Ho letto con molto interesse, come sempre del resto, quanto scrive Ugo Volli in modo originale, innovativo, mai banale. Stavolta però sinceramente non ho capito: Hannah Arendt di simpatie naziste "come la difesa di Eichmann" avrebbe dimostrato? Io ho letto quel libretto e non mi è sembrato affatto simpatizzasse con Eichmann mettendo piuttosto in evidenza la banalità del male che purtroppo è una realtà della storia umana anche quando si ha a che fare con tragedie immani. Heidegger è grande per il suo pensiero ed è nell'ambito di tale pensiero che ha simpatizzato all'inizio con il nazismo come tanti altri dagli Usa alla Gran Bretagna, salvo poi ritrattare tutto e finire tra le squadre di lavoro per sgomberare le strade dalle macerie dei palazzi finiti sotto le bombe alleate. Insomma, ritengo che qualche chiarimento in materia Ugo Volli dovrebbe offrirlo ai suoi lettori. Grazie per l'attenzione e cordialità.
Giovanni Battista Vargiu
Gentile lettore, non so dove ha trovato la storia delle macerie, non ce n'è traccia fra le mie fonti. Comunque a parte questo, Heidegger non era affatto "che ha simpatizzato all'inizio con il nazismo come tanti altri dagli Usa alla Gran Bretagna, salvo poi ritrattare tutto". Non ha simpatizzato, si è iscritto in gran pompa al partito nel '33, in quanto nazista è stato nominato rettore della sua università, e come rettore nazista ha assistito e celebrato ai roghi dei libri e ha firmato le circolari che espellevano gli ebrei dall'università, compreso il suo maestro e protettore Husserl, che non gli serviva più. In quanto rettore e nazista si impegnò per l'affermazione del plebiscito che stabiliva il nuovo regime. Dopo un anno e mezzo da rettore, Heidegger fu costretto alle dimissioni perché legato all'ala più estrema del nazismo, quella delle SA, che erano state sterminate in una lotta interna al nazismo. Ma non rinunciò mai alla tessera del partito, si espresso continuamente nei suoi corsi in maniera favorevole al progetto nazista, talvolta in maniera esplicita, molto spesso per allusioni. Dopo la guerra, Heidegger fu epurato dagli alleati per i suoi trascorsi, ma non riununciò mai alle sue idee, non chiese mai scusa, si espresse in maniera insopportabilmente sarcastica sulla Shoà, paragonandola alla meccanizzazione dell'agricoltura. I materiali di questo nazismo senza fine di Heidegger sono abbondanti, anche di sua mano e la recente pubblicazione dei suoi appunti segreti (i "quaderni neri"), mastra ancora una volta come nazismo e antisemitismo sono al centro del suo pensiero. Gli studi su questi temi potrebbero riempire una parete di scaffali almeno. La rimando all'"Introduzione del nazismo nella filosofia" di Emmanuel Faye ea "Heidegger e il nazismo" di Farias, entrambi pubblicati in italiano. La sua lettera testimonia di quel che sostenevo, cioè che vi è nella cultura europea un luogo comune che legittima come "grandi" i sostenitori non pentiti del nazismo nel mondo intellettuale, per esempio oltre a lui Carl Schmitt, Ernst Junger, Céline, Evola. Che fecero tutti la scelta di non rinnegare, a differenza degli intellettuali fascisti italiani che per un subitaneo miracolo, divennero quasi tutti comunisti fra il '43 e il '45. Questione di caratteri nezionali, si direbbe. Quanto ad Arendt, le è stato appiccicato sopra un santino che non merita. Il suo è un pensiero antidemocratico, aristocratico, che usa sostanzialmente fonti e linguaggio degli autori nazisti e lo sviluppa. Il libro che ho citato nel mio articoletto lo dimostr nei particolari, con grande rigore filologico. Il reportage da Gerusalemme le valse la rottura dei rapporti con la quasi totalità degli intellettuali israeliani ed ebrei, perché sposava in pieno le tesi della difesa di Eichmann, passandole come verità storica. Il fatto è che sono falsità. Eichmann al processo faceva il finto tonto, ma era un alto dirigente di grande responsabilità e capacità politica e organizzativa, fanatico antisemita e nazista. Seguire la sua vicenda anche dopo la fine del nazismo, come ha fatto da ultimo Bettina Stangneth in "Eichmann Before Jerusalem" mostra la figura di un pericolosissimo e abilissimo nemico degli ebrei, per nulla incolto o esecutore meccanico: quel che la Arendt non volle vedere, prendendosela invece ignobilmente con il fatto che gli ebrei dei campi e dei ghetti avevano subito l'imposizione nazista di costruire dei "consigli" che interagissero con loro sui problemi pratici. Arendt accusa queste persone, che furono quasi tutte uccise nella Shoà, di "collaborazionismo" per aver svolto i compiti organizzativi che venivano comandati dai nazisti, nella speranza, forse ingenua ma certamente generosa, di contribuire a salvare almeno una parte dei loro correligionari dalla strage. E' un'accusa vile e ingenerosa, da parte di una donna che si atteggiò a vittima per aver trascorso un paio di mesi in un campo di raccolta, non certo di sterminio, in Francia, per essere poi salvata in America dall'organizzazione sionista che avrebbe subito abbandonato, una volta al sicuro. Mi scuso per la lunghezza della risposta e insieme per il suo carattere sommario, di fronte alla necessità di smontare un'esistenza mitizzata anche nel recente film della Von Trotta (una regista che a suo tempo difese con un altro film i terroristi antisemiti della Germania degli anni Settanta). La rimando alla lettura del libro di Faye sulla Arendt, che per ora è disponibile solo in francese (http://www.albin-michel.fr/ouvrages/arendt-et-heidegger-9782226315137) ma che spero prima o poi sia tradotto in italiano.
Ugo Volli