Riprendiamo da LIBERO di oggi, 09/01/2017, a pag. 11, con il titolo "A Gerusalemme come a Nizza e a Berlino", la cronaca di Daniel Mosseri; con il titolo "Ma chi colpisce Israele non riesce a farla franca", il commento di Carlo Panella; dal CORRIERE della SERA, a pag. 9, con il titolo "Aharon Appelfeld: 'Qui in Israele lo stesso terrore che ha colpito Parigi e Berlino' ", l'intervista di Lorenzo Cremonesi a Aharon Appelfeld.
A destra: il luogo dell'attentato di ieri a Gerusalemme
Su quasi tutti i quotidiani compaiono cronache e commenti sull'attentato che ieri ha colpito Gerusalemme. Quasi tutti i pezzi pubblicati sono sbilanciati, in quanto richiamano fatti che non c'entrano nulla con l'attentato. Si veda il titolo di Repubblica al commento di Guolo.
Su Repubblica la disinformazione tocca il culmine, con un articolo di Renzo Guolo dal titolo "Ma Bibi accusa l'Isis per silenziare le critiche ai coloni", in cui il motivo dell'attentato è ricondotto alla "espansione" di Israele, che avrebbe posto le basi per una "grande Gerusalemme" e non - come dovrebbe essere - all'odio islamista contro Israele e gli ebrei. Inoltre il terrorista che ha assassinato con un camion quattro soldati israeliani e ne ha feriti altri non è mai definito come tale.
Non riprendiamo questo articolo, i tre che seguono sono i pezzi, tra quelli pubblicati oggi, che informano correttamente.
Ecco gli articoli:
LIBERO - Daniel Mosseri: "A Gerusalemme come a Nizza e a Berlino"
Daniel Mosseri
Dal lungomare di Nizza al cuore di Berlino ovest, e da qua alle mura di Gerusalemme. Il terrorismo torna a colpire con i camion lanciati sui pedoni ai margini della strada. A rimetterci la vita sono stati, domenica in un quartiere orientale della Città Santa, quattro militari israeliani appena scesi da un autobus. Altre 16 persone sono rimaste ferite, due delle quali in modo grave, «ma nessuno è in immediato pericolo di vita», ha informato il direttore del Hadassah Medical Center, Yoram Weiss.
L'attacco è avvenuto sulla passeggiata di Armon HaNatziv, settore sudorientale di Gerusalemme strappato da Israele alla Giordania nel 1967. La passeggiata locale porta a un memoriale che ricorda quella battaglia e la zona era particolarmente affollata di militari: ieri era il 10 di tevet nel calendario ebraico, un giorno che ricorda l'inizio dell'assedio di Gerusalemme da parte del sovrano babilonese Nabuccodonosor nel 687 a.C. Le telecamere della zona hanno ripreso la scena: un pullman dell'esercito è accostato al marciapiede. Lanciato a tutta velocità, un tir scarta l'autobus e piomba sui giovani militari appena scesi, travolgendoli. Poi si ferma pochi metri più avanti.
Nell'impatto perdono la vita tre ragazzi e una ragazza - in Israele il servizio militare è obbligatorio per entrambi i sessi - tutti sulla ventina. L'impatto è così repentino che un gruppetto di militari poco distanti non si accorge della tragedia in corso. L'autista del tir non è però ancora soddisfatto e torna all'attacco in retromarcia. Prima di riuscire a mietere nuove vittime, l'uomo è ucciso da un civile armato presente sul luogo.
E qui le differenze con Nizza e Berlino svaniscono: l'attentatore non era uno straniero venuto da lontano ma un residente di Gerusalemme est. «Conosciamo l'identità dell'attentatore e tutti i segnali puntano a indicarlo come un sostenitore dello Stato islamico», ha detto premier israeliano Benjamin Netanyahu giunto sul luogo della strage. Dando immediata applicazione a una recente disposizione del governo, il ministro della Pubblica sicurezza Gilad Erdan ha dato ordine alla polizia di non restituire la salma dell'attentatore alla sua famiglia. «Quello di oggi è un crimine particolarmente odioso, grave e doloroso, che potrebbe portare a fenomeni di emulazione. Noi non permetteremo che un terrorista vigliacco e la sua famiglia abbiano un funerale che possa tributargli il rispetto che poi incoraggi altri assalitori».
L'uomo, riferiscono i media israeliani, è stato poi identificato come Fadi al Qanbar, del vicino quartiere di Jebl Mukaber. Il capo della polizia, Roni Alsheich, ha riferito ai media di non aver ricevuto alcun segnale sull'imminenza di un attacco di questo tipo. Neppure Netanyahu ha voluto aggiungere altro: prima di convocare d'urgenza il gabinetto di sicurezza, il premier si è limitato a un «stiamo prendendo altre misure, che non voglio dettagliare in questa sede, per assicurarci che attacchi di questo tipo non si producano più». Più polemico il suo ministro della Difesa, Avigdor Liberman. Con riferimento alla recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu contro gli insediamenti israeliani (approvata grazie all'astensione degli Usa), Liberman ha detto che l'attacco non è stato fomentato dagli insediamenti, ma dal semplice fatto «che siamo ebrei e viviamo in Israele. Non c'è bisogno di andare alla ricerca di alcun motivo: si è trattato di un attacco ispirato dall'Isis».
Da parte loro le brigate Ezzedin al-Qassam di Hamas, il movimento islamico al potere nella Striscia di Gaza, hanno reso noto che al Qanbar era un ex prigioniero di Israele, poi rilasciato, e lo hanno definito un «mujahid», un combattente per il jihad. A rinfocolare le polemiche anche l'intervento in tv di Eitan Rund, il civile che ha ucciso l'attentatore. «Mi sono chiesto perché in presenza di tanti militari, il primo a dover sparare sia stato un civile di 30 anni». La risposta che Rund si è dato è il caso di Elor Azaria, il militare israeliano condannato la settimana scorsa per omicidio dopo aver ucciso un attentatore palestinese che giaceva a terra già ferito. Secondo Rund il timore di essere condannati come Azaria è stato «senza ombra di dubbio» uno dei motivi della reazione lenta dei militari.
LIBERO - Carlo Panella: "Ma chi colpisce Israele non riesce a farla franca"
Carlo Panella
Non c'è scampo, non c'è difesa: quando la morte terrorista ti arriva addosso con un camion mentre scendi da un autobus, o ti schiaccia con un'automobile, mentre aspetti sotto una pensilina o, con una coltellata a tradimento mentre passeggi per strada, non c'è nulla da fare. Neanche a Gerusalemme o Tel Aviv, le città più presidiate e controllate del mondo. Ben quaranta sono gli israeliani che sino a ieri erano già stati uccisi dai terroristi dal 2015 e oggi si aggiungono altre vittime. L'unica differenza tra Israele e Berlino è che a Gerusalemme il jihadista killer è stato freddato immediatamente, prima ancora che riuscisse a continuare la strage innestando la retromarcia. A Berlino Anis Amri non solo ha agito indisturbato, ma si è allontanato senza che nessuno lo inseguisse.
L'unica, notevole novità di quest'ultima strage è l'indicazione delle autorità israeliane: è un attentato dell'Isis. Non più dunque un «cane sciolto» radicalizzato sul web (come la maggior parte degli attentatori in Israele degli ultimi due anni), non un miliziano di Hamas o del Jihad Islamico. La capacità dell'Isis di fare proseliti a Gaza e in Cisgiordania era stata segnalata già da mesi dai Servizi Israeliani, sintomo della perdita di egemonia sia di Hamas, che delle organizzazioni jihadisti palestinesi minori.
Ma la capacità di colpire al cuore di Gerusalemme, per di più facendo strage di soldati israeliani, segna un salto di qualità indubbio. L'Isis dispone di una rete universale, come testimonia l'ultima diabolica sequenza di attentati: a Berlino, subito dopo a Istanbul, poi a Baghdad, poi a Damasco e ora a Gerusalemme. Sempre più si avvera la previsione che ci consegnarono i massimi dirigenti della Security israeliana: «Il terrorista che getta di colpo un autoveicolo sulla folla è imprevedibile, inintercettabile, inevitabile. L'unica cosa che si può fare è stendere una tale rete di sicurezza nelle città, che lo fermi al più presto, o che l'arresti. O che lo uccida».
Resta la terribile evidenza: Berlino è come Gerusalemme e Gerusalemme è come Berlino. E a Berlino non vi sono coloni che occupano terreni palestinesi, né un soldato tedesco ha mai sparato su un miliziano dell'Isis. Siamo tutti target, qualsiasi cosa abbiamo fatto o non fatto. Solo perché siamo «cristiani» o ebrei. Ed è bene non dimenticarci che il presidio dell'Occidente, a ridosso dell'Isis è Israele. Nonostante l'Onu, nonostante Obama.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Aharon Appelfeld: 'Qui in Israele lo stesso terrore che ha colpito Parigi e Berlino' "
Lorenzo Cremonesi
Aharon Appelfeld
«Occorre comprendere che questo terrorismo che insanguina Israele è lo stesso che colpisce le vostre città europee. Gli estremisti islamici fanno la guerra al mondo occidentale e a Israele, che ne rappresenta l’avamposto in Medio Oriente. Non c’è differenza tra le stragi di Berlino, Parigi, Bruxelles o Gerusalemme». Aharon Appelfeld da sempre racconta nei suoi libri la tragedia degli ebrei al tempo del nazismo e anche commentando le cronache del presente non nasconde di essere pesantemente condizionato dal suo passato. Aveva nove anni nel 1941, quando la sua famiglia fu sterminata nel suo villaggio di Jadova (allora Romania, oggi Ucraina). Lui si nascose nella foresta, riuscì a unirsi a un gruppo di partigiani e sopravvivere prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, dove venne preso come cuoco al seguito delle truppe. Emigrato in Israele divenne scrittore. È autore di 46 romanzi. Dice: «Sto scrivendo il 47esimo che sarà la saga dell’ebreo a cavallo del nuovo millennio».
Non crede che Isis sia diverso dagli attivisti palestinesi? Se non altro i movimenti palestinesi precedono di gran lunga Al Qaeda e il Califfato. «Vero. Ma sempre di più i palestinesi sono condizionati dal fondamentalismo islamico. Il terrorismo è il loro pane quotidiano. E con i terroristi non si tratta; è impossibile avviare un dialogo politico concreto sotto la minaccia della violenza. La stessa Hamas oggi guarda con simpatia crescente ai fanatici seguaci di Abu Bakr Al Baghdadi».
In questo ultimo attentato a Gerusalemme l’obiettivo erano soldati israeliani: agli occhi anche dei palestinesi moderati è più legittimo che non uccidere civili. «Non concordo. Non ci vedo alcuna legittimità. Si tratta di un attentato a sangue freddo nel mezzo di un nucleo urbano. Va condannato sempre e comunque. Io sono un fedele sostenitore del dialogo a tutti i costi. Sono un liberale che crede nei negoziati. Ma occorre che esistano le condizioni per poterli portare avanti».
Eppure, la parte araba di Gerusalemme Est è sempre più accerchiata dai nuovi quartieri ebraici. In Cisgiordania le colonie continuano a crescere. Di fatto la politica israeliana tende a rendere impossibile qualsiasi compromesso territoriale e dunque il dialogo. Non crede? «Occorre continuare a lavorare per il compromesso. E compromesso per definizione significa che noi non avremo tutto, ma neppure loro lo avranno. Non sarà possibile tornare al vecchio confine del 1967, ma noi non potremo annettere l’intera Cisgiordania. Ci saranno due Stati separati. Alcune colonie ebraiche dovranno per forza venire smantellate. Però non tutte».
Pensa che alcune colonie possano restare sotto una futura sovranità palestinese? «E perché no? Abbiamo tra noi tanti arabi israeliani che votano alla Knesset e godono dei pieni diritti civili e politici. Non vedo per quale motivo non potrebbero esserci anche più di duecentomila cittadini ebrei di uno Stato palestinese. Quando ero bambino i nazisti imposero la Judenrein , la pulizia etnica antiebraica. Oggi non vedo perché la debbano applicare gli arabi nei confronti degli israeliani».
Tanti osservatori reputano che ormai è irreversibile: si stanno creando le basi per uno Stato binazionale tra il Mediterraneo e il Giordano. Che ne pensa? «Non ci credo. Oltre l’80% degli ebrei israeliani vive ancora all’interno dei confini del 1967. Per noi annettere oltre due milioni di arabi sarebbe una catastrofe, ne soffrirebbe la stessa democrazia israeliana. Occorre invece a tutti i costi riprendere il processo negoziale con i palestinesi, non vedo alcuna alternativa al dialogo».
Teme gli estremisti ebrei? «Certo che li temo e molto. Ma sono poche migliaia. La maggioranza degli israeliani crede nel compromesso. Abbiamo un esercito forte che ci difende. Non siamo imbelli come nel 1939. Non ci sarà mai più un altro Olocausto. Abbiamo la stabilità e l’energia per cercare una soluzione politica».
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