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Libero Rassegna Stampa
08.01.2017 Netanyahu taglia i fondi all'Onu, il Congresso è dalla parte di Israele
Commento di Daniel Mosseri

Testata: Libero
Data: 08 gennaio 2017
Pagina: 12
Autore: Daniel Mosseri
Titolo: «L'Onu blocca, Israele non paga»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/01/2017, a pag.12, con il titolo "L'Onu blocca, Israele non paga", l'articolo di Daniel Mosseri, che racconta nei particolari il difficile rapporto con la quasi giunta al termine Amministrazione Obama.

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Daniel Mosseri

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Consiglio di Sicurezza Onu

Uno-due contro le Nazioni Unite e contro Barack Obama da parte del Congresso Usa e del governo israeliano. Giovedì la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato una mozione contro la risoluzione di fine dicembre del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che ha condannato la politica degli insediamenti condotta da Israele. Con un'ampia maggioranza bipartisan (342 a favorevole  e 80 contrari), i deputati a stelle e strisce hanno definito il testo congedato dal Palazzo di Vetro «di parte e contro Israele». La risoluzione Onu era stata approvata grazie all'astensione degli Usa che, per la prima volta negli ultimi 36 anni, non hanno usato il loro diritto di veto per bloccare il testo anti-Israele, avanzato da Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela.
Se per le Nazioni Unite gli insediamenti israeliani «sono privi di validità legale e rappresentano una flagrante violazione della legalità internazionale», secondo la Camera Usa la risoluzione 2334 «fornisce legittimità agli sforzi dell'Autorità palestinese per imporre la sua soluzione [al conflitto] attraverso le organizzazioni internazionali e attraverso ingiustificate campagne di boicottaggio e di disinvestimento contro Israele».
Il testo chiede anche «l'annullamento o la modifica sostanziale» della 2334.
Poche ore dopo, la decisione dell'esecutivo israeliano: «E irragionevole per Israele finanziare entità che agiscono contro di noi all'Onu», ha dichiarato l'ambasciatore al Palazzo di Vetro, Danny Danon.
Parole a cui ha fatto seguito un taglio per sei milioni di dollari al contributo da 40 milioni che annualmente il governo di Gerusalemme versa nelle casse dell'Onu. Un taglio proporzionato al budget che le Nazioni Unite assegnano a quattro commissioni sulla questione palestinese: «Vogliamo mettere fine alla pratica per cui l'Onu è utilizzata solo come un forum per attacchi senza fine contro Israele».
La decisione del governo guidato da Benjamin Netanyahu - da tempo «ansioso» di collaborare con l'amministrazione entrante - e il voto della Camera, presto imitata dal Senato come promesso dai senatori Kindsey Graham e Ted Cruz - danno il senso di una transizione difficile fra Barack Obama e Donald Trump.
La convergenza di tanti deputati democratici sulla mozione anti-Onu è poi il segnale di come, con il mancato veto, il presidente uscente abbia strattonato il suo stesso partito. La netta scelta anti-Israele dettata da Obama a fine mandato sa invece di «fatto compiuto», destinato a legittimare azioni parimenti clamorose da parte di Trump.
Fra queste l'atteso trasferimento dell'ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv, sede della maggior parte delle missioni diplomatiche, a Gerusalemme, considerata da Israele «capitale unica e indivisibile» dello Stato ebraico.
Poiché lo status dei quartieri orientali, annessi da Israele in seguito alla Guerra dei Sei Giorni (1967), è contestato dai palestinesi, il mondo si è ben guardato dal riconoscere Gerusalemme come capitale. Nel 1995, tuttavia, il Congresso Usa approvò il Jerusalem Embassy Act stabilendo lo spostamento della missione americana proprio nella Città Santa. La decisione congressuale è rimasta lettera morta ma già in campagna elettorale Trump ha promesso di spostare l'ambasciata. Contro di lui si è espresso il duo Kerry-Abbas. Intervistato dalla Cbs, il segretario di Stato americano ha detto che la mossa potrebbe causare «un'esplosione assoluta nella regione e non solo nella West Bank ma forse anche nelle stessa Israele».
Parole che suonano più come un incitamento alla rivolta che non l'espressione della ponderata preoccupazione da parte del capo della diplomazia americana. Con lui il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas: «Qualsiasi dichiarazione (o azione) che alteri lo status di Gerusalemme è una linea rossa che non accetteremo» e il suo superamento, ha aggiunto, potrebbe minare le chance di ripresa del processo di pace.

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