Sarà questa la ragione dell’apericena?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari Amici,
nei miei percorsi lavorativi la settimana scorsa mi sono imbattuto in due documenti interessanti. In realtà non ho fatto fatica, erano appiccicati al muro. Manifestini di propaganda politica, roba banale. Ma ritengo comunque interessante parlarvene e cercare di ragionarci un po’ sopra.
Il primo, che ho trovato in un angolo dell’università di Torino dove insegno, lanciava una “settimana di azione internazionale” intitolata “Io non compro HP”. All’inizio mi sono un po’ preoccupato, visto che il computer da cui vi sto scrivendo è proprio un HP.
Poi ho letto la motivazione del boicottaggio proposto: Hewlett – Packard, gigante statunitense dell’informatica, fornisce a Israele tecnologie per le forze armate e per l’identificazione biometrica ai checkpoint, e servizi e attrezzature nelle carceri in cui sono detenuti migliaia di prigionieri politici palestinesi”.
Sotto questo testo un tantino sgrammaticato (quella concordanza ad sensum “detenuti migliaia” mi sembra decisamente opinabile) una mano guidata dall’intelligenza aveva commentato con una biro “E allora?”.
Io naturalmente vado un po’ più in là e mi sento molto contento di aver scelto proprio un computer HP. La cosa interessante da notare è che la “settimana di azione internazionale” propagandata con questo manifesto si è largamente conclusa (andava dal 25 novembre al 3 dicembre) e anche una persona attenta a queste cose e che lavora sul posto come me non se n’è minimamente accorto. C’erano alcuni “eventi programmati”, una davanti a un centro commerciale, uno in università, uno “sotto il comune”, ma non ne ho trovato tracce. Se fossi la HP proprio non mi preoccuperei.
Il secondo manifesto invece l’ho visto alla stazione di Ivrea, Annuncia la presentazione di un libro pubblicato nel 2015, intitolato “Gaza e l’industria israeliana della violenza”.
I contenuti si vedono facilmente anche solo dalla prima frase della presentazione (appiccicata anche lei su un palo della stazione di Ivrea”: “La Striscia di Gaza, da quasi un secolo, è un luogo di resistenza e di sofferenza. Non è l'unico in questo mondo sconvolto da conflitti, ma è il paradigma della "produzione" della violenza contemporanea.”.
La presentatrice principale e anche coautrice che si chiama Diana Carminati, si descrive in un sito di ISM Italia (la sigla corrisponde alla sezione italiana di un movimento molto violentemente antisraeliano, l’International Solidariety Movement), con la strana qualifica di “professore associato di Storia dell’Europa contemporanea presso l’Università di Torino (sino al 2004)”, ma francamente è difficile capire in che cosa siano consistite la “sofferenza” e la “resistenza” di Gaza, almeno sotto il dominio turco (fino al 1918), britannico (fino al 1948) efgiziano (fino al 1967).
Non c’era neanche tanta “resistenza” o piuttosto terrorismo fra il ‘67 e il ‘94, tant’è vero che proprio per la sua tranquillità Gaza fu fra i primi territori consegnati all’Autorità Palestinese dopo gli accordi di Oslo, nel 1994 e successivamente Sharon decise di smantellare gli insediamenti ebraici nel 2005 sperando che la striscia diventasse un possibile luogo di sviluppo economico arabo e di convivenza.
Invece la sofferenza, che senza dubbio esiste davvero per i gazawi comuni, non membri della dittatura di Hamas è iniziata quando il colpo di stato del 2007 la sottrasse al controllo dell’Autorità Palestinese e ne fece il centro della guerra della Fratellanza Musulmana contro Israele.
Ma che volete, questi sono i fatti e per personaggi come gli autori di questo libro delle belle parole rotonde (“da quasi un secolo”), magari con la rima (“resistenza e sofferenza”) non si possono certo lasciare oscurare da parte di banali fatti oggettivi.
Se non sono d’accordo, peggio per loro. Non perderei il mio e il vostro tempo per parlare di sciocchezze belle e buone come la pretesa di una’”industria israeliana della violenza”, se questi volantini non mi avessero suscitato un interrogativo, che forse ha colpito anche voi: perché lo fanno?
Cercando un po’ ho scoperto che durante il mese di novembre scorso il volume che vi ho citato è stato presentato anche a Gorizia e San Giorgio di Nogaro. Anche lì immagino, con volantini stampati e appiccicati ai muri, e magari con la stessa formula moderna usata a Ivrea: “Ore 19.30 Apericena a offerta libera; Ore 21.00 Inizio presentazione”. Ecco, la mia domanda è questa chi glielo fa fare a dei giovanotti (li immagino giovani, non so perché) di Ivrea o di San Giorgio di Nogaro di darsi da fare per organizzare un’”apericena a offerta libera” e di distribuire i volantini relativi, per il piacere di sentire un “professore associato di storia contemporanea… fino al 2004” che gli racconta delle vicende improbabili e in rima su un conflitto che di fatto negli ultimi due anni e mezzo non è stato quasi attivo?
Ammettiamo che siano perfettamente benintenzionati e onesti: perché si occupano di Gaza e non di Aleppo, dove in questi giorni scorre un fiume di sangue? Perché non si preoccupano dello Yemen, della Libia, dello Stato Islamico che presentano ben altri livelli di urgenza e dove c’è davvero un’”industria della violenza”.
Diamo pure per scontato che non siano informati e non conoscano i fatti sul Medio Oriente, non sappiano che la guerra di Siria da sola ha fatto dieci volte più morti, più feriti e più esiliati di settant’anni di tentativi arabi di distruggere Israele.
Ma perché sono così manipolabili da accendersi per Gaza? Perché non si interessano minimamente del Kashmir, o del Tibet o dell’Africa occidentale, dove infuriano conflitti più vasti e sanguinosi? Perché non si sono appassionati delle sorti della Crimea e Ucraina orientale o del popolo curdo, che combatte per la sua sopravvivenza o degli jazidi sterminati dall’Isis?
Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui.
E perché se la prendono con HP invece che con i fabbricanti di armi vere, inclusi quelli italiani che non sono pochi? Perché è male fornire strumenti alle prigioni israeliane e non a quelle turche o cinesi, per fare solo un esempio, dove vige la pena capitale che in Israele non c’è? Potrei andare avanti a lungo con le ragioni delle perplessità, ma credo che ci siamo capiti.
Ecco, quei volantini sgrammaticati, quelle storie raffazzonate, quelle scritte (che non ho citato, ma sono su tante strade di tante città: “Palestina libera” o meglio “rossa”, ecc ecc.), mi lasciano un interrogativo: perché?
Ci penso e ci ripenso, cerco di essere equanime e di sottrarmi alla paranoia, ma non riesco a sottrarmi all’impressione che c’entri il fatto che questa storia sia l’unica in cui sono coinvolti degli ebrei.
Ecco, non voglio assolutamente sostenere che i signori che organizzano la famosa “apericena a offerta libera” e quelli che ce l’hanno con HP e i loro vari compagni o camerati siano consapevolmente razzisti, non ho proprio le prove per affermarlo.
Posso anche arrivarfe ad ammettere che per lo più non sanno quel che fanno e perché, che sono semplicemente parte di un gruppo o influenzati da un’onda propagandistica che per qualche ragione li coinvolge. Ma appunto, perché li coinvolge proprio questa storia? Non lo so, naturalmente.
Ma, chissà perché, mi tornano in mente dei libri. Sempre libri di storia, ma di storia vera. Per esempio, Goldhagen e “I volonterosi carnefici di Hitler”. Oppure Marco Palmieri e Mario Avagliano “Di pura razza italiana”. O tanti altri, che vi ho citato nel corso degli anni. Dove si vede che al momento buono, senza particolari vincoli gerarchici, senza neppure un’ideologia ben sviluppata, salta sempre fuori qualcuno disposto a dare la colpa dei mali del mondo agli ebrei, magari con la voglia di aiutare l’umanità a liberarsi di questa “industria della violenza” (o del deicidio, o dello sfruttamento dei popoli, dell’ammazzamento dei bambini, dell’avvelenamento dei pozzi o di quel che volete), cioè gli ebrei.
Ugo Volli