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Ugo Volli
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Una questione di date (anzi due) 01/01/2017
Come ogni anno il 1°gennaio non escono i giornali. IC esce con una sola pagina, ospitando il commento di Ugo Volli.
Alle lettrici e ai lettori gli auguri più sentiti dalla redazione di Informazione Corretta.
 
a destra:
Dal 1° Gennaio 2017, L'Italia entra nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU
Una questione di date (anzi due)
Commento di Ugo Volli

Delle tradizioni del giornalismo italiano fa parte l’abitudine di fare previsioni a capodanno. C’entra naturalmente con la data, col numero nuovo sul calendario. E’ chiaro che si tratta di una pratica arbitraria come lo è lo stesso capodanno, che non corrisponde a nessuna discontinuità reale nel mondo fisico come in quello storico. Anni, decenni, secoli, sono convenzioni che dipendono dai popoli e dalle culture: non ha molto senso ragionare come se il cambio di data facesse arrivare una cosa reale nuova, come se il 2017 fosse un’altra cosa rispetto al 2018.

Le date precise in cui cambiano gli anni e i secoli dipendono poi da scelte collettive che hanno a che fare con l’identità culturale e religiosa. Per gli ebrei, per esempio, il capodanno non cade oggi, più o meno in coincidenza col solstizio d’inverno, ma all’inizio dell’autunno, quando la natura e l’attività umana ricominciano dopo la pausa estiva.
E naturalmente per il mondo ebraico non è appena iniziato il terzo millennio, ma siamo invece nel sesto inoltrato.
Non parliamo qui dei cinesi, degli indiani eccetera. Basta non attaccarsi troppo a un singolo sistema, o meglio sapere che è una questione identitaria e si convive benissimo. Ma fare auguri e previsioni a lungo termine a capodanno (qualunque capodanno) è un’abitudine diffusa, benché un po' superstiziosa e forse questo è un buon momento per adeguarvisi.
Inizio dunque a fare gli auguri per un ottimo 2017 a tutti e continuo a ragionare.

E’ un buon momento, dicevo, per preoccuparsi delle previsioni. In questo giro di tempo, infatti, non esattamente oggi ma con l’approssimazione di qualche mese, ci può essere davvero una notevole discontinuità nella storia politica contemporanea.
Brexit, l’elezione di Trump, le consultazioni elettorali programmate in Europa nell’anno che viene, un certo cambiamento generale del clima culturale corrente fanno intravvedere la possibilità di archiviare la vecchia egemonia della sinistra nel mondo occidentale, che lascerebbe lo spazio necessario all’Europa e anche agli Stati Uniti per difendersi dall’aggressione islamista e di tornare un po’ indietro sulla strada del politically correct, delle burocratizzazioni e statalizzazioni generali seguite in questi ultimi vent’anni.

Molto dipende naturalmente da chi vincerà la elezioni in Francia (Fillon o Le Pen? Penso che prevarrà ancora un’ “unione sacrée” contro il Front Nationale, ma con la guida di Fillon, non di Hollande), in Germania (anche qui, prevedo che AfD non ce la faccia a diventare maggioranza contro tutti, ma al prezzo di un forte indebolimento di Merkel), in Olanda (speriamo che Wilders ce la faccia).
E poi il futuro dipenderà molto dal successo dell’azione di Trump, che finora ha fatto molto bene, alla faccia di chi lo denigrava, ma ha certamente di fronte il compito titanico di far virare la gigantesca nave americana, nonostante la sua inerzia o fuor di metafora la resistenza furibonda delle forze conservatrici che rimpiangono il regime politically correct degli ultimi anni.

Ce la faranno i nostri eroi a bloccare l’islamizzazione dell’Europa? Russia e Turchia che sono in bilico, diventeranno dittature a pieno titolo o ritroveranno un po’ di democrazia? Terrà la divisione di influenza in Medio Oriente che hanno stabilito nei giorni scorsi Russia, Turchia e Iran, sulla pelle degli arabi (e dell’America)? Ci sarà un po’ di pace in quei paesi?
E l’armamento nucleare di uno stato imperialista e aggressivo come quello iraniano, sarà un giorno bloccato o verrà fuori di colpo come un pericolo acutissimo? Quanto potere acquisirà la Cina che sta diventando lo stato più potente del mondo?
E l’Italia, riuscirà a fermare l’ondata pericolosissima dei grillini, il più grande rischio per la democrazia italiana dal fascismo in poi? Sono questioni che non si finirebbe mai di discutere.

Ma purtroppo le previsioni a lungo termine oggi sono un lusso che forse non possiamo permetterci. In politica estera, particolarmente per ciò che riguarda Israele, ma anche più in generale per il quadro mondiale, il capodanno vero cadrà il 20 gennaio, quando finalmente Trump otterrà i poteri da presidente e il tirannello isterico che l’ha preceduto farà le valigie e lascerà la Casa Bianca. E’ un periodo delicatissimo e pericolosissimo, perché per dar sfogo ai suoi risentimenti e alle sue vendette Obama sta cercando in tutti i modi di mettere nei guai Israele e di rendere difficile la transizione alla nuova presidenza, anche al costo di portare il mondo vicino alla guerra e di fare perdere completamente la faccia agli Stati Uniti.

Per chiarire che cosa potrebbe succedere i mi permetto di citare l’inizio di un lucidissimo articolo di Caroline Glick (http://jewishworldreview.com/1216/glick123016.php3).
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“La risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato il primo stadio della campagna da “anatra zoppa” (“lame duck”) del presidente uscente Barack Obama nei confronti di Israele. Il discorso del Segretario di Stato americano John Kerry di mercoledì è stato il secondo momento. Il 15 gennaio, la fase 3 avrà inizio a Parigi. Alla conferenza internazionale convocata dal Presidente della Francia François Hollande, anche lui "lame duck", si prevede che i ministri degli Esteri di alcuni 50 stati accettino di adottare come principi del conflitto medioorientale proprio i concetti anti-israeliani espressi da Kerry in quel discorso.
Il giorno successivo sarà la volta di Obama. Si può prevedere che Obama colga l’occasione della giornata della commemorazione di Martin Luther King Jr. per presentare la guerra palestinese per distruggere Israele come uno sviluppo naturale dal movimento americano per i diritti civili suscitato da King 50 anni fa.
Infine, nell’intervallo tra 17 e 19 gennaio Obama progetta che il Consiglio di Sicurezza sia riconvocato e segua il gruppo della conferenza di Parigi adottando le posizioni di Kerry come una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Tale risoluzione fotocopia può anche riconoscere la "Palestina" e garantirle la piena adesione alle Nazioni Unite. Senza dubbio Kerry ha detto che l'amministrazione non presenterà un'altra risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Ma, come il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegato nella sua risposta all'indirizzo di Kerry, vi è ampio motivo di sospettare che la Francia o la Svezia, o di entrambi, sarnno incaricate di presentarla.
Dal momento che il progetto sarà semplicemente una riaffermazione del discorso di Kerry, Obama non porrà il veto. Se Obama riuscirà a ottenere la sua seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza o no, resta da vedere. Ma che ci si riesca o meno, avrà già causato la maggior parte dei danni. Una risoluzione fotocopia servirà comunque ad amplificare solo il colpo che Israele ha dovuto assorbire con la 2334.”

Fin qui Caroline Glick. Vale la pena di aggiungere che non si sa dove arriveranno le provocazioni di Obama contro la Russia, accusata di interferire con la campagna elettorale americana (per la pubblicazione a marzo da parte di alcuni hacker non identificati dei verbali delle riunioni del partito democratico, che in epoca di Snowden è un fatto normale), proprio da parte del governo che ha reso esplicita la propria pesantissima interferenza nelle elezioni israeliane (http://www.washingtontimes.com/news/2016/jul/12/obama-admin-sent-taxpayer-money-oust-netanyahu/), certificata da una commissione di inchiesta del Senato americano (http://www.timesofisrael.com/right-wing-lawmakers-pan-us-intervention-in-israeli-elections/), arrivando fino al punto di finanziare col denaro pubblico e di fornire i database americane (http://www.jpost.com/Blogs/The-View-from-Israel/Obamas-shocking-interference-into-Israels-election-process-389858) a un gruppo di pressione costituito apposta per intervenire nelle elezioni israeliane, chiamato con un nomignolo giustamente tratto dall’aviazione nazista, V15 (http://thehill.com/policy/international/236565-netanyahu-pollster-obama-role-in-election-larger-than-reported).
 
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John Kerry              Theresa May
C’è dunque un piano, che è noto a Gerusalemme, com’erano note le pesantissime azioni di Obama, del suo vicepresidente Biden e di Kerry per portare a casa la risoluzione antisraeliana. E’ un piano che allarma molto non solo Israele, ma anche altri paesi come la Russia e la stessa Gran Bretagna che hanno segnalato il loro dissenso da questa accelerazione (la Russia: http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/russia-wanted-to-delay-the-vote-to-un-security-council/2016/12/27/) e dal discorso di Kerry (il primo ministro inglese May: http://jewishnews.timesofisrael.com/uk-criticism-us-kerry/).

Questo spiega anche la fermissima reazione di Israele dopo il voto, che non era affatto una “reazione isterica”, come l’hanno definita gli obamiti e perfino alcuni sciocchi (o disonesti) militanti di sinistra israeliani; ma la segnalazione che Israele non è disposto a subire in silenzio gravi danni da chi si vanta pubblicamente di essere suo amico e poi lo accoltella alle spalle alla prima occasione, che è pronto a lottare fino in fondo per la sua sicurezza come ha sempre fatto. Il mondo è molto preoccupato per l’isterismo luttuoso dell’amministrazione americana e lo dimostra sempre più apertamente. Bisogna sperare che qualcuno ostacoli la sindrome obamiana dell’attentatore suicida e fermi il delirio di onnipotenza del peggior presidente americano della storia. Ma non è certo.
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Il premier Gentiloni

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Alfano ministro degli esteri con Federica Mogherini

E qui si pone il problema che ci riguarda più da vicino. Perché se al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ci sarà il voto “fra il 17 e il 19 gennaio” che prevede Glick, fra i votanti ci sarà anche l’Italia, che entra del Consiglio proprio oggi come membro temporaneo. E’ difficile che l’Italia trovi il coraggio di staccarsi da Obama (e da Mogherini) in questa occasione, anche perché (grazie a coloro che hanno votato no al referendum) alla presidenza del consiglio non c’è più Renzi, che è un sincero amico di Israele, ma Gentiloni, che non si è espresso finora con chiarezza. E al ministero degli esteri non c’è più Gentiloni, che comunque ha espresso comprensione per Israele ma Angelino Alfano, le cui posizioni sono ignote. Al di là dei precedenti, che non sono incoraggianti, e dei giudizi sulle persone bisogna cercare di esercitare la maggior forza di convinzione possibile perché l’Italia non voti contro Israele. Chiunque abbia la possibilità di farsi sentire dalla politica italiana in queste tre settimane scarse che mancano al possibile voto deve farlo. Poi verrà il tempo di festeggiare. Il 20 gennaio, quando l’America non avrà finalmente più un nemico di Israele, sarà quest’anno il vero capodanno. Potremo brindare e ballare e strafogarci con una ragione migliore del semplice cambio di data.

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Ugo Volli

PS: Altra questione di date riguardo al capodanno. Senza dubbio il 1 gennaio è il capodanno civile perché lo è per la Chiesa. Influenza teologica sulla vita quotidiana. E sapete perché lo è per la Chiesa? Una volta stava scritto sui calendari: “circoncisione di Gesù”. Già, perché secondo la tradizione cristiana il Messia dei cristiani è stato circonciso l’ottavo giorno della sua vita, come ogni bimbo ebreo in buona salute. E proprio dall’ingresso nella “comunità del patto” del suo “Brit milà” che la Chiesa ha finito col datare gli anni. Perché quello è il momento in cui un ebreo davvero entra nel mondo, per esempio prende il nome. L’anno cristiano inizia da quando Gesù entra nel patto ebraico. E’ un riconoscimento importante, anche se di solito lasciato sottinteso, della radice ebraica del cristianesimo. Una ragione di dialogo e di comprensione. Ma col Gesù palestinese che piace tanto ai “progressisti” cristiani, oltre che naturalmente agli uffici di relazioni pubbliche dei palestinisti, come la mettiamo?
(UV)

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