Israele-Egitto: il disgelo da lungo atteso non arriva ancora
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Israel-Egypt-Analysis-The-long-awaited-thaw-is-still-not-forthcoming-474361
Abdel Fattah al Sisi
Quasi 40 anni fa il presidente Sadat entrò nella storia quando venne a Gerusalemme, il trattato di pace seguì due anni dopo. È stata rilevante in Israele la cooperazione fra i due paesi per la lotta contro il terrorismo nel nord Sinai. L’Egitto è però molto più cauto. La “pace fredda”, una parola coniata durante il regime Mubarak per descrivere le relazioni tra i due paesi confinanti, non mostra segni di miglioramenti malgrado i recenti sforzi di buona volontà. Dopo quattro anni c’è di nuovo l’ambasciatore egiziano in Israele e Israele ha riaperto l’ambasciata al Cairo, sia pure nella residenza dell’ambasciatore. Il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shukri ha compiuto una visita in Israele di alto livello; ma poi, intervenendo in una scuola egiziana, ha detto agli studenti che la battaglia di Israele per difendersi non può basarsi sul terrorismo.
È andata così, anche se poi il Cairo ha inviato due elicotteri per combattere gli incendi, un gesto che non ha precedenti. Molti israeliani avevano sperato che il presidente Sisi, avendo salvato il proprio paese dalla dittatura islamica, avrebbe dovuto accelerare la normalizzazione. Non è accaduto (non ancora?). E’ come se Sisi fosse totalmente impegnato sullo sviluppo economico del paese. Si è mostrato pronto a mettere in pericolo il regime accettando le severe condizioni dell’International Monetary Fund in cambio del prestito da tempo atteso di 12 miliardi di dollari: rendere la moneta egiziana fluttuante e introdurre l’IVA per la prima volta, così come togliere i sussidi ai beni di prima necessità. L’aumento dei prezzi ha sollevato molto malcontento, anche se non ci sono state dimostrazioni di massa. La gente ha capito che non vi erano alternative per salvare il paese dal disastro.
La penisola del Sinai
Il presidente non ha esitato ad aprire un altro fronte quando ha parlato all’Università Al Azhar, l’istituzione più importante del mondo sunnita, chiedendo una riforma dell’insegnamento dell’islam, cancellando i passi più estremisti. Ancora scossi dalla richiesta, stanno ancora discutendo che cosa fare. Ce la farà il presidente a proseguire e spianare la strada a una normalizzazione che contribuirà non solo alla pace della regione ma aiuterà le economie di entrambi i paesi? I numeri del commercio rimangono bassi – da 150 a 250 milioni dollari l’anno, con un massimo di 500 milioni negli anni 2010/2012 a causa del gas esportato verso Israele- da attribuirsi ad accordi statali, non privati. Derivano dagli accordi del 2004 sulle “Qualified industrial zones”, che consentivano all’industria tessile egiziana di esportare in Usa senza costi doganali grazie all’accordo tra Israele e USA, che prevedeva l’11.7% del prodotto avesse come provenienza Israele. L’export egiziano crebbe da 200 milioni di dollari l’anno a un miliardo, dando lavoro a 700 aziende con 280.000 lavoratori. Grande era l’attesa per il mercato dell’energia. Mubarak aveva dato il benestare a una joint venture tra l’uomo d’affari egiziano Hussein Salem e l’israeliano Yossi Meiman in collaborazione con la Egyptian National Oil Company per la costruzione di una raffineria del petrolio a Alessandria. Dopo pochi anni entrambi gli uomini d’affari vendettero le loro quote del progetto, tornando all’export del gas naturale verso Israele. Questa attività redditizia ebbe fine nel 2012 dopo una serie di attentati alle condutture. Non avrebbero comunque proseguito le attività, in quanto le riserve di gas producevano con lentezza perché Mubarak non aveva investito quanto avrebbe dovuto in ricerca e sviluppo.
Oggi la trattativa c’è, ma va verso un’altra direzione: l’export del gas dal sito israeliano Leviathan è pronto a partire nel 2019 attraverso un intricato accordo fra diverse aziende. Non c’è la garanzia che entri nemmeno in funzione, dato che nuovi giacimenti di gas sono stati scoperti in Egitto. Per molti anni il turismo era una voce importante, anche se la direzione era solo da Israele verso l’Egitto. Centinaia di migliaia di israeliani si sono recati a visitare la Penisola del Sinai, e in terraferma per ammirare le piramidi e le altre meraviglie nel paese che i loro antenati abbandonarono 2300 anni prima. Ottimistiche previsioni dicevano un milione di turisti ogni anno, portando più di un miliardo di dollari in valuta starniera. Vennero raggiunti persino cinque voli ELAL verso il Cairo. Una cooperazione fruttuosa, che portava turisti in Israele e Egitto dagli Usa e dalla Russia. Il crollo della sicurezza e la minaccia del terrorismo hanno segnato la fine. Oggi ELAL non ha più voli, salvo charter con arabi israeliani.
Il Cairo
L’agricoltura era un altro settore promettente. Nel primo anno di pace, Israele aveva condiviso il proprio know-how sulla coltivazione di frutta e verdura su territori desertici con l’Egitto. Fattorie modello erano state costruite lungo la strada Cairo-Alessandria che costeggia il deserto. Israele aveva anche fornito tutte le varietà di sementi adatti al progetto. Migliaia di agricoltori egiziani impararono nel kibbutz Bror Hayl a coltivare la terra. La produzione aumentava, l’Egitto non solo diventava auto-sufficiente, ma poteva esportare prodotti di qualità come le fragole verso l’Europa. Ma questa importante cooperazione divenne vittima del terrorismo islamico. Israele venne accusato di “avvelenare la terra egiziana” e la cooperazione agricola ebbe termine con la caduta di Mubarak.
Che fare oggi? Può il presidente egiziano, che ha le mani legate dalla terribile situazione economica, mentre combatte il terrorismo nel Sinai e lungo il difficile confine con la Libia, occupandosi anche dell’influenza dei religiosi, promuovere la normalizzazione? Da un lato, deve essere consapevole di quel che può succedere: una cooperazione agricola ristabilita, l’investimento in tecnologia e hi-tech, come anche gli scambi sportivi e culturali. Dall’altro vi sono alcuni ostacoli pesanti: i palestinesi e il radicato antagonismo delle vecchie elites verso lo Stato d’Israele, sia religiose che nazionaliste. Eppure c’è in Egitto un numero crescente di cittadini che ritengono che il loro paese ha fatto più di quanto dovuto per aiutare i palestinesi, pagando un alto prezzo per le guerre e le distruzioni che è costato. Sono anche disgustati dalla corruzione dei leader palestinesi. Intanto le vecchie elites invecchiano…
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.