Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 21/12/2016, a pag.1, con il titolo "L'Europa sottomessa al nuovo jihad" l'analisi di Daniele Raineri. A pag.II, con il titolo "Tra prevenzione e passaggi, il ruolo pericoloso dell'Italia" l'analisi di Cristina Giudici.
Daniele Raineri:"L'Europa sottomessa al nuovo jihad"
Daniele Raineri
Roma. C'è un equivoco che ricorre spesso nei titoli dei giornali e nelle analisi del giorno dopo gli attentati dello Stato islamico in Europa - come quello a Berlino rivendicato ieri - ed è legare quelle stragi a qualche fatto che sta succedendo. Si leggono spiegazioni come: "Lo fanno per rappresaglia, perché ora sono sotto pressione dal punto di vista militare"; "Lo fanno perché ora colpiscono i soft target, i bersagli più vulnerabili"; "Lo fanno perché stanno perdendo a Mosul e a Raqqa". In realtà lo Stato islamico obbedisce a un impianto ideologico molto chiaro e semplice che impone di punire chiunque non si adegua al loro progetto. Non contano le circostanze, non conta lo svolgersi storico delle vicende umane. Loro si muovono all'interno di un disegno trascendente che non prende in considerazione compromessi o deterrenza (tipo: se voi ci attaccate, allora noi vi manderemo stragisti). Questo vuol dire che se - per ipotesi - nessuno facesse la guerra allo Stato islamico nei territori che controlla in Iraq e in Siria, i leader del gruppo estremista chiederebbero lo stesso questi attacchi in occidente. II fatto che poi alcuni governi occidentali abbiano lanciato una campagna aerea per colpire le basi dei mujaheddin è soltanto un argomento rafforzativo, ma tutto sommato marginale, nella visione delle cose dello Stato islamico. Ci sono prove fattuali che dimostrano come la pensano i suoi leader irriducibili: per esempio, i primi piani arrivati alla fase avanzata per compiere attentati in Europa risalgono al 2013 (un sequestro di materiale esplosivo in Francia, a Nizza) quando il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi godeva di un periodo di relativa impunità in Iraq e in Siria e non avrebbe dovuto preoccuparsi dei governi occidentali perché ancora non era considerato una minaccia. Non c'era motivo di reagire e di compiere rappresaglie, ma già organizzavano le stragi. Quando lo Stato islamico ha minacciato i paesi europei ha detto in modo esplicito che l'obiettivo della sua campagna militare era "raggiungere Roma", "spezzare le croci" e "rendere schiave" le donne occidentali. Soltanto in seguito e in alcuni video di propaganda il gruppo ha sottolineato il ruolo dell'Italia a difesa del governo libico di Fayez al Serraj che ha attaccato la città di Sirte, in mano allo Stato islamico fino all'inizio di dicembre, come motivo di una possibile vendetta. Ma la conquista di Roma è slegata dalla politica del governo italiano: è già un punto del programma stabilito dalle profezie, e se il governo italiano - per assurdo - fosse in guerra contro il governo di Tripoli non cambierebbe nulla. Che è la ragione per cui il gruppo attacca sia l'Iran sia gli Stati Uniti, a dispetto della forte tensione fra i due. Le contingenze non importano, conta soltanto l'espansione dello Stato islamico, come si capisce da due motti che non potrebbero essere più chiari: "Lo Stato islamico non ha confini, soltanto fronti" e "Al Dawla al islamiyya? Baqiya wa tatamaddad!", "Lo Stato islamico? Resterà e si espanderà!". Certo, il gruppo poi gestisce questa sua visione di guerra universale secondo alcuni tatticismi: per esempio l'anno scorso non rivendicava i grandi attacchi in Turchia, per seminare confusione e aizzare le violenze tra governo e minoranza curda; inoltre, colpisce molto in Francia e in Belgio piuttosto che in altre nazioni, ma questo perché è più semplice dal punto di vista logistico grazie al numero di adepti francesi e belgi che sono andati e tornati dal medio oriente. Lo Stato islamico è stato creato nell'ottobre 2006 e aveva già le stesse direttive che oggi lo spingono a organizzare attentati in Europa, come un software che si ripete sempre uguale. Se per anni non ha attaccato qui è soltanto perché era assorbito dalla guerra locale in Iraq, perché ha passato anni di crisi e perché soltanto a partire dal 2012 è tornato potente come prima, anzi di più grazie alla circolazione di volontari negli aeroporti e di propaganda in alta definizione su internet. Il gruppo islamista attacca, è nella sua natura, e più è ampio più allarga il suo raggio di tiro - a volte ispirando a distanza. Questo vuol dire che i governi non avrebbero dovuto concedere quel lungo periodo di tranquillità finito con i primi raid aerei americani nell'agosto 2014, ma intervenire quando ancora era l'ora zero. E invece.
Cristina Giudici: "Tra prevenzione e passaggi, il ruolo pericoloso dell'Italia"
Cristina Giudici
Milano. Ora che, dopo una breve tregua durata pochi mesi, è tornato l’allarme terrorismo in tutta Europa, bisogna chiedersi cosa sia successo, nel nostro paese, nell’intervallo di tempo in cui ci eravamo illusi di poter vivere senza l’incubo della guerra islamista. Ieri in Italia il Viminale ha diramato una circolare ai prefetti, i quali potranno vietare concerti, mercatini e manifestazioni se non ci saranno condizioni necessarie per la sicurezza. E cioè la possibilità di controllare gli ingressi. A Milano il prefetto Alessandro Marangoni ha annunciato un sistema di protezioni passive con barriere mobili contro l’uso di camion lanciati sulla folla nei luogh, dove si concentrano maggiormente cittadini e turisti. Nessuno però si è ancora chiesto come mai per alcuni mesi, sebbene dallo stato islamico continuassero ad arrivare esortazioni con istruzioni specifiche per fare attentati in Europa – persino con un video e sottotitoli in italiano – in Italia non sia successo (ancora )niente. Un’ipotesi fondata, per chi non ha mai smesso di monitorare la galassia islamista, riguarda il ritorno in Europa dei foreign fighters. Secondo le intelligence europee la cifra dei combattenti stranieri che sono rientrati è rilevante: 1.750. Come il Foglio ha dimostrato in inchieste nei mesi scorsi, molti di loro hanno usato come terra di transito il nostro paese. Quindi pare non solo possibile, ma anche probabile, che il silenzio temporaneo dei lupi solitari o di cellule guidate dal Califfato fosse dovuto alla decisione di tenere un basso profilo e non creare allarme, per permettere ai returnees di rientrare in altri paesi d’Europa. E siccome l’Italia – paese a rischio ma mai colpito anche per una costante opera di contrasto e prevenzione nei confronti degli islamisti residenti – continua a essere terra di passaggio, non si può escludere che la tregua fosse dovuta al rientro dei combattenti stranieri per rilanciare poi un’offensiva nelle capitali europee. Infatti, secondo le nostre fonti, in Lombardia sono passati diversi foreign fighters che non potevano essere arrestati perché non c’erano ordinanze di custodia cautelare nei loro confronti, ma sono stati espulsi verso i loro paesi d’origine in Europa. Ora nessuno si chiede come mai dopo ripetuti attacchi in Francia, in Svizzera, in Germania, fosse calato il silenzio. E invece, secondo la nostra ricostruzione, in Italia sono presenti solo 6 combattenti stranieri rientrati, mentre molti altri, non è noto il numero preciso, hanno attraversato il Mediterraneo. Oppure hanno seguito, quando e dove è stato possibile, la rotta balcanica. E’ sicuro però un dato: 1.750 sono tornati in Europa. In attesa di chiarire cosa sia successo a Berlino, in Italia sono continuate le espulsioni e gli arresti degli integralisti. Il lavoro di contrasto e di prevenzione del terrorismocontinua a essere efficace per tutelare il nostro paese, che pure è un target, a giudicare dalla propaganda islamista, ma non è sufficiente a spiegare la tregua che abbiamo avuto in Europa. Si aspettavano le feste natalizie per colpire e intimidire gli infedeli-crociati che da mesi bombardano le roccaforti dello stato islamico? Oppure la risposta è più articolata e drammatica? Dalla formazione della “terra promessa” per chi smaniava per fare la guerra santa, dall’Europa sono partiti circa 5.000 volontari. Il 12 ottobre scorso Marco Minniti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’intelligence, aveva dichiarato durante un’audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati: “Sono più di un migliaio i foreign fighters tornati in Europa, e identificati dai vari governi, alcuni con le famiglie”. Il fenomeno dei “returnees” pone adesso il problema di come conciliare i controlli di sicurezza, che restano la nostra priorità, con la possibilità che chi è entrato in un processo di radicalizzazione ne esca”. Due mesi e mezzo dopo, sono quasi raddoppiati. Quindi non basta discutere su come regolare e vigilare l’accoglienza degli immigrati. Bisogna essere consapevoli che la guerra all’Europa può tornare anche dal fronte dei combattenti europei.
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