Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/12/2016, a pag. 2, con il titolo "Un tunisino alla guida del tir killer, rete di complici dietro la strage", la cronaca di Niccolò Zancan; dal GIORNALE, a pag. 6, con il titolo "La 'polizei' è sotto accusa per gli errori, una taglia da 100mila euro sul tunisino", il commento di Noam Benjamin; dal CORRIERE della SERA, a pag. 9, con il titolo "La lezione di questo 2016: per difendere l'integrazione occorre imporre leggi ferree", l'intervista di Paolo Valentino a Giovanni Di Lorenzo, direttore di "Die Zeit".
E' ora di finirla con la definizione di "lupi solitari", attribuita ai terroristi islamici nel tentativo di nascondere il clima di odio da cui provengono e che li arma. Il titolo dell'articolo della Stampa mette in evidenza, una volta di più, la presenza di una vasta rete di persone intorno al terrorista, che non è un folle e non è nemmeno solitario, ma soltanto un terrorista islamico.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Niccolò Zancan: "Un tunisino alla guida del tir killer, rete di complici dietro la strage"
Niccolò Zancan
Anis Amri
Sapevamo già tutto di lui. Anche se cambiava nome in continuazione, usava sei identità diverse, tre nazionalità, indirizzi di casa sparsi per mezza Germania. Non era ancora il terrorista armato e ferito che adesso si sta nascondendo da qualche parte, eppure lo conoscevamo. «Probabili legami con l’Isis, soggetto pericoloso» lo avevano classificato i servizi di sicurezza tedeschi il 5 febbraio del 2016. Era nell’elenco dei 549 estremisti da tenere sotto stretta osservazione. Sapevamo che Anis Amri nato a Ghaza, Tunisia, il 22 dicembre 1992, così come è stato ufficialmente identificato, stava progettando un attentato in Germania. E secondo fonti d’intelligence non era un lupo solitario, ma parte di una cellula addestrata. Anche a questi complici stanno dando la caccia in queste ore.
Oggi è il suo compleanno. Ventiquattro anni. Il governo tedesco offre 100 mila euro a chiunque sappia fornire indicazioni utili per la cattura. Lo cercano a Friburgo, a Dortmund e qui a Berlino. C’era il suo documento sul camion della strage al mercatino di Natale. C’erano anche, evidentemente, altre tracce che hanno fatto venire meno la tradizionale prudenza degli investigatori tedeschi. Anis Amri è ricercato in tutto il mondo. Hanno stampato il suo viso su un mandato di cattura internazionale. È una fuga che ricorda quella di Salah Abdeslam, l’unico terrorista sopravvissuto del commando entrato in azione a Parigi. E ancora una volta, purtroppo, questa caccia all’uomo interroga i sistemi di sicurezza di tutta Europa. Perché non solo Anis Amri era noto, ed era in quell’elenco, il fatto è che la polizia voleva espellerlo dalla Germania proprio per ragioni preventive. Ma non è stato possibile farlo. Perché?
La Tunisia non riconosceva Anis Amri come suo cittadino. Problemi di identificazione. C’è stata una lunga trafila burocratica, accertamenti durati mesi sulla sua identità, lentezze. Il documento che ufficializza le generalità di Anis Amri è arrivato soltanto ieri: una beffa atroce. E mentre le diplomazie erano al lavoro, lui si radicalizzava sempre di più, cambiava nome, indirizzo, riusciva a rendersi irreperibile. Così come è sempre riuscito a fare. Anche in Italia, dove ha inizio questa storia.
Anis Amri sbarca a Lampedusa nel 2011, l’anno della Primavera Araba. Si dichiara minorenne, ma aveva 18 anni. Finisce in carcere per un incendio che devasta una scuola. Passa quattro anni fra Catania e Palermo, alla fine dei quali riceve - mentre è al Cie di Caltanisetta – un decreto di espulsione. Ma il provvedimento non viene eseguito. Riesce a dileguarsi, viaggia attraverso l’Europa e ricompare in Germania. È luglio del 2015. Anis Amri ha documenti falsi. A Dortmund frequenta la moschea dell’estremista salafita Boban S. Entra in contatto anche con il predicatore Ahmad Abdulaziz Abdullah, detto Abu Walaa, definito da un suo ex seguace in maniera inequivocabile: «Lui è il numero uno dell’Isis in Germania». Ed è anche questo un paradosso: perché a novembre arrestano sia Boban S sia il predicatore. Sono entrambi accusati di aver creato una rete jihadista-salafita, con il compito di reclutare combattenti da mandare in Siria al fianco dell’Isis. Ma l’allievo Anis Amri, assieme ad altri, resta libero e non parte. Si trasferisce a Berlino, dove viene conosciuto come «piccolo spacciatore» al Görlitzer Park. Ritiene più utile entrare in azione qui. Può contare su appoggi e denaro. Dunque non è l’unico ricercato. Da novembre scompare dai radar. Un caso di scuola, il suo. In cui contemporaneamente si avverano tutte le previsioni dell’intelligence e vengono meno tutte le garanzie di sicurezza, una dopo l’altra, da Lampedusa a Berlino.
Adesso gli danno la caccia ovunque. Lo considerano armato e ferito. Sapevamo già prima della strage al mercato di Natale che era «estremamente pericoloso», così come i servizi di sicurezza ribadiscono ora nel mandato di cattura. Se il conto dei morti lunedì sera si è fermato a dodici, lo si deve solo al camionista polacco Lukasz Urban. L’autopsia ha messo in evidenza quello che è accaduto durante il dirottamento del Tir. Lui ha lottato con tutte le sue forze, cercando di deviare la traiettoria del mezzo, prima di essere ucciso a colpi di pistola.
La fuga nella città di Anis Amri ferito è un altro mistero. Suo padre è stato intervistato ieri sera da un giornalista dell’agenzia Afp. «Non posso credere ai miei occhi, non posso credere a questa foto», ha detto Abdekader Amri. Abita in un paese al centro della Tunisia chiamato Oueslatia. Lui e la figlia Najoua aveva contattato recentemente Anis Amri via Facebook: «Era sempre sorridente e felice! Sembrava che tutto andasse bene. Non abbiamo mai pensato che avesse qualcosa di sbagliato. Siamo sotto choc. Ma se davvero è stato lui, è giusto che paghi con il massimo della pena. Noi rifiutiamo il terrorismo».
Berlino sta dando una prova impressionante di forza e normalità. Non vuole rinunciare a se stessa. Le strade sono piene. Il mercatino della strage potrebbe riaprire in questi giorni. Berlino capitale di cultura, integrazione e libertà. Anis Amri non aveva alcun diritto di vivere qua.
IL GIORNALE - Noam Benjamin: "La 'polizei' è sotto accusa per gli errori, una taglia da 100mila euro sul tunisino"
Noam Benjamin
La strage al mercatino di Berlino
Berlino - É stata una giornata frenetica per le forze dell'ordine tedesche. Trentasei ore dopo la strage di lunedì sera al mercatino di Natale più famoso e frequentato di Berlino ovest, i poliziotti si sono ritrovati al punto di partenza. Il 23enne pachistano fermato subito dopo l'attentato ha continuato a dichiararsi estraneo ai fatti e l'analisi del Dna ritrovato sul camion gli ha dato ragione. In mancanza di indizi sufficienti, il giudice non ha convalidato il fermo e il giovane richiedente-asilo è stato rimesso in libertà. Eppure martedì sera il capo degli investigatori federali, André Schulz, in televisione si era detto «piuttosto fiducioso» di poter catturare il sospetto «nelle prossime ore».
Un ottimismo dettato dal bisogno di rassicurare i berlinesi (e i tedeschi) terrorizzati all'idea di un folle jihadista a piede libero. Allo stesso tempo Schulz può contare sul sostegno dei suoi connazionali: in un paese dove il controllo sociale è tradizionalmente molto forte, lo scambio di informazioni fra cittadini e autorità è la norma anche in caso di reati di piccola entità. Martedì sera la polizia poteva già contare su 500 indicazioni (ritenute utili alla ricerche) ricevute da privati cittadini. La sorpresa giunge mercoledì pomeriggio: la polizia rende noto di aver rinvenuto la carta di identità di un cittadino tunisino, tale Anis Amri, sotto al sedile del conducente del tir. Il nome fa concentrare l'attenzione degli investigatori sul Nord Reno-Westfalia (NRW), il Land più grande della Germania e quello con la più alta concentrazione di stranieri. Il tunisino risulta essere una persona nota alle autorità per essere entrato in contatto con i circoli jihadisti renani. «Le agenzie di sicurezza - ha spiegato il ministro degli Interni del Land, Ralf Jäger - avevano già scambiato informazioni su questa persona con il centro antiterrorismo a novembre 2016».
A inserire Amri in una lista di osservati speciali, altre due circostanze: l'ingresso nel paese attraverso il NRW, laddove la gran parte dei profughi arriva da sud e ciò dalla la Baviera; e la sua permanenza a Berlino. Il soggetto aveva dimostrato «alta mobilità». Anche il tunisino aveva presentato domanda di asilo alla Germania ma la sua domanda era stata respinta. Allo stesso tempo il suo rimpatrio in Tunisia era fallito per l'impossibilità di stabilire in modo univoco l'identità del giovane, registratosi con quattro nomi diversi, e per la mancanza di un documento di riconoscimento. Poi l'annuncio del ritrovamento dello stesso sotto al sedile del tir inzuppato del sangue dell'autista polacco. Gli investigatori presumono che il terrorista non sapesse guidare il camion e che abbia lasciato in vita l'autista fino all'ultimo per farsi aiutare. Quando il polacco ha accennato a resistere, il suo sequestratore lo ha finito a coltellate. L'esecuzione all'arma bianca non farebbe che confermare la pista della jihad. E mentre il britannico Mirror scrive che Amri sarebbe legato ai circoli dell'estremismo islamico tunisino responsabile della strage dei turisti sulla spiaggia di Sousse, la polizia tedesca ha offerto una taglia da 100 mila euro a chi fornirà informazioni utili all'arresto del ricercato.
CORRIERE della SERA - Paolo Valentino: 'La lezione di questo 2016: per difendere l'integrazione occorre imporre leggi ferree'
Giovanni Di Lorenzo
«È successo ciò che temevano da anni. C’erano già stati tentativi ancora più gravi di quello di Berlino, sventati all’ultimo. Si era sperato che noi fossimo risparmiati. Purtroppo la cosa è avvenuta sullo sfondo di una società, che è cambiata. L’apertura delle frontiere del 4 settembre 2015 e l’arrivo in Germania di 900 mila profughi, oltre a quelli che già c’erano, ha scosso profondamente il Paese, che si è diviso». Lunedì sera, al momento di chiudere Die Zeit , il direttore Giovanni di Lorenzo ha dovuto fare una scelta dolorosa: «La situazione era poco chiara, ogni tentativo di analisi sarebbe stato solo frutto di speculazione. Sapevamo di un arresto che poi si è rivelato essere sbagliato. Così ho scritto un piccolo editoriale, nel quale ho spiegato la scelta di non pubblicare nulla. Gli sviluppi del caso li abbiamo però seguiti e documentati su Zeit Online ».
Sviluppi che giustificano la vostra scelta iniziale, ma che scoprono lacune degli organi di sicurezza. «Oggi per la prima volta abbiamo un sospettato vero, di origine tunisina, entrato un anno prima del 4 settembre e la cui richiesta di asilo era stata rifiutata. Non era stato espatriato, perché la Tunisia non lo accettava sostenendo che non fosse tunisino. Proprio oggi è arrivato il suo passaporto secondario, che prova il contrario. Poi viene fuori che si era radicalizzato e era definito pericoloso. E ciò è preoccupante».
L’effetto sul Paese è stato come un colpo di frusta. «C’è un dibattito avvelenato sui profughi. Il tema della sicurezza interna viene sfruttato da una nuova forza politica, AfD, che anche in questa occasione non si è smentita: quando ancora non sapevamo se si trattava di un attacco, il tweet di un dirigente di AfD parlava di “morti di Merkel”. Temo che sia solo l’inizio».
Come rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pubblica? «In modo efficiente, senza minare ulteriormente la fiducia nell’autorità statale. Non è possibile che questi elementi a rischio siano a piede libero. Per controllarli notte e giorno ci vorrebbero 24 agenti a testa. Occorrono mezzi nuovi».
Rinunciare a un po’ di libertà per maggior sicurezza anche in Germania, dov’è tema delicato e controverso? «Dirigo un giornale che ha fatto della difesa dei diritti costituzionali la sua bandiera. La mia è una valutazione politica: in questo momento non si può più giustificare che un richiedente asilo sospettato di legami con ambienti terroristici possa circolare tranquillamente. Se vogliamo tornare a un’atmosfera nella quale la gente accetta la politica dell’integrazione, ma nel pieno rispetto delle regole e delle leggi tedesche, occorre imporle in modo ferreo e rigoroso. Non bisogna farsi dettare le leggi da chi vuole solo distruggere il nostro modo di vivere e le nostre abitudini più tradizionali e care, come lo sono i mercatini natalizi per i tedeschi. Ma non possiamo essere indulgenti con chi si macchia di crimini».
Quali le conseguenze politiche per Angela Merkel? «Nell’ultimo anno lei, che non aveva mai polarizzato, è diventata la bestia nera dei movimenti populisti di destra. Esiste un rischio che anche dentro il suo partito cresca l’opposizione. I social e la loro carica di odio però non sono la società tedesca. Berlino è ferita ma la città dimostra la sua civiltà e la sua volontà di sopravvivenza. E’ stato un colpo brutto, ma credo che la maggioranza dei tedeschi voglia ancora ragionare e non farsi travolgere dalle pulsioni».
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