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La Repubblica Rassegna Stampa
17.12.2016 Turchia: fine della libertà di pensiero, ma si viene anche uccisi
Commento della scrittrice Elif Shafak

Testata: La Repubblica
Data: 17 dicembre 2016
Pagina: 19
Autore: Elif Shafak
Titolo: «Noi scrittori turchi, progionieri anche se non siamo in prigione»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/12/2016, a pag.19, una breve seguita da una analisi della repressione della libertà di pensiero nella Turchia di Erdogan. Si può venire uccisi, come è successo a Beki Ikala Erikli, oppure perdere ogni lbertà. come racconta Elif Shafak.

Uccisa a Istanbul Beki Ikala Erikli, saggista bestseller

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Beki Ikala Erikli

ISTANBUL. È stata uccisa in circostanze misteriose Beki Ikala Erikli, scrittrice di saggi e volto noto in Turchia, morta l'altro ieri sera in un agguato a mano armata a Istanbul. Un fatto di sangue che alimenta la tensione nel Paese, in cui monta sempre più la protesta di giornalisti, scrittori e intellettuali contro il pugno di ferro del governo. In base a quanto riporta l'agenziaDogan, Erikli, autrice del bestseller Vivere con gli angeli, è stata uccisa all'ingresso del proprio ufficio, nel centralissimo quartiere di Beyoglu. I vicini, accorsi dopo aver sentito gli spari, hanno riferito che la responsabile dell'aggressione, una donna, si è dileguata immediatamente lasciando la vittima a terra, colpita da tre proiettili. Secondo il quotidiano turco Hurriyet, la scrittrice recentemente sarebbe andata dalla polizia, per denunciare di essere oggetto di stalking e di minacce via social.

Elif Shafak: "Noi scrittori turchi, progionieri anche se non siamo in prigione"

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Elif Shafak

Lo scrittore angloungherese Arthur Koestler, nato a Budapest all'alba del secolo scorso, nel corso della sua vita imparò a conoscere da vicino i pericoli dell'autoritarismo. Gli effetti corrosivi di questa forma di governo sull'animo umano lo inquietavano almeno quanto la concentrazione di potere senza freni. «Se il potere corrompe», scriveva, «è vero anche l'inverso: la persecuzione corrompe la vittima, anche se probabilmente in modi più sottili e tragici». Se Koestler ha ragione, e i regimi autoritari finiscono per corrompere insieme a se stessi anche chi li contesta, allora i letterati turchi hanno un'altra ragione per preoccuparsi. Da anni viaggiamo dentro un tunnel buio e sempre più angusto di «democrazia illiberale». Il tentato golpe di luglio, che ha fatto più di duecento vittime, è stato uno shock e un errore: ha peggiorato tutto. Ma uno degli infiniti paradossi della Turchia è che i liberali e democratici che sono stati fra i primi a opporsi ai sinistri tentativi dei golpisti di rovesciare il governo dell'Akp sono diventati anche i primi a essere puniti e messi a tacere da quello stesso governo. Oggi più di centoquaranta giornalisti sono incarcerati in Turchia: un record mondiale, perfino più della Cina. Amici e colleghi sonostati esiliati, messi all'indice, arrestati, imprigionati. L'illustre linguista Necmiye Alpay, che ha festeggiato il suo settantesimo compleanno dietro le sbarre; la romanziera Asli Erdogan; il romanziere Ahmet Altan; lo studioso Mehmet Altan; l'editorialista liberale Sahin Alpay; il direttore del giornale laico Cumhuriyet Murat Sabuncu e il suo redattore letterario Turhan Günay. Il New York Times ha scritto recentemente che «gli autori più famosi sono stati curiosamente risparmiati, almeno in parte, dal giro di vite del governo». Ma quello che non sappiamo sono gli effetti di questo giro di vite su quelli di noi che sono "liberi". Come ha scritto un commentatore sui social media, «Se tutti questi scrittori sono "dentro", nessuno degli altri è veramente "fuori"». Sarebbe ingenuo presumere che le nostre storie siano immuni, che non siano toccate da questi eventi. Da quando è esplosa la Primavera Araba, ho avuto molti scambi con scrittori di "geografie malferme" ( Egitto, Pakistan, Libia, Tunisia). Sappiamo tutti che quando sei un romanziere di territori come questi non puoi permetterti il lusso di essere apolitico. E anche se qualsiasi disciplina artistica è a rischio di degenerazione e manipolazione in presenza di un regime autoritario, per la narrativa il pericolo è più alto, e per la prosa più che per la poesia. In The Prevention of Literature, George Orwell analizzava la sorte dei due generi sotto un governo non democratico. Un poeta poteva sopravvivere al dispotismo senza grossi danni, ma non altrettanto uno scrittore di prosa, che non poteva controllare o limitare la portata dei suoi pensieri senza «uccidere la sua inventiva». Orwell raccontava come la letteratura fosse avvizzita in Germania, in Italia e in Russia ogni volta che l'autocrazia era in auge. Poi metteva sull'avviso i futuri scrittori: «La poesia potrebbe sopravvivere in un'epoca totalitaria, e certe arti o mezze arti, come l'architettura, potrebbero perfino trovare benefica la tirannia: ma lo scrittore di prosa potrebbe scegliere soltanto tra il silenzio o la morte». Il silenzio è una strana cosa, una sostanza viscida e appiccicosa che diventa tanto più aspra quanto più la tieni in bocca, come una gomma che marcisce senza che tu te ne accorga. Ed è contagioso: stranamente, il silenzio ama la compagnia. È più facile rimanere in silenzio quando anche altri fanno lo stesso. La sfida è più grande, a mio parere, per le scrittrici, che sono ancora viste come figlie, mogli o madri più che come individui in grado di pensare e scrivere per contro proprio. In Turchia, l'e-ta e il genere, oltre alla classe sociale e alla ricchezza, rappresentano le principali linee divisorie, e le scrittrici faticano a ottenere rispetto prima di diventare "vecchie" agli occhi della società, e quindi desessualizzate, defemminizzate. Finché quel momento non arriva, la retorica del sessismo e la diminutio a cui sei soggetta in quanto scrittrice sono più acute. Colpisce il fatto che una parte considerevole di questa denigrazione venga da persone che fanno parte della nuova élite culturale. Nulla è più triste della comparsa di "giornalisti" e "scrittori" opportunisti sotto un regime autoritario. Alcuni di questi personaggi sono scrittori più anziani che non hanno avu *** to il successochedesideravano. Altri sono neofiti ansiosi di raccogliere i frutti dell'oscurità e del caos. In Turchia, al momento, di persone del genere, che invocano pubblicamente l'arresto dei loro colleghi e festeggiano quando i loro desideri vengono esauditi, ce n'è a volontà. Al di là di queste reazioni opportunistiche, direi che sono fondamentalmente quattro le risposte degli scrittori turchi alla perdita di libertà intellettuale e artistica. La prima è la de-politicizzazione, un' autocensura volontaria. Nell mondo di ieri, memoir sulla vita a Vienna prima dell'ascesa del nazismo, Stefan Zweig scriveva «Dimentica tutto, mi dico, rifugiati nella tua mente e nel tuo lavoro, nel luogo dove sei soltanto il tuo io che vive e respira, non un cittadino di qualche Stato, non una pedina in questo gioco infernale, il solo luogo dove la ragione che possiedi può ancora produrre qualche ragionevole effetto in un mondo impazzito». Quelli che imboccano questa strada sceglieranno per lo più soggetti non politici, scrivendo storie innocue su amori e cuori spezzati. Poi c'è la strada dell'iperintellettualiziazione. Quelli che scelgono questa via cominceranno a scrivere in modo più indiretto, dicendo, ma non dicendoesattamente, l'indicibile, con frasi troppo lunghe e descrizioni troppo astratte, in modo da non essere costretti a definire autocrate un autocrate. Ci sono anche quelli che si ritrovano catapultati in un nuovo ruolo pubblico a cui non erano preparati, costretti a lottare contro il potere, l'ingiustizia, la disuguaglianza, l'oppressione. La loro arte può beneficiarne risentirne. Laquartaeultimastradaèlasatira, un umorismo nero, tagliente. Ma l'umorismo è una faccenda pericolosa in Turchia: non stupisce che fra quelli arrestati ci sia uno dei più importanti vignettisti del Paese, Musa Kart. Mentre queste quattro strade si estendono di fronte a noi, ci ritroviamo divisi in piccole celle, con le pareti di vetro. Perfino le vecchie amicizie si incrinano. Gli scrittori di geografie malferme si sentono in dovere di scrivere e parlare di politica come mai prima d'ora. Ogni giorno dobbiamo fronteggiare la sfida di tenere in equilibrio il prosaico e il fatidico, il banale e il sublime, il dentro" e il fuori". E anche se il caso della Turchia è particolarmente deprimente, si iscrive in una tendenza più ampia. Ondate di nazionalismo, isola-zionismoe tribalismo si infrangono sulle rive dei paesi di tutta Europa, e raggiungono gli Stati Uniti. Sciovinismo e xenofobia sono in ascesa. E l'Età dell'Angoscia, e dall'angoscia alla rabbia, e dalla rabbia all'aggressione, il passoè piccolo. Se Koestler eZweig fossero vivi oggi, riconoscerebbero immediatamente i sintomi.
(Traduzione di Fabio Galimberti da:The New Yorker)

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