Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/01/2017, a pag. 13, con il titolo "Uccise palestinese steso a terra inerme, soldato condannato e Israele si spacca", il commento di Alberto Stabile; dal MANIFESTO, a pag. 8, con il titolo "Condannato il soldato-killer, in Israele barricate bipartisan", il commento di Michele Giorgio.
Alberto Stabile scrive un articolo disinformante dalla prima all'ultima riga. Il titolo ben riassume il contenuto: "Uccise palestinese steso a terra inerme, soldato condannato e Israele si spacca". In questo caso non solo si cela l'azione terrorista dell'attentatore, ma addirittura si insiste a più riprese sul fatto che fosse inoffensivo, una teoria che non sta in piedi, dal momento che pochi attimi prima l'attentatore aveva accoltellato un altro soldato israeliano, per fortuna non mortalmente anche se l'intenzione era di uccidere.
Sul Manifesto Michele Giorgio, come ogni giorno, prima di scrivere un pezzo su Israele intinge la penna nel calamaio dell'odio. Giorgio va oltre quanto scritto da Stabile, che almeno aveva constatato la varietà di opinioni in Israele, sull'operato di Azaria. Per Giorgio invece esiste una sola versione e - cosa falsa - tutta Israele difenderebbe a spada tratta e senza ragione il gesto del soldato Azaria. Ancora una volta, un articolo che fomenta odio e terrorismo contro Israele.
Analogo all'articolo di Giorgio è quello di Roberta Zunini sul Fatto Quotidiano, a pag. 15. Anche in questo caso esiste una sola versione dei fatti, e la terminologia scelta e ripetuta ossessivamente è disinformante ("territori palestinesi occupati", "estrema destra israeliana", "colonie", "esercito israeliano feroce", "menzogne di Azaria"). Insieme a quella del Manifesto, la cronaca più sbilanciata contro Israele. Non lo riprendiamo, essendo simile a quello di Giorgio.
Ecco gli articoli di Stabile e Giorgio:
LA REPUBBLICA - Alberto Stabile: "Uccise palestinese steso a terra inerme, soldato condannato e Israele si spacca"
Alberto Stabile
COLPEVOLE. Ma soltanto di omicidio colposo e «condotta riprovevole». L’incubo di una lunga condanna per omicidio volontario, s’era dissolto da tempo per Elor Azaria, il soldato israeliano di 20 anni, 19 all’epoca del fatto, messo sotto processo per aver ucciso a sangue freddo un militante palestinese che giaceva a terra, ferito, dopo aver accoltellato assieme ad un complice un altro soldato. Ma nonostante l’attesa generale sia per una condanna lieve, che sarà resa nota più avanti, il processo contro Azaria, un infermiere in servizio presso la Brigata Kfir, di stanza ad Hebron, continua a dividere Israele.
Centinaia di persone hanno presenziato all’udienza finale presso il Tribunale militare di Tel Aviv, nello stesso complesso chiamato Hakiria che ospita gli stati maggiori, a due passi dalla stazione centrale e dallo svincolo per l’autostrada Ayalon, l’arteria che attraversa il Paese da Nord a Sud. E proprio verso l’autostrada, con la chiara intenzione di bloccarla, si sono diretti i dimostranti al grido di «Elor è nato libero», «Elor eroe e soldato modello». Mentre qualcuno inalberava anche un cartello in tema con i gusti della destra israeliana verso gli Stati Uniti: «Donald Trump rendi l’America di nuovo grande!». Incidenti, arresti, autostrada bloccata per ore, mentre nell’aula, la madre del giovane imputato, aspettava il momento in cui la presidente del tribunale, il colonnello Maya Heller, abbandonasse lo scranno assieme ai due giudici a latere per urlare: «Vergognatevi! ». In realtà c’è molto poco di eroico e di esemplare nel comportamento di Elor. Basta rivedere il filmato che riprende la scena del delitto, consegnato dall‘organizzazione per la difesa dei diritti umani, B’Tselem, agli inquirenti. Siamo ad Hebron, nel quartiere di Tel Rumeida, vale a dire in quello che è da sempre il crogiolo della tensione che aleggia permanentemente tra i 500 o 600 coloni ultra nazionalisti che occupano il centro e le migliaia e migliaia di palestinesi che li circondano. Un uomo giace esanime, immobile, a terra. L’autopsia dirà che non è morto. Assieme ad un complice ha accoltellato in modo non grave, un soldato. Il complice è stato ucciso, lui, Abdel Fatah al Sharif, 20 anni, è stato “neutralizzato”, dicono i giornali.
È il 24 marzo del 2016, il culmine dell’”intifada dei coltelli” a cui le forze di sicurezza israeliane, rispondono con estrema durezza, spesso uccidendo gli assalitori anche quando potrebbero agevolmente arrestarli. Improvvisamente, da un gruppetto di due o tre militari armati di tutto punto, si stacca un giovane in divisa, si avvicina al corpo immobile di Abdel Fatah al Sharif, solleva con naturalezza il fucile, prende la mira da un paio di metri di distanza e spara. Un rivolo di sangue scorre dalla nuca dell’uomo ferito e disteso a terra. È un’esecuzione a freddo, immotivata. Ma non per Elor che dirà ai superiori di aver agito per neutralizzare un pericolo e «salvare vite umane». Secondo lui il palestinese poteva raggiungere il coltello già adoperato e addirittura far esplodere una carica esplosivo che poteva portare addosso. Ma nulla di tutto questo supera i riscontri delle indagini, mentre appare sempre più credibile quello che Elor dice al suo comandante, Tom Neeman, nell’immediatezza del fatto: «Questo terrorista doveva morire».
Elor parla alla pancia di un Paese la cui maggioranza vede negli “arabi” un nemico da combattere e non sembra disposto a ripensare criticamente quell’occupazione dei Territori che quest’anno compie cinquant’anni. Persino il premier Netanyahu, dopo aver garantito il suo appoggio all’esercito, chiama i parenti dell’imputato, ai quali rappresenta la sua vicinanza «come padre di un soldato». E dice che Elor «merita la grazia», anche se fa appello a tutti gli israeliani perché si comportino con responsabilità. La vice ministro degli Esteri Tzipi Hotoveli parla di «un processo farsa dalla conclusione predeterminata ». Molti, anche a sinistra, chiedono al Presidente Rivlin che conceda la grazia ad Elor.
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Condannato il soldato-killer, in Israele barricate bipartisan"
Michele Giorgio
«Il verdetto di colpevolezza per il soldato Elor Azaria ci fa capire a che punto siamo in Israele. I comandi militari, il capo di stato maggiore Eisenkot, sia pure con le ambiguità che ben conosciamo, non vogliono il far west [nei territori palestinesi occupati] e chiedono ai soldati il rispetto degli ordini e del codice [militare]. Questa linea non è condivisa da un'ampia porzione di israeliani, forse la maggioranza, che invece considera il condannato un buon soldato che ha fatto la cosa giusta. E il fatto che anche i laburisti chiedano il perdono per Azaria contribuisce a mettere in una luce positiva un militare che ha commesso un omicidio».
È LA FOTOGRAFIA che l'opinionista Michael Warschawsky ci faceva ieri sera a commento di una giornata di forte tensione a Tel Aviv - con scontri tra polizia e dimostranti di destra - dopo la lettura della sentenza della Corte militare di Tel Aviv che ha giudicato responsabile di omicidio colposo Elor Azaria, il soldato che lo scorso 24 marzo a Hebron uccise a sangue freddo Abdel Fattah al Sharif, un palestinese ormai moribondo - era stato ferito gravemente da colpi di arma da fuoco dopo che aveva accoltellato un militare - e non in grado di nuocere. Tensioni che ora dalle strade si trasferiscono in politica e sui media in attesa del 15 gennaio, quando i giudici militari comunicheranno la pena detentiva per il soldato giudicato colpevole.
IN PRIGIONE AZARIA dovrebbe rimanerci poco nonostante la corte militare, presieduta dalla giudice Maya Heller, abbia respinto la tesi della difesa di un atto compiuto per proteggere i soldati e i civili che erano intorno al palestinese ferito. Azaria ha spiegato di aver sparato ad Abdel Fattah al Sharif - un colpo alla testa esploso da circa tre metri di distanza - nel timore che il "terrorista" avesse sotto la giacca una cintura esplosiva. I giudici hanno dato credito alle testimonianze di altri soldati e ufficiali che hanno riferito dell'intenzione proclamata dal condannato di «dare la morte che merita» al palestinese che aveva ferito un commilitone. Alcuni prevedevano ieri un paio d'anni di carcere o poco più, visto che Azaria è stato condannato per omicidio colposo e ha dalla sua parte il governo - il ministro degli Esteri Lieberman e il premier Netanyahu che ieri si è aggiunto alle richieste bipartisan di grazia -, i laburisti con il testa il leader Herzog, buona parte dei parlamentari e, soprattutto, la maggioranza degli israeliani.
DUE ANNI che potrebbero voler dire libertà vigilata quasi subito, come spera la famiglia del soldato che in questi mesi ha ricevuto appoggi e aiuti da più parti. E se in queste ore la destra radicale — inclusi gli attivisti dell'organizzazione razzista Kach, ufficialmente fuorilegge ma che ieri manifestavano davanti al quartier generale delle forze armate - minaccia la giudice Heller e il capo di stato maggiore Eisenkot per «aver abbandonato un eroe della lotta al terrorismo arabo», va anche ricordato che qualche mese fa non pochi artisti, alcuni dei quali non noti come simpatizzanti di destra, si sono esibiti a Tel Aviv a favore di Azaria "detenuto ingiustamente". D'altronde questo è uno dei rari casi in cui la magistratura militare israeliana va sino in fondo con un procedimento avviato contro un soldato per un'uccisione compiuta nei territori palestinesi sotto occupazione.
L'ANNO SCORSO il centro israeliano per i diritti umani BTselem ha annunciato che non avrebbe più presentato denunce alla procura militare perché del tutto inutile. Due giorni fa, un altro gruppo per i diritti umani, Yesh Din, ha sottolineato nel suo rapporto annuale che sono «eccezionalmente bassi» i procedimenti nei confronti dei militari responsabili di violenze contro i palestinesi. Nel 2015, riferisce Yesh Din, l'esercito ha aperto 186 indagini e appena 4 sono arrivate al rinvio a giudizio. Nello stesso anno solo in 21 dei 76 casi di uccisioni di palestinesi l'esercito ha ritenuto di dover aprire delle indagini. Per questo i palestinesi, incluso il ministero degli esteri dell'Anp, considerano un processo-farsa quello che si è chiuso ieri a Tel Aviv. Elor Azaria, dicono, l'avrebbe fatta franca come altri soldati, in situazioni analoghe avvenute durante l'Intifada di Gerusalemme dello scorso anno, se l'uccisione a sangue freddo di Abdel Fattah al-Sharif non fosse stata filmata da un palestinese in possesso di una telecamera e le immagini non fossero state diffuse subito in rete, costringendo i comandi militari a prendere posizione sull'accaduto.
A SORPRESA È OTTIMISTA Yousri al Sharif, il padre di Abdel Fattah. «Va bene così. E' un passo avanti la condanna di quel soldato, per il crimine che ha commesso spero che i giudici lo lascino in carcere tutta la vita», commentava ieri mattina con fiducia mentre assieme alla famiglia seguiva in tv gli sviluppi.
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
La Repubblica 06/49821
Il Manifesto 06/687191
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti