Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 30/12/2016, a pag.4, con il titolo " Torna in libertà Asli, la scrittrice simbolo della repressione turca" la cronaca di Marco Ansaldo sulla scarcerazione della scrittrice Asli Erdogan (nessuna parentela!)
Asli Erdogan
La repressione del dissenso messa in atto da Erdogan, richiama alla mente i cori di molta stampa, politici e intellighenza varia "Turchia in Europa!", ricordate? Dire NO equivaleva a essere considerati islamofobi.
Marco Ansaldo
Una scrittrice, una linguista e sette giornalisti rilasciati dopo 4 mesi e mezzo di carcere. Ma anche un celebre reporter d’inchiesta arrestato. Tutto in una giornata. In Turchia la battaglia delle idee e per la libertà di espressione si gioca oggi sulla pelle di molti intellettuali mandati a processo. Così la liberazione dell’autrice Asli Erdogan, dell’esperta di letteratura Necmiye Alpay, e di 7 cronisti del quotidiano filo curdo Ozgur Gundem, ha solo in parte alleviato gli animi dopo il fermo di Ahmet Sik, noto giornalista del quotidiano liberale Cumhuriyet, che ha fatto in tempo a mandare un messaggio («Mi stanno arrestando per un tweet»), prima che le manette gli scattassero ai polsi. E’ stato fermato, secondo fonti ufficiali, «per aver diffuso propaganda terrorista e insultato lo Stato, la magistratura, i militari e la polizia». Sotto osservazione alcuni suoi tweet (almeno sei, per l’agenzia di stampa semi ufficiale Anadolu) e gli articoli scritti per il suo giornale. Sik già in passato aveva trascorso svariati mesi in prigione dopo la pubblicazione di una sua biografia su Fethullah Gulen, l’imam accusato dal Presidente Recep Tayyip Erdogan di essere il mandante del fallito golpe dello scorso luglio a Istanbul e Ankara. Asli Erdogan (nessuna parentela con il leader turco), scrittrice simbolo della repressione, è stata invece rilasciata in serata dopo essere comparsa al mattino in tribunale per la sua prima udienza. «Non mi aspettavo di essere liberata», ha detto appena uscita dal carcere femminile di Bakirkoy, nella parte europea della metropoli sul Bosforo, assieme alla Alpay. Era accusata di appartenere a una «organizzazione terrorista », nello specifico il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Faceva parte del Consiglio di amministrazione del quotidiano Ozgur Gundem. Per lei il pubblico ministero aveva chiesto la pena dell’ergastolo. L’autrice de “Il mandarino meraviglioso”, romanzo tradotto in Italia dall’editore Keller, ha comunque il divieto di lasciare il Paese. «Lì dentro ti prendono e ti gettano in un buco. E’ stata molto dura, in un certo senso è come se fossi ancora all’interno. Che cosa mi manca di più? Il mare. E poi la danza, i balletti, la musica classica. Non pensavo di riuscire a tenere per quattro mesi e mezzo in prigione, però ce l’ho fatta. Davvero, dall’esterno, mi è venuta una grande forza». Oggi la Turchia è considerata dagli organismi internazionali specializzati come il Paese più duro verso la stampa, con 81 reporter imprigionati, secondo il Comitato di protezione dei giornalisti (CPJ) con base a New York, e più di 130 media chiusi dopo il putsch di metà estate. La maggior parte dei cronisti e degli scrittori arrestati sono accusati di avere diffuso propaganda terrorista. Da luglio oltre 110mila persone, fra militari, accademici, giuristi, diplomatici e altri, sono state licenziate con l’accusa di avere legami con il gruppo di Gulen. Dalla Pennsylvania, dove dal ‘99 si trova in esilio volontario, l’imam un tempo alleato di Erdogan ha sempre respinto gli addebiti. Il governo di Ankara si è però detto convinto della sua colpevolezza e ha chiesto che venga estradato in Turchia. L’Amministrazione Obama ha replicato che in mancanza di prove non l’avrebbe mai lasciato partire. Il Presidente eletto Donald Trump si è invece pronunciato in modo favorevole. Più volte il leader turco si è detto pronto a firmare il ritorno alla pena di morte nel Paese, se richiesto dal popolo e dal Parlamento. I suoi seguaci si sono presentati in piazza sventolando la forca e chiedendola per il predicatore. Dal 15 luglio in Turchia circa 40mila persone sono state incarcerate con l’accusa di legami con i gulenisti.
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