Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 07/12/2016, a pag. 15, con il titolo "Guerra contro il terrorismo, Obama 'avverte' Trump", la cronaca di Elena Molinari.
Visti gli esiti fallimentari della lotta al terrorismo da parte di Obama e della sua Amministrazione, ci stupiscono le sue premurose indicazioni al successore. Per quanto riguarda Trump, vedremo se manterrà le promesse fatte in campagna elettorale e se sarà in grado di arginare il terrorismo islamico.
Ecco la cronaca:
Donald Trump, Barack Obama
Un approccio alla lotta al terrorismo "sostenibile", costruito su alleanze globali e nel rispetto delle istituzioni internazionali. Nel tracciare un bilancio della battaglia contro l'estremismo armato, Barack Obama ha ieri indicato al successore i punti fermi ai quali, secondo lui, gli Stati Uniti dovrebbero rimanere fedeli, indipendentemente da chi siede alla Casa Bianca. «La nostra più grande forza contro il terrorismo è quello che siamo», ha detto il presidente uscente, ribadendo che «i valori americani» non devono essere messi in discussione neanche durante una guerra contro un nemico spietato. Obama ha usato l'ultimo discorso sulla sicurezza da Comandante in capo anche per ringraziare le forze speciali americane, che lo circondavano a Tampa, in Florida, nella base aerea MacDill.
Il discorso fa da coda alla pubblicazione di un rapporto nel quale Obama ha elencato le giustificazioni legali per la sua guerra al terrore. Quindici anni dopo il 2001, quando il Congresso ha autorizzato l'uso della forza per perseguire i responsabili degli attacchi dell'11 settembre, Obama sta ancora utilizzando la stessa autorizzazione per agire contro il Daesh come contro i terroristi somali di al-Shabaab. Interventi che hanno compreso un uso senza precedenti di droni e di raid da parte delle forze speciali in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Somalia, Yemen e Libia.
Obama, lunedì, ha anche firmato un memorandum in cui incoraggia il successore a indicare le proprie giustificazioni legali per l'uso della forza militare. Il discorso non era inteso, hanno sottolineato i collaboratori del Commander in chief, come un appello diretto a Trump. «Lo avrebbe pronunciato comunque - ha detto Ben Rhodes, il più fidato consigliere di politica estera di Obama -, ma ovviamente abbiamo a che fare con la squadra che si sta formando».
Le parole usate dal capo della Casa Bianca hanno, in effetti, messo in luce il contrasto con le affermazioni del successore. Laddove Trump e i suoi collaboratori, in particolare il futuro consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, parlano dell'islam come della fonte del terrorismo, Obama ha sottolineato che i jihadisti cercano di «dirottare» una religione di 1,7 miliardi di persone. Nel momento in cui si appresta a passare il testimone, Obama ha, dunque, sostenuto che i passi avanti compiuti nella lotta al Daesh sono dovuti a «strette alleanze internazionali» e alla collaborazione con forze locali, in un modello di cooperazione in cui gli Stati Uniti forniscono intelligence e addestramento nei vari scenari di guerra.
Obama ha difeso dunque la scelta di non schierare in Siria e Iraq truppe di terra, ma di condurre una campagna aerea sostenuta da una coalizione internazionale. Questa strategia, ha detto, ha portato anche alla riduzione dei militari americani impegnati in Iraq e Afghanistan, da 180mila a 15mila, e al calo delle vittime americane. Obama ha poi accennato al centro di detenzione di Guantanamo che non è riuscito a chiudere come aveva promesso a causa della resistenza del Congresso. Il presidente ha sottolineato anche che sarà cruciale, per la futura Amministrazione, comprendere «la complessità della minaccia», tenendo sempre a mente «chi siamo come Paese», un riferimento questo alla promessa elettorale di Trump di reintrodurre tecniche di tortura messe fuori legge dal predecessore.
Per inviare la propria opinione a Avvenire, telefonare 02/6780510, oppure cliccare sulla e-mail sottostante