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La Stampa - L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
06.01.2017 Caso Azaria, il 70% degli israeliani è dalla sua parte. Ma in Italia nessuno lo scrive
Con Francesca Paci, David Grossman, Osservatore Romano, Manifesto

Testata:La Stampa - L'Osservatore Romano
Autore: Francesca Paci
Titolo: «'Tra israeliani e palestinesi il perdono è ancora lontano' - Netanyahu auspica la grazia per il caporale condannato»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/01/2017, a pag. 16, con il titolo "Tra israeliani e palestinesi il perdono è ancora lontano", il commento di Francesca Paci, che intervista David Grossman; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 2, la breve "Netanyahu auspica la grazia per il caporale condannato".

A destra: Elor Azaria. Secondo i sondaggi, il 70% degli israeliani vorrebbero che fosse graziato.

Sul Manifesto, a pag. 7, Michele Giorgio scrive il quotidiano articolo di odio contro Israele. Secondo Giorgio la giustizia in Israele avrebbe due pesi e due misure, e Azaria avrebbe avuto un trattamento di favore mentre i "giovani palestinesi" vengono trattati con durezza. Giorgio "dimentica" che i "giovani palestinesi" a cui si riferisce sono terroristi armati che attaccano civili o militari israeliani con l'intenzione di uccidere. Ben diverso è il gesto - un atto di difesa contro un terrorista che aveva già accoltellato alcuni soldati israeliani - del soldato Azaria. Non  è il caso di riprendere l'articolo.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Francesca Paci:"Tra israeliani e palestinesi il perdono è ancora lontano"

Sia le dichiarazioni di David Grossman, sia la cronaca di Francesca Paci sono faziose e disinformanti.

1) Scrive Paci: "Elor Azaria, condannato dal Tribunale militare di Tel Aviv per aver ucciso un palestinese ferito e inerme". Il palestinese era un terrorista che aveva cercato di uccidere pochi istanti prima, non un giovane innocente. Perché Paci non lo riporta?

2) Secondo Grossman "La richiesta di perdono di Netanyahu è oltraggiosa". Non è chiaro, però, perché Netanyahu non avrebbe diritto di esprimere la propria posizione, soprattutto di fronte a un caso tanto controverso.

3) Continua Grossman a proposito di israeliani e palestinesi: "A forza di porre pre-condizioni al dialogo, entrambi si sono allontanati dall’idea di dialogo, la mentalità della guerra è penetrata così a fondo nei cuori". Non distinguere tra israeliani e arabi palestinesi è folle. Israele, infatti, da ancora prima di nascere come Stato nel 1948 chiede esclusivamente la pace e la sicurezza, la controparte araba vuole la distruzione dello Stato ebraico molto più che l'edificazione di uno Stato arabo palestinese.

4) Grossman conclude nel modo peggiore: "se un Paese occupa la terra altrui per oltre 50 anni i suoi abitanti arrivano a pensare di essere superiori e questo è l’inizio di un processo pericoloso che alla lunga si rivolge contro di te". I territori contesi (secondo la stessa definizione adottata a Oslo) sono per Grossman "occupati", una posizione che non regge poiché non è mai esistito uno "Stato di Palestina" prima del 1967 che fosse possibile "occupare". L'idea di un processo pericoloso nella società israeliana è inoltre una opinione personale che Grossman dovrebbe argomentare e comprovare, altrimenti rimane una semplice opinione non documentata.

Ecco l'articolo:

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Francesca Paci

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David Grossman

La storia del sergente israeliano Elor Azaria, condannato dal Tribunale militare di Tel Aviv per aver ucciso un palestinese ferito e inerme, racconta assai più dell’episodio in sé, accaduto l’anno scorso a Hebron. Il premier Netanyahu minimizza i propri guai giudiziari - ieri è stato interrogato per la seconda volta in pochi giorni nell’ambito di un’inchiesta per corruzione - ma si è esposto per il giovane soldato chiedendone il perdono. Se è vero che altri come la laburista Shelly Yachimovich hanno fatto lo stesso temendo per la tenuta di un Paese «vicino alla rottura», molti analisti come Nahum Barnea leggono nel gesto di Bibi l’ennesima sortita nel terreno della destra radicale, l’assist alla paura irrazionale che gonfia le vele a populisti e ultra-nazionalisti.

Non è tempo di perdono in Israele, ammette lo scrittore David Grossman, che nell’ultimo romanzo «Applausi a scena vuota» (Mondadori) fa traspirare la nostalgia d’un passato promettente. «La richiesta di perdono di Netanyahu è oltraggiosa perché giunge nel mezzo di un procedimento giudiziario non ancora chiuso, è una violazione della legge, non se ne sarebbe dovuto neppure discutere prima dell’appello, della Corte Suprema, prima di un pentimento del soldato» ci dice al telefono dallo studio dove lavora al nuovo libro. La vicenda però, è emblematica: «Al tema del perdono di Azaria si sovrappone quello del perdono tra israeliani e palestinesi, un’ipotesi da cui oggi siamo molto lontani. Entrambi i popoli saranno capaci di perdonarsi reciprocamente e interrompere la stereotipizzazione e la demonizzazione dell’altro solo quando verranno risolti i problemi territoriali, politici e religiosi». E lui, il paladino del perdono che ha perso un figlio nella guerra del Libano del 2006, non vede lumi all’orizzonte, su cui le ultime speranze di pace sembrano essere state sepolte con l’ex presidente Shimon Peres: «Tra israeliani e palestinesi si è imposto il sospetto, ciascuna delle due parti diffida dell’altra a costo di danneggiare se stessa. A forza di porre pre-condizioni al dialogo, entrambi si sono allontanati dall’idea di dialogo, la mentalità della guerra è penetrata così a fondo nei cuori che nessuno è più capace di pensare la pace».

Negli ultimi anni Grossman si è profuso in appelli per la riconciliazione in Medioriente, da quello del 2012 con l’algerino Boualem Sansal a quello recente con Amos Oz e 500 intellettuali internazionali. Non ha cambiato molto, ma è cambiato Israele. Oggi un ex soldato di leva ai tempi della prima Intifada racconta che «trent’anni fa quando un militare usava il fucile contro i valori dell’esercito finiva in cella automaticamente e senza clamore mentre Azaria è addirittura considerato un eroe e non solo dai coloni».

Il processo che ha spaccato il Paese è stato accompagnato da 9 mesi d’indagini, testimoni, udienze di generali e un verdetto di 124 pagine e 288 clausole. Non è bastato a raffreddare gli animi, e ieri sono stati arrestati due blogger che avevano minacciato di morte i giudici su Facebook. Certo, ad accusare il sergente è stato un video di B’Tselem, l’associazione pacifista israeliana che si batte per i diritti dei palestinesi. Sono però, secondo Grossman, voci sempre più isolate: «C’è chi denuncia gli abusi, ma la maggioranza del Paese non ne capisce il perché. Domina l’emotività e sono sotto scacco la società civile, lo Stato di diritto, la logica. È sbagliato parlare di paranoia perché Israele ha davvero tanti nemici e ha bisogno di essere forte per difendersi, ma è passato il principio che basti la forza. Così però s’indebolisce la democrazia. Il fondamento della democrazia è infatti che tutti gli uomini sono uguali, ma se un Paese occupa la terra altrui per oltre 50 anni i suoi abitanti arrivano a pensare di essere superiori e questo è l’inizio di un processo pericoloso che alla lunga si rivolge contro di te».

L'OSSERVATORE ROMANO: "Netanyahu auspica la grazia per il caporale condannato"

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La breve di OR è un concentrato di disinformzione contro Israele. Secondo il quotidiano dei vescovi il soldato Azaria avrebbe sparato al terrorista "senza un'apparente provocazione". Il fatto che il terrorista avesse appena accoltellato un altro soldato israeliano, con l'intenzione di ucciderlo, non interessa a OR, che il morto palestinese fosse un terrorista è un fatto secondario, da non citare. Come sempre preferisce diffamare Israele.

Ecco la breve:

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Sarà pronunciata il 15 gennaio la sentenza nei confronti del caporale dell'esercito israeliano, Elor Azaria, che ieri è stato riconosciuto dalla corte marziale di Tel Aviv colpevole di omicidio colposo, per avere deliberatamente ucciso un assalitore palestinese già ferito in precedenza. Lo riferisce il quotidiano «The Times of Israel». Secondo i giudici, il caporale Azaria ha agito al di fuori delle regole di ingaggio dell'esercito israeliano. In base all'accusa, non ci sono dubbi che il proiettile esploso dal militare il 24 marzo scorso abbia ucciso il palestinese mentre si trovava immobilizzato a terra. Uno sparo alla testa, senza un'apparente provocazione da parte del palestinese che prima di essere fermato aveva ferito a coltellate un soldato israeliano a un checkpoint nei pressi di Hebron (Cisgiordania). Secondo diversi osservatori, Azaria rischia venti anni di carcere. Ma già oggi esponenti del mondo politico si sono attivati in suo favore e hanno invocato pubblicamente un gesto di perdono nei suoi confronti. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha auspicato la grazia.

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