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Il Foglio Rassegna Stampa
13.12.2016 Donne annientate: lo vuole lo Stato islamico
Analisi di Annalena Benini

Testata: Il Foglio
Data: 13 dicembre 2016
Pagina: 1
Autore: Annalena Benini
Titolo: «Il dress code dello Stato islamico: le donne escano di casa solo se annientate, con un panno nero sugli occhi»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/12/2016, a pag. 1, con il titolo "Il dress code dello Stato islamico: le donne escano di casa solo se annientate, con un panno nero sugli occhi", l'analisi di Annalena Benini.

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Annalena Benini

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Tutto era coperto tranne gli occhi, prima dell’invasione da parte dello Stato islamico. A Mosul le donne dovevano già velare la testa e non mostrare le braccia né il corpo, ma adesso devono trasformarsi in ombre scure, e non devono uscire di casa se non è assolutamente necessario, e anche in casa non possono mostrare lo sguardo, se il muro è abbastanza basso da permettere a un uomo di guardare. Abbastanza velocemente, ogni giorno un po’ di più, si è arrivati ad annientare il corpo femminile. A proibire che una donna abbia le mani libere di impugnare una penna, perché la penna scivolerà sui guanti ma quella donna non può sfilarsi nemmeno il guanto della mano destra per scrivere: chi lo ha fatto, una segretaria di mezza età, è stata immediatamente individuata e minacciata.

La polizia islamica è dappertutto, pronta a multare, arrestare, frustare, requisire la carta d’identità ai mariti di donne che non si attengono esattamente al dress code dello Stato islamico: un velo di panno nero davanti agli occhi, è l’ultima regola diffusa dagli altoparlanti. Un velo di panno nero che non può essere sollevato nemmeno nel cortile di casa. Un velo di panno nero per annientare la vita femminile, oltre che il corpo. La bravissima Rukmini Callimachi, rumena naturalizzata americana che per il New York Times si occupa di terrorismo islamico, ha raccontato il codice di abbigliamento e di modestia, “per non attirare l’attenzione”, uno strato dopo l’altro, e ha intervistato donne irachene nei campi profughi, soffocate da divieti sempre più restrittivi, e da controlli continui. Halima Beder, trentanove anni, ha raccontato di essere stata fermata e insultata dalla polizia religiosa a pochi passi da casa. “Avevo messo tutto: il niqab, l’abaya, i guanti, le calze, ma avevo dimenticato di coprire i miei occhi”. “Dov’è tuo marito?”, le hanno gridato, “lui accetta che chiunque possa vedere la tua faccia?”. Secondo le nuove regole di Mosul, “una donna modesta può lasciare la sua casa solo in casi di estrema necessità”. Una donna modesta non esce, e se è costretta a uscire lo fa con il panno nero davanti agli occhi, e se mangia con la sua famiglia nel cortile di casa o cuoce il pane in forno sta attenta a non spostare il panno per infilarsi il cucchiaio in bocca, perché spostare il panno equivale a disobbedire, e chi disobbedisce viene punito.

Fustigato. “Come posso mangiare se non mi alzo il khimar?”, ha chiesto una donna che stava facendo un picnic con la sua famiglia, e ha visto arrivare l’automobile nera con il logo verde della polizia religiosa. Non importa. “La moglie fuori senza khimar”, la moglie immodesta con gli occhi scoperti è un motivo valido per la detenzione, e questa moglie è stata condannata da un giudice e consegnata in una stanza dove una donna siriana le ha ordinato di inginocchiarsi. Teneva in mano un cavo con punte di metallo. Ventuno frustate. “E’ indescrivibile il dolore che ho sentito: ho urlato, pianto, pregato”. E’ stata due notti in ospedale e per settimane dopo non ha potuto appoggiare la schiena al letto. L’obiettivo è chiaro: costringere le donne alla clausura, alla definitiva sparizione. Se ci si prova un vestito, in un negozio, non si può sollevare nemmeno un lembo del niqab per guardarsi allo specchio, per controllare il colore (il rosso è illegale). Spunterà immediatamente un poliziotto minaccioso e urlante. Una donna è stata fermata per strada perché sulla calza aveva un buco, e attraverso quel buco si intravedeva una parte minuscola di caviglia. Una piccola parte di colore non nero. Una piccola parte di esistenza femminile non annientata, non mortificata, un luogo di stordimento e tentazione.

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lettere@ilfoglio.it

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