IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 4 al 10 dicembre 2016
Piccoli kamikaze crescono. A Mashad, in Iran, si inaugura un parco giochi che fa 'saltare' Israele per bambini tra i 4 e i 13 anni
Una immagine del parco giochi di Mashad
Le immagini fanno rabbrividire. Bambini tra i 4 e i 13 anni vestiti in uniformi militari e bardati di caricatori incrociati sul petto mentre strisciano sotto sacchetti di sabbia e fili spinati; ragazzini che fanno tiro al bersaglio contro l’effigie di Benjamin Netanyahu e che corrono calpestando bandiere d’Israele usate come tappeto. O ancora, mentre imbracciano mitra giocattolo e sparano all’impazzata ai nemici di sempre, l’Iraq sunnita, Israele, Stati Uniti.
Non stiamo assistendo a un’esercitazione di bambini-soldato ma forse è quasi peggio. Si tratta di un parco giochi a tema con tanto di trincee, torrette di avvistamento, stretti pertugi da attraversare strisciando, e obiettivi da far saltare in aria. Dodici le stazioni e attrazioni principali del parco giochi, dalle simulazioni della guerra Iran-Iraq del 1980-88 alla difesa di luoghi santi all’islam, dalla “Camera della Rivoluzione” alla lotta contro i membri della famiglia reale saudita, dall’attraversamento di campi minati o di ponti sotto il fuoco di una finta artiglieria nemica fino ai poligoni di tiro dove i bersagli sono le bandiere americane e israeliane, o le gigantografie dei leader di quei Paesi. Da diverse stazioni si possono lanciare missili contro una grande bandiera israeliana: si vince se si arriva a distruggerla interamente. Lungo tutto il percorso le direttive vengono date direttamente da altoparlanti che diffondono le voci dell’ayatollah Khomeini e del capo supremo Khamenei, poi ribadite de visu dai “comandanti” adolescenti che guidano ogni gruppo formato da 10 bambini.
Inaugurato ai primi di ottobre come parco di attrazioni militar-religioso nella città di Mashad, nel nord-est dell’Iran, la “Città dei Giochi per bambini rivoluzionari” (questo il nome completo del luogo), «è un centro culturale destinato a insegnare ai bambini le tecniche di lotta contro i nemici dell’Iran e il messaggio dello sciismo rivoluzionario. Alla fine del percorso i bambini sapranno che le qualità fondamentali per ottenere la vittoria sono la saggezza e l’intelligenza nel combattere il nemico», ha spiegato durante una intervista il direttore del parco Hamid Sadeghi. Ora, c’è da dire che certamente la macchina propagandistica palestinese e araba ci aveva da tempo abituato a esercitazioni di bambini o a recite scolastiche in cui si inscenava la guerra contro l’eterno nemico sionista. Ma un parco giochi a tema ancora non l’avevamo mai visto.
Basta dare un occhiata alle immagini diffuse pochi giorni fa dal sito del MEMRI per capire le implicazioni della cosa e le ricadute in termini di fanatico indottrinamento (come dimenticare le efferatezze commesse dai bambini-soldato di Pol Pot e dei Kmer Rossi, o ancora quelle dei ragazzini-cecchini di oggi durante i vari conflitti africani attuali o gli stessi adolescenti che venivano mandati a combattere da Khomeini nella guerra contro l’Iraq nel 1988?).
Ma ciò che ancor di più colpisce chi conosca la storia di quell’area geografica e della città di Mashad è il fanatismo antiebraico di cui da secoli quelle mura sembrano dare prova costante. Considerata città santa della religione sciita e tristemente nota per il feroce antisemitismo dei suoi ultimi due secoli di storia, Mashad regalò al mondo l’ultimo esempio planetario di conversione forzata degli ebrei all’Islam nel 1839 con l’Allahdad (ovvero la conversione forzata degli ebrei come dono ad Allah), una vicenda dolentissima e funesta che diede vita a un fenomeno marrano fuori tempo massimo in terra d’Islam, durato fino al 1945 del XX secolo (l’Iran era alleato dei nazisti in quanto ariano), ebrei obbligati a una doppia vita, essere musulmani per strada e ebrei in segreto, con il terrore ogni giorno di essere denunciati, scoperti e uccisi. Un odio totale, una volontà di pulizia etnica, culturale e fisica: quella che si consumò a Mashad a metà Ottocento fu una pagina nera della persecuzione antiebraica in terra d’islam e non stupisce oggi che un raccapricciante parco giochi sia stato concepito proprio lì. Ad insegnarci che se non si fanno i conti con la propria storia, se le infamie e piaghe del passato ristagnano e suppurano tra le pieghe del tessuto sociale senza subire cauterizzazioni, revisioni o critiche, se delitti e violenze vengono protetti e legittimati dal potere, ecco allora che finiscono per riproporsi immutati e forse ancor più mostruosi.
Fiona Diwan, direttrice del Bollettino della Comunità ebraica di Milano