Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di ogg,18/12/2016, a pag.28, con il titolo "Anna Frank non fu tradita, ma l'orrore dello sterminio resta intatto", il commento di Donatella Di Cesare.
Ci mancava Anna Frank, tutto inventato, a rivelarlo tale Ronald Leopold, che ricopre la carica di direttore del museo/casa Anna Frank. E' bastata questa sua dichiarazione perchè tutti gli dessero retta. Non è vero che Anna e gli altri ospiti dell'alloggio segreto erano stati traditi, catturati e inviati al campo di sterminio, no, si era trattato più semplicemente di una inchiesta sui 'buoni pasto per le razioni di cibo' a far scoprire Anna e gli altri ebrei. La notizia viene riportata oggi su quasi tutti i giornali. Abbiamo scelto il commento di Donatella Di Cesare, perchè rivela l'ignoranza di quanto avvenne in Olanda, il paese europeo dalla percentuale di ebrei catturati e uccisi più alta rispetto alla popolazione. Furono le delazioni dei bravi olandesi a facilitarne la cattura da parte dei tedeschi, questa è la verità, accertata e risaputa anche da chi non fa la professione di storico. Che la nuova versione faccia scrivere alla Di Cesare che "può forse strappare un breve sospiro di sollievo" lo si può capire soltanto se si ricorda che la suddetta è stata vice presidente della Fondazione Heidegger, il filosofo nazista. Anna Frank è morta di tifo nel campo, non fecero in tempo a ucciderla, una svista della Di Cesare che scrive 'sarebbe stata uccisa di lì a poco, nel lager di Bergen Belsen". Forese è meglio che torni a occuparsi di filosofia e lasci perdere la storia.
Donatella Di Cesare
Sembra che non sia stata una denuncia a provocare l'arresto di Anna Frank e della sua famiglia il 4 agosto 1944, durante l'occupazione nazista dell'Olanda. Lo ha annunciato Ronald Leopold, direttore esecutivo della «Casa di Anna Frank». Nello scenario storico, disegnato da un nuovo studio del Museo, viene dunque meno la figura odiosa del delatore che non gettava, certo, una luce favorevole sulla Amsterdam di allora e faceva pensare con amarezza all'assenza completa di solidarietà. Sarebbe stata piuttosto un'indagine sui buoni per le razioni di cibo, stampati illegalmente, a portare la polizia nazista sulle tracce di Anna e degli altri ebrei che, per quasi due anni, vissero nascosti nella casa al numero 263 della Prinsengracht, prima di essere deportati. Tuttavia, che la causa sia più banale, un blitz dei nazisti, senza altre corresponsabilità, può forse strappare un breve sospiro di sollievo, ma non muta la storia, nella sua drammaticità e nella sua rilevanza, né scalfisce la figura esemplare di Anna. Questo va detto con particolare enfasi, per prevenire eventuali attacchi di chi vorrebbe, se non negare, almeno sminuire. Occorre infatti ricordare che il diario di Anna, di cui è stata più volte confermata l'autenticità, ha rappresentato uno dei bersagli preferiti dai negazionisti, già da quando, nel 1957, la rivista svedese Fria Ord ha cominciato a parlare di «montatura». L'oltraggio al testo si è andato poi diffondendo ininterrottamente — anche nei siti web italiani. La veemenza con cui si è tentato di screditare quelle pagine si spiega fin troppo facilmente: il diario di Anna è per molti, soprattutto per i più giovani, il primo coinvolgente accesso alla Shoah. Tale deve restare. Sullo sfondo oscuro di quei giorni di angosciosa attesa, narrati da una adolescente che sarebbe stata uccisa di lì a poco, nel lager di Bergen Belsen, si staglia, anche se solo presagito, l'orrore dello sterminio.
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