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La Stampa Rassegna Stampa
09.12.2016 Storie di mercanti: gli ebrei a Livorno
Recensione di Giuseppe Galasso

Testata: La Stampa
Data: 09 dicembre 2016
Pagina: 49
Autore: Giuseppe Galasso
Titolo: «Mercanti rovinati da un diamante, vicissitudini di una famiglia ebrea»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/12/2016, a pag. 49, con il titolo "Mercanti rovinati da un diamante, vicissitudini di una famiglia ebrea", la recensione di Giuseppe Galasso.

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Giuseppe Galasso

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La copertina (Viella ed.)

È noto che il commercio è nato «interculturale» fin dall’alba dei tempi, come scambio fra comunità umane, divise da tutto (cultura, ordinamenti, strumenti), tranne che dalla reciproca necessità dello scambio di ciò di cui si abbondava con ciò di cui si mancava. Noto è pure che da tempi remoti lo scambio (anche di merci e oggetti di modesto valore) ha legato spesso per via diretta o indiretta, di mare o di terra, gruppi umani viventi a lunghissime distanze. E, certo, anche per tempi remoti è lecito definire globali questi scambi, anche se di veri e propri scambi, in senso stretto, globali si può parlare solo dopo la scoperta dell’America.

La notorietà di tutto ciò non scoraggia Francesca Trivellato dal precisare con molta solennità nel libro Il commercio interculturale. La diaspora sefardita, Livorno e i traffici globali in età moderna (Viella), il senso di «commercio interculturale» e di «traffici globali» secondo l’odierno «storicamente corretto», e perfino ciò che si debba intendere per «mercante» (da un testo inglese del 1752 si apprende, in sostanza, che essere mercante consiste nel «far mercanzie»). Il lettore non si scoraggi, però, a sua volta. Il libro della Trivellato è frutto di una ricerca ammirevole per ampiezza e rigore, che illustra con una non comune dovizia di particolari le vicende di una delle più singolari e operose comunità mediterranee, quella degli ebrei sefarditi nella loro diaspora dalla Spagna dopo il 1492. La loro dispersione trovò molti punti di approdo, dove gli espulsi ebrei iberici seppero non solo rifarsi una vita, ma dar luogo ad attività di rilievo nei commerci di cui il Mediterraneo era al centro.

Fondamentali a tal fine furono le loro reti operative. La Trivellato le studia concentrandosi, con una scelta molto felice, su una sola delle correnti della diaspora sefardita, quella che si stabilì a Livorno, e su una sola delle ditte fiorite nella comunità livornese, la Ergas & Silvera. Ne esce molto arricchito, e con una migliore cronologia del grande commercio mediterraneo fra XVI e XVIII secolo, il profilo storico di Livorno quale porto e punto di riferimento di tale commercio sia per i mercanti mediterranei che per quelli di Francia, Olanda Inghilterra, già dalla fine del Cinquecento in crescente fortuna. E ciò anche perché l’attenzione dell’autrice al versante orientale e musulmano degli scambi mediterranei non è per nulla inferiore a quella dedicata al loro versante occidentale e cristiano.

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La sinagoga di Livorno

Quanto agli Ergas e Silvera, la Trivellato sa bene che si tratta di un caso particolare, ma sa renderlo esemplare, mettendo pure meritoriamente, e molto bene, in rilievo «la fragilità di queste ditte familiari», e confutando chi esalta «le diaspore commerciali in antitesi dei giganti del mercantilismo europeo», mentre bastava «un investimento errato a seppellire un’impresa familiare che disponeva di limitate capacità di capitalizzazione e ridotte riserve di credito». Ne emerge come nella diaspora la comunità sefardita curava di stringere rapporti matrimoniali e familiari, di garantire nell’attività e per via ereditaria i propri patrimoni, di praticare forme societarie diverse da quelle consuete, di estendere o contrarre la propria rete di rapporti (dentro e fuori del Mediterraneo) a seconda dei casi e dei tempi in un «quadro normativo disegnato da autorità di governo» cui erano dovute le discriminazioni della diaspora, di stabilire rigide norme per i suoi membri, di curare le relazioni con altre comunità con le quali i buoni rapporti non erano scontati a priori.

Gli Ergas fallirono, appunto, per un affare sbagliato, la vendita di un grosso diamante in una fase di grandi mutamenti nel commercio mediterraneo, di cui i mercanti sefarditi risentirono in modo particolare. Per la comunità livornese vi fu un tramonto non repentino, ma netto, e uno spostamento dal commercio alla finanza. Nell’Ottocento, poi, a Livorno gli ebrei diminuirono di numero, e si persero anche le tracce di famiglie di nome Ergas. Si erano messi in moto, ebrei e Ergas, ancora una volta, per scrivere un nuovo capitolo della loro perpetua odissea. Una piccola storia, dunque, che è uno specchio rivelatore di motivi e vicende essenziali della grande storia. La Trivellato li ha esplorati su migliaia di lettere e documenti reperiti dal Mediterraneo ad Amsterdam, Lisbona, Goa, con frutto non solo storiografico (i due capitoli sul «galateo epistolare» di questi mercanti e sul fatale «diamante grosso» che ne fu la rovina sono, davvero, di una non comune attrazione). Un libro, inoltre, da apprezzare ancora di più perché monografie di tanto impegno di ricerca e di elaborazione, nei nuovi criteri italiani per le valutazioni accademiche, paiono destinate a minore considerazione di articoli e articoletti, che abbiano il molto peregrino pregio di essere pubblicati in determinate sedi editoriali.

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direttore@lastampa.it

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