Riprendiamo da FOGLIO e STAMPA due corrispondenze sull'accusa Onu verso Israele. In entrambe altri particolari sull'astensione di Obama e la reazione del governo israeliano.
Il Foglio-Paola Peduzzi:"Contro l'Onu e contro Obama. Il Congresso (con Trump) difende Israele"
Paola Peduzzi Trump con Bibi
Milano. Il ministero degli Esteri israeliano ha fatto sapere ieri di aver "temporaneamente ridotto" i legami di collaborazione con dodici dei quattordici paesi che hanno votato a favore della risoluzione 2334 - l'America si è astenuta - che condanna la politica degli insediamenti del governo di Benjamin Netanyahu. Contestualmente all'offensiva diplomatica, il governo di Israele ha stabilito un voto per oggi al comune di Gerusalemme per l'approvazione della costruzione di altre 600 "unità di alloggi" nella parte est della città, prima tranche di un progetto che comprende 5.600 unità. Il messaggio è chiaro: la risoluzione non avrà effetti sugli insediamenti, e come dice l'ex ministro Tzipi Livrai gli altri paesi devono smettere "di dare Israele per scontato". Il raffreddamento nei confronti dei dodici paesi procede di pari passo con il congelamento di fondi ad alcune agenzie dell'Onu. Molti in Israele sostengono che Netanyahu sta condannando il paese a un isolamento diplomatico rischioso, così come a destra e a sinistra ognuno recita la propria parte politica nei confronti del premier. Ma il problema, si sa, è l'America, anzi: Barack Obama. Il Congresso, che è a maggioranza repubblicana, già da giorni manifesta solidarietà a Israele contro il "tradimento" obamiano, mentre il senatore conservatore Ted Cruz ha chiesto di congelare i finanziamenti statunitensi all'Onu fino a che la risoluzione non sarà annullata. L'Onu è nel mirino anche del presidente eletto, Donald Trump, che già aveva tuittato: tutto cambierà dal 20 gennaio (con l'inaugurazione) e ha aggiunto che l'Onu "ha un così grande potenziale, ma ora è soltanto un club di persone che si incontrano, parlano e passano del tempo assieme. So sad!". Anche i democratici al Congresso non sono - per la maggior parte - contenti dell'astensione voluta da Obama all'Onu: Charles Schumer, che diventerà leader dei democraIsraele vs Obama Frustrazione al Congresso americano. Il precedente di Bush e le prove della premeditazione Dopo l'astensione Contro l'Onu e contro Obama Il Congresso (con Trump) difende Israele Netanyahu "riduce" i rapporti con 12 paesi, oggi il voto per i nuovi insediamenti. Dettagli sui precedenti "Un club per passare il tempo)' tici al Senato nella nuova legislatura, ha fatto enormi pressioni sull'Amministrazione per il veto all'Onu, e quando non è arrivato ha detto in sintesi quel che molti pensano: l'astensione è "frustrante, deludente e contraddittoria". La frustrazione, soprattutto, attraversa anche il mondo dei commentatori, che pure in questi anni aveva cercato di ridimensionare la frattura tra Obama e Netanyahu, e che oggi si trova ad ammettere che è molto profonda. Per minimizzare la delusione e la contradditorietà, alcuni ricordano che anche l'Amministrazione Bush jr votò a favore di una risoluzione (la 1515, nel 2003) che proponeva il congelamento di nuovi insediamenti: non è quindi la prima volta per Obama. Ma quella risoluzione rappresentava il primo passo verso la cosiddetta "mad map" che doveva portare alla costruzione di uno stato palestinese attraverso i negoziati, cioè faceva parte di un processo in corso e condiviso. Oggi non esistono trattative né piani, e anzi l'Onu ambisce a imporre uno stato palestinese senza l'intermediazione israeliana. Per Israele il punto dirimente poi non è soltanto lo smacco, personale e politico, quanto piuttosto la premeditazione. Da quanto Obama preparava questa mossa? La versione ufficiale della Casa Bianca è che la decisione all'Onu è stata presa nelle ultime ore prima della sessione, e secondo alcuni retroscena a spingere Obama all'astensione è stata la triangolazione di Israele con la nuova Amministrazione Trump e con l'Egitto. Ma si dice - l'ambasciatore israeliano a Washington, Ron Dernier, l'ha dichiarato in modo quasi esplicito - che esistano intercettazioni della presunta collusione tra obamiani e paesi arabi per isolare Israele sugli insediamenti (mostreremo le prove alla prossima Amministrazione, ha detto Dermer, che se vorrà le renderà pubbliche): questo dettaglio però non fa che allargare la distanza tra Israele e America, dal momento che da anni rimbalzano di qui e di là accuse di spionaggio reciproche.
La Stampa- Francesco Semprini:"L'ultima sfidaa di Obama a Israele 'La soluzione sono i due Stati' "
Francesco Semprini
Rischia di accelerare la crisi internazionale generata dalla risoluzione Onu che definisce illegali i nuovi insediamenti israeliani nelle zone occupate, il cui passaggio è stato reso possibile dall'astensione statunitense voluta da Barack Obama in Consiglio di sicurezza. A gettare benzina sul fuoco potrebbe essere il discorso col quale il segretario di Stato Usa oggi illustrerà la road map per la pace in Medio Oriente messa a punto dall'amministrazione uscente a poco più di tre settimane dalla fine del mandato. L'annuncio è arrivato da Ben Rhodes, vice consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca nel corso di un'intervista al network israeliano «Channel 2». Kerry esporrà un piano onnicomprensivo col quale gli Usa puntano a risolvere il conflitto israelo-palestinese con la soluzione dei due Stati. Per il premier israeliano Netanyahu l'annuncio ha il tono di una minaccia per lo Stato ebraico già colpito dalla risoluzione 2334 del 23 dicembre con la quale in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha decretato l'illegalità di qualsiasi nuovo insediamento nei territori occupati. II timore di Netanyahu è che Obama punti a incassare dal Cds un sostegno di principio alla creazione di uno Stato palestinese, un passaggio che potrebbe segnare un punto di non ritorno sia sulla questione mediorientale sia nei rapporti tra Israele, Usa e diplomazia internazionale. II premier israeliano starebbe pertanto cercando appoggio tra i membri del Congresso a maggioranza repubblicana e della nuova amministrazione di Donald Trump per impedire ulteriori azioni contro Israele. Ed era stato proprio il presidente in pectore ad esprimersi ieri, come di consueto con un tweet, nel quale diceva che il Palazzo di Vetro è divenuto un club per gente che si ritrova, chiacchiera e si diverte: «Che tristezza!». Ben inteso, quello di Trump non è un attacco all'istituzione in sé che a suo avviso «avrebbe un grande potenziale». E piuttosto un monito rivolto ad alcuni Stati membri e alle loro posizioni su importanti dossier di politica internazionale. Tanto è vero che lo stesso presidente eletto, la scorsa settimana, do-Po l'approvazione della «risoluzione della discordia» hadichiarato: «Per quel che riguarda l'Onu, le cose saranno diverse dopo il 20 gennaio», giorno del suo insediamento. Trump stesso era stato colui che aveva cercato tramite l'Egitto di ottenere un rinvio della risoluzione alla vigilia del voto, e in realtà - ed è questa la novità - non solo lui. A mettersi di traverso ci aveva provato il suo amico Vladimir Putin, allertato da Netanyahu in persona una volta che il premier dello Stato ebraico aveva capito che era stata la Gran Bretagna a lavorare in segreto con i palestinesi sulla bozza di risoluzione e aveva fatto pressioni sulla Nuova Zelanda (membro non permanente del Cds) a spingere per un voto celere. Perdi più su un documento redatto nelle sue linee guida con il beneplacito degli Usa Putin ha così dato indicazioni al proprio ambasciatore all'Onu, Vitaly Churkin, di chiedere un rinvio del voto, trovando però l'ostruzionismo dei membri occidentali e dei Paesi sponsor della risoluzione. Un gioco a parti invertite rispetto alle tradizionali dinamiche che hanno caratterizzato sino ad oggi il dossier israelo-palestinese al Palazzo di Vetro. E che vedono ora una convergenza parallela di Russia e Israele in virtù - spiegano fonti ben informate -degli accordi strategici che legano i due Paesi in Siria. Nel mirino del governo israeliano è finita ora la conferenza sul Medio Oriente promossa dalla Francia per il 15 gennaio a Parigi, e definita dal ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, come un «processo Dreyfus» (dal nome dell'ufficiale alsaziano ebreo condannato ingiustamente a fine '800). «Non è una conferenza di pace, ma un tribunale contro lo Stato di Israele», ha accusato. Il timore è chegli Usa, attraverso la roadmap che oggi Kerry illustrerà possano ottenere un impegno da parte del Cds sul riconoscimento dello Stato palestinese e così presentarsi a Parigi per incassare un risultato che rimetterebbe in discussione gli equilibri regionali e renderebbe ancora più complesso il quadro delle relazioni globali.
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