domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
29.12.2016 Notizie italiane dal fronte kurdo
Inchiesta di Fabio Tonacci, eccellente giornalismo investigativo

Testata: La Repubblica
Data: 29 dicembre 2016
Pagina: 8
Autore: Fabio Tonacci
Titolo: «La brigata degli italiani con i curdi a Raqqa 'ma a casa non sanno che qui combattiamo'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/12/2016, a pag.8, con il titolo "La brigata degli italiani con i curdi a Raqqa 'ma a casa non sanno che qui combattiamo'", l'inchiesta di Fabio Tonacci.

Ecco un esempio eccellente di giornalismo investigativo, praticamente inesistente nei nostri media. E non richiede neppure essere sul posto, con Skype e whatsapp si raggiunge chiunque. Tonacci ha parlato con alcuni giovani italiani che combattono a fianco dei kurdi, ne ha raccontato le storie. Ce n'è persino uno con un passato di estremista di sinistra, di quelli duri (al G8 di Genova), per fortuna rinsavito. Un servizio come se ne leggono raramente, complimenti a Fabio Tonacci.

Immagine correlataImmagine correlata
Fabio Tonacci                                  Karim Franceschi

ROMA. Vanno a liberare Raqqa da un nemico che non hanno ancora visto, con fucili d’assalto che non hanno mai usato, in una guerra che non è la loro. Vanno incontro allo Stato Islamico nell’ultima delle sue roccaforti. La capitale nera, il posto più pericoloso di tutta la Siria. E si sono scelti nomi di battaglia meravigliosi. Heval Baran, il compagno Pioggia. Heval Azadì, il compagno Libertà. Heval Dilsoz, il compagno dal Cuore grande. Heval Botan, il compagno che si chiama come una montagna. Ci sono quattro ragazzi italiani dietro a questi nomi. Arrivano da Milano, da Roma, dalle Marche, dalla Sicilia. Il più giovane ha 25 anni, il più anziano 39. Sono entrati nella regione del Rojava alcuni mesi fa, dopo un viaggio intrapreso per motivi umanitari. Ora hanno le armi in mano, si sono addestrati, sono pronti. Hanno formato una brigata all’interno dello Ypg, l’esercito dei curdi siriani: si chiama Antifascist Internationalist Tabur, Battaglione antifascista internazionalista. Lo stemma se lo sono disegnati da soli (una stella rossa a tre punte dentro una fenice gialla) e hanno anche un profilo twitter (@antifatabur). Il tabur comptan, che in gergo locale significa “comandante”, è un altro italiano. Karim Franceschi, 27 anni, di Senigallia. «Quello è il mio grado militare, ma non abbiamo gerarchie fuori dalla battaglia». Lui ha già combattuto contro le milizie dell’Isis, anzi è praticamente un veterano tra i foreign fighter “buoni”: è stato il primo a partire dall’Italia per unirsi allo Ypg durante l’assedio di Kobane nel 2015. È tornato in Siria quest’anno, per fare l’addestratore e adesso il capo unità. L’Antifascist Internationalist Tabur è la prima brigata internazionale nata all’interno dell’esercito curdo, ed è composta da cinque italiani, un basco e un americano. Si trovano in una base segreta molto vicino a Raqqa. Finora sono stati liberati alcuni villaggi della campagna, quasi senza dover sparare un colpo, ma il vero assalto alla capitale del Califfato è imminente. Centinaia di corpi rimarranno a terra, la lotta finale sarà sanguinosa. «Se ho paura di morire? Certo, e chi non l’avrebbe? », dice Heval Azadì, il compagno Libertà durante una videochat su Skype. Ha il volto coperto da una sciarpa, si intravedono gli occhialetti squadrati e un filo di barba scura. Sembra uno studente fuori corso. «Ho 25 anni, sono siciliano e l’università non l’ho fatta. Sono arrivato in Siria quattro mesi fa, in Italia avevo un lavoro precario che non mi bastava». Perché sei lì, compagno Libertà? «C’è una rivoluzione in atto, e voglio partecipare anch’io». E chi è un rivoluzionario? «Uno che combatte contro l’oppressione, offrendo solidarietà ai popoli che si difendono dalla violenza degli stati imperialisti e delle dittature». Potrebbe capitare di uccidere un altro essere umano. «Quando mi hanno dato il kalashnikov ho avuto una brutta sensazione. Ma la guerra è guerra. Siamo preparati, ci hanno addestrato per un mese all’Accademia ». L’“Accademia” è un campo di reclute dello Ypg nella cittadina di Seri Kani al confine con la Turchia. «L’addestramento è diviso in due fasi: la prima è ideologica, ti insegnano la cultura curda e l’idea del confederalismo democratico che si basa anche sull’ecologismo e la libertà delle donne. Poi c’è la parte militare, in cui impari a sparare e le tecniche della guerriglia». A raccontare è Heval Baran, il compagno Pioggia. «Mi piace la pioggia, credo negli eventi naturali». Ha un accento del nord, capelli rossicci, occhi azzurri. «Ho 37 anni, ma il nome vero non lo dico». A parte Franceschi e il ragazzo basco, gli altri della brigata non vogliono farsi riconoscere, temono ritorsioni da parte dei jihadisti quando torneranno a casa. «Oltretutto la mia famiglia non sa cosa sto facendo qui». Non sanno che state andando a fare la guerra? «No, ai miei genitori ho detto che partivo per partecipare a un progetto di solidarietà. Sono di sinistra, sono un antimilitarista convinto e mai avrei pensato di ritrovarmi con un fucile in mano: ma Daesh non si sconfigge con le parole, qui c’è una rivoluzione da difendere ». Heval Dilsoz, il compagno Cuore, è il più evasivo di tutti, quando si chiedono dettagli sulla sua vita. «Sono qui da un po’, ho un po’ di anni, in Italia facevo un po’ di lavori». Il «ma se sente mo’?» che gli scappa quando la connessione Skype vacilla, ne tradisce però le origini romane. «Sono un anarchico. Sono stato anche al G8 di Genova». Che ci fai lì? «Sono qui per coerenza. Mi piacciono gli ideali del Rojava, quindi mi sono detto: devi fare qualcosa per difenderli. Le guerre non mi piacciono, ma questa è una guerra di popolo. Mi paragono ai chi negli anni Trenta andò a combattere in Spagna contro il fascismo». Hai mai qualche dubbio sulla tua scelta? «No». E non temi di morire a Raqqa? «Vorrei campa’ fino a 80 anni, ma ho capito che nella vita ci sono cose importanti per le quali vale la pena rischiare ».

Per inviare la propria opinione a Repubblica, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT