Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/01/2017, a pag. 15, con il titolo "Attacchi da Egitto e Cisgiordania: il doppio fronte che minaccia Israele", la cronaca di Giordano Stabile; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Nemici utili", il commento di Daniele Raineri. AVVENIRE ha pubblicato un pezzo corretto, lo segnaliamo con piacere, come facciamo sempre, peccato che siano rari. Non lo riprendiamo in quanto è una versione ridotta di altri presenti in questa pagina.
Ecco gli articoli:
A sinistra un terrorista dell'Isis, a destra un terrorista di Hamas
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Attacchi da Egitto e Cisgiordania: il doppio fronte che minaccia Israele"
Giordano Stabile
Il palestinese che domenica ha fatto strage di militari a Gerusalemme aveva progettato l’attacco da almeno un anno. Ma non è sicuro se fosse un sostenitore dell’Isis. Il governo israeliano ha imboccato subito la pista della Stato islamico, le autorità palestinesi frenano, e negano che i seguaci del Califfo Abu Bar al-Baghdadi si siano impiantati in Cisgiordania. Israele si sente però assediata. Anche perché al confine Sud, nella penisola del Sinai, la branca locale dell’Isis è tornata all’attacco e ha scatenato un giorno di guerra urbana nella città di El-Arish, a poche decine di chilometri dal confine (10 i morti).
Ieri le indagini a Gerusalemme si sono concentrate a Jabel Mukaber, il quartiere del terrorista Fadi al-Qanbar, 28 anni. Nove persone sono state arrestate, compresi cinque familiari. Molti altri sono stati interrogati. È stata la sorella di Al-Qanbar a fornire i maggiori dettagli. Il fratello era sposato, con due figlie piccole, e avrebbe deciso di passare all’azione dopo un sermone in moschea incentrato sulla decisione del nuovo presidente Usa Donald Trump di spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme. L’idea di seguire le istruzioni propagandate dall’Isis sul Web, come quella di usare auto e camion per stragi di pedoni, era stata presa però almeno un anno fa, quando Al-Qanbar ha comprato il camion poi usato nell’attacco.
La pista della vendetta per la questione dell’ambasciata non è da escludere. La nuova sede si troverà probabilmente non lontano dalla Promenade Armon Hanatziv, dove è avvenuto il massacro. Trump potrebbe annunciarlo subito dopo l’insediamento il 20 gennaio. L’Autorità palestinese teme un’esplosione di violenze incontrollabile. Abu Mazen ha scritto al presidente eletto e gli ha chiesto di fermarsi perché la sua decisione potrebbe avere «conseguenze disastrose» in tutto il Medio Oriente. Un clima che favorirebbe solo la radicalizzazione dei giovani palestinesi, con Hamas e l’Isis in competizione nel reclutamento, proprio in quartieri come Jabel Mukaber.
Il rione palestinese in cima a una ripida collina è uno dei centri caldi della cosiddetta «Intifada dei coltelli». Dal Jabel Mukaber si sono mossi, il 13 ottobre 2015, Bilal Abu-Ghanem e Bahaa Alian, armati con una pistola e un coltello, per assalire un autobus sull’Armon Hanatziv: tre passeggeri rimasero uccisi. Sempre da Jabel Mukaber veniva Alla Abu Jamal, che lo stesso giorno del 2015 ha investito e ucciso il rabbino Yeshayahu Krishevsky, 59 anni, a Gerusalemme Ovest. Tutti attacchi legati più agli incitamenti di Hamas che a quelli dell’Isis. Per questo le forze di sicurezza palestinesi sono convinte che la pista dello Stato islamico sia fasulla. Il portavoce Adnan Damiri lo ha detto ieri a chiare lettere: «Non c’è Isis nei Territori occupati».
Anche in Israele gli avversari del premier Benjamin Netanyahu sono scettici e sospettano che usi lo spettro dell’Isis per distogliere l’attenzione dall’inchiesta per corruzione che lo assedia dall’inizio dell’anno. Il rischio di infiltrazioni però resta alto, soprattutto per la situazione nel Sinai. Qui la presenza di 30 mila soldati egiziani non è riuscita a debellare in due anni la branca locale del Califfato, Ansar Bait al-Maqdis.
La situazione è così seria che le forze di sicurezza del Cairo hanno riallacciato i rapporti con Hamas a Gaza, nonostante il movimento legato ai Fratelli musulmani sia un nemico storico del presidente Abdel Fatah al-Sisi. «Il nemico del mio nemico» è però un amico. E Hamas teme l’Isis alle porte quanto Al-Sisi. Ieri i combattenti islamisti sono tornati all’attacco di El-Arish, la cittadina chiave per il controllo del Nord della penisola. Un camion bomba ha devastato un posto di blocco. È seguito un assalto con armi leggere che ha tenuto in scacco i militari per l’intera mattinata nei sobborghi della città.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Nemici utili"
Daniele Raineri
Isis e Hamas: trovate le differenze
Roma. Dopo l’attentato palestinese che domenica ha ucciso quattro soldati a Gerusalemme, le Brigate Qassam del gruppo Hamas hanno rivendicato l’operazione e hanno detto che l’autore era uno dei loro. Invece il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: “Tutti gli indizi ci dicono che era un sostenitore dell’Isis”. Ecco una ricognizione dei rapporti tra i due gruppi islamisti. Hamas e lo Stato islamico hanno in comune alcuni metodi per attaccare – veicoli e coltelli, le tecniche si somigliano perché non ci sono modi infiniti di aggredire in ambienti controllati come Israele oppure in ambienti dove scarseggiano le armi da fuoco come in Europa. Dal punto di vista ideologico sono differenti, al punto da considerarsi nemici, anche se si tratta di un’inimicizia ad assetto variabile, come spesso accade in medio oriente.
Abu Omar al Baghdadi, capo dello Stato islamico fino alla sua morte nel 2010 (da non confondere con il suo successore, Abu Bakr al Baghdadi) definì Hamas “un gruppo di idioti”. I rimproveri principali sono da sempre due: Hamas ha accettato di correre alle elezioni, quindi in qualche modo ha legittimato il sistema della democrazia, che per lo Stato islamico è blasfemo perché in concorrenza diretta con la legge di Dio; numero due, Hamas accetta aiuti e finanziamenti da governi come il Qatar, male, e come l’Iran, malissimo perché centro mondiale del potere sciita (i sunniti dello Stato islamico considerano gli sciiti il loro nemico acerrimo, più ancora degli ebrei). Questa inimicizia è ricambiata da Hamas, che teme gli ultra-fanatici e il loro potenziale di scatenare conflitti contro Israele al momento meno opportuno e per questo compie raid e retate all’interno della Striscia di Gaza per arrestare in blocco quei gruppuscoli salafiti che si considerano cellule dello Stato islamico. Sono cellule piccole, che a intervalli regolari fanno uscire video su internet in cui gli uomini sono copertissimi, volti mani e corpi, perché sanno che Hamas è più efficiente dei servizi segreti degli altri paesi arabi quando si tratta di neutralizzare con brutalità i rivali interni.
Una cellula si chiama Battaglione dello sceicco Omar Hadid, dove Omar era il leader iracheno che combatté al fianco del giordano Abu Musab al Zarqawi nella battaglia di Falluja, anno 2004. Più amore per l’Isis di così, non si potrebbe sfoggiare (e infatti il “battaglione” è affiliato al Wilayat Sinai, la divisione egiziana dello Stato islamico – lo dicono fonti dello stesso gruppo estremista). Il rapporto tra Hamas e lo Stato islamico però non è così netto, non c’è soltanto inimicizia. Dentro Gaza i servizi di sicurezza di Hamas sono duri contro i locali che si fanno tentare dalla deriva verso al Baghdadi. Fuori da Gaza, però, al confine sud, quindi nella penisola del Sinai, hanno un rapporto utilitaristico con lo Stato islamico che infesta l’area e combatte una guerriglia logorante contro l’esercito egiziano.
Secondo una bella analisi pubblicata dall’analista italiana Benedetta Berti (lavora in Israele) per il think tank Carnegie, Hamas scambia armi con i baghdadisti egiziani e talvolta li ospita nei suoi ospedali di Gaza, dove possono ricevere cure mediche che nel Sinai non troverebbero. In cambio, lo Stato islamico non fa quello che potrebbe fare con una certa facilità, ovvero strozzare le linee di rifornimento di contrabbando – le poche rimaste – che dal deserto vanno verso la Striscia. I fanatici si muovono nel mondo clandestino che vive a ridosso della linea di confine, hanno contatti con i clan tribali, se volessero potrebbero rendere la vita di Hamas molto dura – come già fa l’esercito del presidente Abdel Fattah al Sisi, che allaga i tunnel del contrabbando con acqua di fogna per renderli inservibili e collabora con Israele per la sorveglianza (al punto che i droni israeliani possono colpire in quella fascia del Sinai, ma è una notizia che non è mai stata confermata in via ufficiale).
A questa ambiguità politica – un po’ nemici, un po’ collaboratori – si aggiunge anche che alcuni combattenti di Hamas lasciano il movimento e si vanno ad arruolare nello Stato islamico e si tratta di casi in aumento: un video da Mosul uscito a dicembre mostra un ex comandante della polizia di Hamas morto di recente in Iraq, e un altro video dal Sinai – uscito anche questo a dicembre – mostra un altro uomo di Hamas finito a combattere e poi ucciso con lo Stato islamico in Egitto.
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