giornali ufficiali vaticani. Renzi, che aspetti ? O la cambi del tutto, cominciando dalla testata (persino la Pravda non c'è più in Russia) o la chiudi, tanto abbiamo già il Manifesto e Avvenire, perchè il PD deve dissanguarsi ?
Prima pagina non male... UDG
C'è chi crede ancora nel dialogo in Terra santa. E agisce di conseguenza, con un atto di grande rilevanza politica. È l'ultimo leader di pace Papa Francesco. «Ho incontrato SuaSantità. Il Vaticano ha riconosciuto completamente la Palestina come Stato indipendente, spero che altri Stati prendano esempio dalla Santa Sede». Sono le parole pronunciate dal presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) , dopo 23 minuti di colloquio con Papa Francesco, che lo ha ricevuto ieri in udienza, in occasione dell'apertura dell'ambasciata palestinese presso la Santa Sede. Dopo l'incontro con il Pontefice, è stato lo stesso Abu Mazen a scoprire la targa dell'ambasciata palestinese, a pochi passi da piazza San Pietro, a via di Porta Angelica. Con l'apertura del lla sede diplomatica si consolidano, quindi, i «buoni rapporti», come li ha definiti il Vaticano, «esistenti tra la Santa Sede e la Palestina». «È un piacere riceverla», ha detto papa Bergoglio al suo ospite sulla soglia della biblioteca; «anche io sono contento di essere qui», ha replicato il presidente Anp. Al momento della presentazione del seguito, un giovane palestinese ha offerto al Papa una maglietta di calcio con i colori della Palestina, ha detto qualcosa sul San Lorenzo, la squadra argentina per cui tifa il Papa, che si è messo a ridere. Abu Mazen ha donato al Pontefice una pietra proveniente dal Golgota, una icona raffigurante il volto di Gesù, una icona raffigurante la Sacra famiglia, un documentario sulla ristrutturazione della basilica della Natività e un libro sulle relazioni tra Santa Sede e Palestina II Papa ha ricambiato con la medaglia dell'anno giubilare, e copie in arabo della «Amoris laetitia» e della «Laudato sii».L'inaugurazione della ambasciata palestinese è «un traguardo significativo per il popolo palestinese, considerando che il Papa ha assunto una posizione morale, legale e politica nel riconoscere lo Stato di Palestina in base ai confini precedenti il '67», rimarca l'ambasciatore Issa Kassissieh. Da un'ambasciata che s'inaugura a una che potrebbe essere trasferita «Non possiamo parlare finché tale decisione non sarà effettivamente presa, ma se questa sarà la decisione pensiamo che non aiuterà la pace. Speriamo non accada», afferma Abu Mazen in riferimento alla possibilità, evocata più volte dal presidente eletto Donald Trump di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. La Sala stampa vaticana informa sui colloqui, definiti «cordiali», tra il presidente dello Stato di Palestina, Abu Mazen e il Papa, e tra il presidente il segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. «Nel corso dei coediali colloqui - spiega il comunicato della sala stampa - si sono rilevati anzitutto i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Palestina, suggellati dall'Accordo globale del 2015, che riguarda aspetti essenziali della vita e dell'attività della Chiesa nella società palestinese. In tale contesto, si è ricordato l'importante contributo dei Cattolici in favore della promozione della dignità umana e in aiuto dei più bisognosi, particolarmente nei campi dell'educazione, della salute e dell'assistenza». «Ci si è quindi soffermati - prosegue la nota - sul processo di pace in Medio Oriente, esprimendo la speranza che si possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti per giungere alla fine della violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili e ad una soluzione giusta eduratura. A tale scopo, si è auspicato che, con il sostegno della Comunità internazionale, si intraprendano misure che favoriscano la reciproca fiducia e contribuiscano a creare un clima che permetta di prendere decisioni coraggiose in favore della pace». Infine «non si è mancato di ricordare l'importanza della salvaguardia del carattere sacro dei Luoghi Santi per i credenti di tutti e tre le religioni abramitiche. Particolare attenzione è stata infine dedicata agli altri conflitti che affliggono la Regione». Il leaderdell'Anp, che l'altro ieri, dopo essere arrivato a Roma ha incontrato il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano, è giunto nella serata di ieri Parigi, dove oggi si terrà una Conferenza intemazionale sulla pace in Medio Oriente. «È forse l'ultima chance per la soluzione a due Stati». israeliano e palestinese, avverte il presidente Anp in un'intervista al francese Le Figaro.
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