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Da dove vengono le vigliaccate di Obama Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra: il fallimento di Obama Cari amici, lo so, ci sono quelli che dicono: bisogna comprenderlo, poveraccio, andare in pensione è sempre dura, figuratevi se sei stato la persona più potente del mondo, il cocco dei media, il premio Nobel preventivo, e ti rendi conto che non hai combinato un bel niente di buono, che la tua politica è fallita da tutte le parti, che i tuoi elettori, cioè i tuoi datori di lavoro, l’hanno completamente bocciata e hanno dato il potere a uno che cancellerà tutte le tue cavolate. Ce n’è abbastanza per essere depresso e cercare di approfittare delle ultime settimane, degli ultimi giorni, delle ultime ore per dire al mondo che esisti, che yes, I can ancora, non sono diventato insignificante o impotente. Capisco e certamente condivido. C’è una tragedia personale nella fine precoce di un uomo certamente brillante e affascinante, che ha avuto tutto facile nella vita (non credete alla palla detta a Netanyahu che lui sarebbe tanto bravo essendo diventato presidente degli Stati Uniti solo per merito suo, partendo da grave svantaggio, essendo figlio di “una ragazza madre”; la sua era una famiglia di “ceto medio” il che gli permise di frequentare “scuole d’eccellenza” fin dalle elementari e di viaggiare fra paesi di mezzo mondo in cerca della sistemazione più promettente: così https://it.wikipedia.org/wiki/Barack_Obama). Una tragedia un po’ buffa, senza sangue; forse piuttosto una giustizia poetica per un narcisista intollerante e vacuo ma anche molto maligno e vendicativo come il bel ragazzo che fece innamorare l’America con i luoghi comuni del progressismo di maniera, di cui si presentava come l’espressione corporea: una specie di Falstaff magro e “molto abbronzato” (come disse Berlusconi con una spiritosaggine non certo razzista ma acutamente diagnostica dell’uso che Obama faceva del suo aspetto fisico, che non gli fu mai perdonata), punito non dalle “allegre comari di Windsor”, ma dal popolo americano e in definitiva dalla realtà, che non si è lasciata manipolare come sabbia nelle mani di un bambino – quel che invece hanno subito con gioia opinion leader, giornalisti politici e accademici di tutto l’Occidente. Capisco e condivido. Ma in fondo sono fatti suoi, il mondo non è un asilo nido per bambini capricciosi con un ego ipertrofico che rifiutano di crescere. E soprattutto non è questo il punto. Perché i giochetti isterici e le vendette grossolane Obama le ha sempre fatte. Pensate solo ai piccoli dispettucci, agli atti di maleducazione personale compiuti contro Netanyahu in questi otto anni fra incontri rifiutati, lunghe anticamere, passaggi da porte secondarie regolarmente fatte conoscere ai media (qui ne avete un paio di esempi: http://www.opinione.it/esteri/2013/03/21/magni_esteri-21-03.aspx, http://www.cdt.ch/commenti-cdt/commento/15477/il-braccio-di-ferro-netanyahu-obama.html). O al modo oscuro e tortuoso in cui Obama ha prima condotto in segreto le trattative con l’Iran e poi usato l’Onu come sponda per aggirare il dettato costituzionale che chiede una maggioranza dei due terzi al Senato per l’approvazione dei trattati internazionali (lui era in minoranza, ma presentò la cosa non come un trattato bensì come un “accordo”…). Come succede sempre nella storia, il problema non tanto è il leader, ma chi lo sostiene. Auschwitz è stata resa possibile non perché Hitler era pazzo, ma perché i tedeschi erano disposti ad andare su quella strada; l’unità d’Italia e l’indipendenza di Israele non sono solo il merito della genialità di Cavour e Ben Gurion, ma di un diffuso sostegno per le scommesse storiche difficilissime che si assunsero. E anche in questo caso i gesti velenosi di Obama in queste ultime settimane non sono che una riaffermazione esplicita e senza freni inibitori di una politica che egli ha cercato di svolgere per gli otto anni del suo mandato, e che non sono espressione solo del suo personale convincimento, ma di un’ideologia diffusa ed egemone nel ceto intellettuale, politico e giornalistico americano. Si tratta di una specie di socialismo soft, al cui centro è la rivendicazione delle marginalità nei confronti della tradizione culturale centrale dell’Occidente, il liberalismo (nel senso europeo non anglosassone): cioè il liberismo economico temperato, il compito primario dello stato di mantenere la legge e l’ordine, la fiducia nella razionalità e nella scienza, il primato degli individui sui gruppi, la tutela della proprietà privata e del business, l’etica universalistica, l’amore per la bellezza e l’arte, l’identificazione di una tradizione centrale del nostro mondo che risale alle radici ebraiche e greche, comprende la ricchezza della storia cristiana ma anche e soprattutto l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo e l’idea della libertà delle nazioni; certamente ha avuto delle degenerazioni terribili nelle atrocità del colonialismo, del nazifascismo e del comunismo, ma è riuscita a vincerle e ha donato all’umanità l’attuale straordinario benessere.
Per i teorici del politically correct, di cui fanno parte i maestri di Obama e poi tutta la sua generazione, questa identità è il nemico. Qualunque marginalità che vi si opponga va bene. La nostalgia del comunismo, la rivendicazione identitaria di gruppi e gruppetti, l’irrazionalismo new age, l’ecologismo esasperato, ma soprattutto il terzomondismo e l’islamismo. Chiunque dica che la colpa è del capitalismo, del colonialismo (finito del tutto settant’anni fa), del liberalismo, insomma che è colpa nostra, è applaudito a scena aperta. Insomma, secondo questa ideologia bisogna essere sempre contro noi stessi, i nemici sono buoni per quanto torturino, opprimano, distruggano; noi siamo sempre i cattivi. C’è stato perfino chi ha criticato Star Wars come film razzista, dato che gli umani vincono sempre sugli alieni (https://www.bloomberg.com/view/articles/2016-12-19/rogue-one-a-star-wars-story-doesn-t-fix-big-hollywood-issue). Se proprio compare l’incarnazione della malvagità come l’Isis (che in realtà rappresenta l’ortodossia islamica), non c’è dubbio che costoro crederanno che l’abbiamo creato noi. Così come l’attentato alle Due Torri naturalmente se lo sono fatti gli americani da soli. Questa folle teoria masochistica del mondo riguarda molto gli ebrei. Perché fino a che sono gruppi oppressi dalla Chiesa o dal nazismo, li si può includere nella coalizione dei “resistenti”, dato che per i politicamente corretti, essendo il liberalismo nazista anche il nazismo è liberale e dunque chi ne subisce l’odio e la Shoà può essere preso nella confederazione delle vittime del capitalismo. Ma appena viene fuori che l’ebraismo è una delle basi della civiltà occidentale e soprattutto appena gli ebrei si fanno stato e difendono la loro indipendenza nazionale subito diventano nemici, l’espressione dell’odiato Occidente nel seno della maggiore alternativa presente al nostro mondo e cioè l’Islam. Di più, Israele ha il torto di avere successo applicando ricette economiche liberali. Insomma è un nemico, che presenta il vantaggio ulteriore di essere lo stato della nazione ebraica che è oggetto dell’”odio antico” che permane nell’inconscio di molti. E dunque bisogna cercare di distruggerlo, facendo così un favore al revanscismo dei regimi feudali arabi e indebolendo l’Occidente in un punto fondamentale di resistenza. Questo è quel che pensano non solo Obama, ma anche i suoi maestri, gli accademici che dominano nelle grandi università angloamericane (per qualche esempio vi consiglio di leggere questa inchiesta di Giulio Meotti: https://www.facebook.com/ugo.volli/posts/10155585715823776) e tutta una classe politica e intellettuale formata da loro nel senso della “chiusura della mente americana” come scrisse Bloom nel 1987 (http://www.lindau.it/Libri/La-chiusura-della-mente-americana). Insomma il bellimbusto che finalmente fra meno di tre settimane lascerà la Casa Bianca non si è inventato niente, non sta solo gonfiando il suo ego per mostrare al mondo che ancora per qualche giorno sì, lui può. Esegue fino all’ultimo una politica che gli è stata dettata da un ambiente di cui fa parte, che l’ha premiato con l’elezione e anche col Nobel come suo campione; un ambiente che naturalmente è egemone anche in Europa e in Italia e che non si capacita di essere sconfitto e superato, tanto da aver concepito la grottesca teoria della post-verità (su cui dovremo riparlare). Possiamo sperare che le convulsioni, i colpi di scena, i tradimenti della parola data del regime di Obama siano anche l’inizio della fine per l’egemonia di questo ambiente. Lo vedremo nei mesi prossimi. Dopo Obama se ne andrà anche Hollande, che sta facendo un teatrino analogo, e ancora una volta intorno a Israele, con la conferenza internazionale che ha convocato, guarda un po’, il 15 gennaio, alla vigilia dell’uscita di Obama, forse perché sapeva che Trump gli avrebbe risposto con una risata. Poi forse se ne andrà anche Merkel, se gli elettori tedeschi saranno molto decisi – se no sarà solo assai indebolita. E certo non possiamo sperare in un voto di sfiducia per Bergoglio, che fa parte di questa compagnia. Possiamo solo attendere pazientemente che anche il suo regno passi, quando vorrà il Cielo. Israele saprà resistere ai dispetti di Obama e di Hollande, come ha saputo resistere – ma a quale prezzo! - all’odio antisemita che gli si è abbattuto contro da decine di secoli. Perché Israele è sì uno stato, ma prima è un popolo, che non ha la minima voglia di suicidarsi, nonostante i tentativi di trapiantargli dentro i bacilli dell’odio di sé che ha contagiato un po’ di intellettuali, scrittori, uomini di spettacolo “progressisti”, che valutano più la loro personale accettazione negli ambienti che contano del destino del loro popolo. Insomma, il quadro è molto più vasto e complesso – vi sono anche certamente dei rischi nell’evoluzione in corso, molte sono le incognite. Di una cosa però possiamo essere ragionevolmente certi: del peggior presidente degli Stati Uniti in duecentocinquanta anni di storia ci libereremo presto. Prestissimo.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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