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Libero Rassegna Stampa
11.01.2017 Vietato vendere il burqa in Marocco: un provvedimento da imitare
Commento di Souad Sbai

Testata: Libero
Data: 11 gennaio 2017
Pagina: 15
Autore: Souad Sbai
Titolo: «In Marocco il burka è vietato»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/01/2017, a pag. 15, con il titolo "In Marocco il burka è vietato", il commento di Souad Sbai.

In Marocco sarà vietata la vendita e la produzione del burqa, non il possesso. E' comunque un provvedimento che l'Europa dovrebbe imitare, mentre va nella direzione opposta in nome del "multiculturalismo".

Ecco l'articolo:

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Souad Sbai

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C'è qualcosa che non quadra nel mondo se il Regno del Marocco fa vietare dalla polizia produzione e vendita di burqa e niqab mentre il Regno Unito si appresta ad approvare la presenza di agenti di polizia che indossano il burqa. E' la dura realtà che dimostra la differenza fra una nazione dotata di identità, e dell'autoconsapevolezza di doverla difendere, a confronto con una che invece sta progressivamente mettendo al bando la propria.

Una circolare della polizia marocchina vieta il commercio e la produzione dei veli integrali femminili. I negozianti hanno 48 ore per svuotare i magazzini, dopodiché rischieranno chiusura, multe e sequestri. Nel Regno Unito, invece, le autorità del West Midlands puntano a raggiungere la quota del 30% di poliziotti di origine straniera aprendo anche alla possibilità per le poliziotte di vestire il velo integrale e non mostrare il loro volto. In Gran Bretagna ciò avviene nel nome della «diversità». Fra i due Paesi è il Marocco che sta davvero difendendo la diversità (senza virgolette) con una legge che tutela non solo le donne come individui ma anche la società e le tradizioni delle differenti anime del paese atlantico.

Il Regno del Marocco, infatti, oltre a una solida identità unitaria, rappresentata da una continuità dinastica secolare il cui Sovrano Mohammed VI è diretto discendente del Profeta, ha anche una forte plurailtà di culture che la compongono. Un po' come l'Italia con le sue specificità regionali, così diverse da nord a sud ma unite da una storia comune. Nel Marocco convivono etnie e culture differenti nell'unità della monarchia, e nelle loro tradizioni non c'è mai stato il burqa. Certo, alcune donne anziane usano coprirsi molto, ma è una tradizione assai differente da quella. Il burqa è una moda della globalizzazione, fortemente voluta dai wahabi salafita: non ce n'è traccia nel Corano. Il burqa non è "diversità" ma è la morte di ogni cultura tradizionale. E non è casuale che i petrodollari vadano a sostenere iniziative che centimetro per centimetro vogliono coprire il corpo delle donne fino a costringerle dietro la gabbia del burqa: infatti è con la distruzione delle culture tradizionali e nazionali che i fanatici integralisti sperano di ricostruire l'umma primigenia, la «comunità islamica indifferenziata» che esistette per un breve momento storico prima di scindersi nelle realtà locali e nazionali che hanno dato origine agli Stati moderni.

L'identità, dunque, è il vero obbiettivo del fanatismo. Innanzitutto l'identità personale delle donne, che deve sparire dietro la cappa nera. Poi l'identità dei popoli: dei popoli islamici che devono cessare d'essere nazioni distinte fra loro, e di quelli europei, che devono sfaldarsi nel falso nome della tolleranza e della diversità per poter essere conquistati. In questa strategia si vede chiaramente quale ruolo giochi l'immigrazione in Europa e la retorica dell'accoglienza e dell'integrazione... veri cavalli di Troia con cui distruggere e disintegrare tanto gli immigrati, che non avranno altra identità che quella del radicalismo religioso, quanto i paesi ospiti. Battaglie striscianti come quella del burqa sono dunque molto più che questione di costume o di «diritti umani».

Sono pilastri fondamentali dell'avanzata integralista contro l'Europa e gli Stati della sponda sud del Mediterraneo. Volete un esempio pratico? Nel 2009 chi scrive avanzò alla Camera una proposta di modifica dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152 a ungendo il «divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab». La proposta fece tutto l'iter e era quasi pronta per essere approvata da entrambi i rami del Parlamento. Poi giunse una lettera firmata da una quindicina di persone, molte delle quali italiani convertiti. La lettera fece il suo effetto e l'iter del provvedimento fu bloccato. Sarà forse un caso che alcuni dei firmatari di quella lettera poi siano partiti per andare a combattere in Siria contro il governo laico, socialista e nazionale di Assad?

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lettere@liberoquotidiano.it

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