Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/12/2016, a pag. 25, con il titolo "Pronto per un attentato al megastore", la cronaca di Franco Vanni; con il titolo "Stop all'estradizione del mullah Krekar, è crisi Italia-Norvegia", la cronaca di Giuliano Foschini.
Ecco gli articoli:
Franco Vanni: "Pronto per un attentato al megastore"
Franco Vanni
Il mullah Krekar
Si era messo a disposizione. Al suo contatto siriano aveva giurato la disponibilità a compiere un attentato in Italia. Magari in un centro commerciale, ambiente che conosceva bene, avendo lavorato a come aiuto cuoco proprio in un megastore. Nadir Ben Chorfi, trentenne marocchino, è stato arrestato all’alba di venerdì nell’appartamento in cui viveva in via Tracia, alla periferia occidentale di Milano. L’accusa è di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale, reato previsto dall’articolo 270bis del codice penale. Il blitz della polizia di Stato è scattato alle 5.30 del mattino, in esecuzione di un’ordinanza di custodia emessa dal giudice per le indagini preliminari di Milano Teresa De Pascale, su richiesta del pubblico ministero Enrico Pavone. L’uomo, che sabato è stato sottoposto a interrogatorio di garanzia, è ora detenuto nel carcere di San Vittore. Il trentenne, dipendente di una cooperativa di lavoro, è stato a lungo intercettato dagli investigatori. Tramite l’applicazione Telegram e altri protocolli di comunicazione cifrati, Ben Chorfi avrebbe contattato con frequenza un uomo localizzato nel territorio del sedicente stato islamico in Siria. In altre occasioni, avrebbe chattato con un giovane legato allo stato islamico che si trovava in Germania.
Gli investigatori sarebbero riusciti a violare il suo telefono grazie a un virus informatico. Oltre a ricevere video di propaganda religiosa e militare, il marocchino avrebbe assicurato ai propri interlocutori la disponibilità a sostenere «in ogni modo possibile» lo stato islamico. E risulta che abbia effettivamente inviato all’estero denaro, in tranche di poche centinaia di euro l’una. Secondo gli investigatori, si tratterebbe di finanziamenti diretti a sostenere la jihad, in Europa come in Medioriente. Nadir Ben Chorfi, arrivato in Italia da bambino e bene integrato a Milano, si sarebbe radicalizzato nella fede islamica durante un soggiorno in Germania, dove si era recato nel 2012.
Lì, dove lavorava come aiuto pizzaiolo, avrebbe conosciuto uno degli uomini che lo avrebbero prima indottrinato e poi contattato più volte con l’intenzione di coinvolgerlo attivamente in progetti terroristici. Il marocchino è difeso dall’avvocato Francesco Giorgio Laganà, che in passato aveva assistito altri uomini accusati davanti al tribunale di Cagliari di fare parte di Al Qaeda. Due giorni prima dell’arresto, Nadir Ben Chorfi era stato sentito dalla polizia. Il trentenne, che parla un italiano perfetto, viene descritto come molto fragile, fortemente influenzabile e incline a manie di persecuzione. Con il suo interlocutore si sarebbe infatti spesso lamentato dell’ospitalità ricevuta nei Paesi in cui ha vissuto, Germania e Italia. L’ultimo impiego noto di Ben Chorfi era aiuto cuoco in uno dei ristoranti interni del centro commerciale di Arese, in provincia di Milano. L’uomo conduceva una vita apparentemente normale. Viveva con un coinquilino, estraneo ai fatti.
Giuliano Foschini: "Stop all'estradizione del mullah Krekar, è crisi Italia-Norvegia"
Giuliano Foschini
IL CASO del mullah Krekar, il creatore dello Stato islamico in Kurdistan, rischia di aprire un caso diplomatico tra Italia e Norvegia. E di creare un problema ulteriore con la Corte europea per i diritti umani visto che il 23 novembre Krekar è stato arrestato in Norvegia sulla base di un ordine di cattura inesistente. Il caso scoppia nei giorni scorsi quando la procura norvegese, attraverso una comunicazione ufficiale, fa sapere che il governo italiano aveva ritirato la richiesta di estradizione avanzata un anno fa nei confronti di Najmuddin Faraj Ahmad, vero nome di Krekar, per il quale era stato spiccato un mandato di cattura internazionale per terrorismo. Per via di questo passo indietro italiano, dicono i norvegesi, il creatore dello Stato islamico in Kurdistan doveva essere liberato. La notizia rimbalza in Italia e in Europa, Krekar è un personaggio di spicco del terrorismo internazionale. Le nostre polizie per questo cercano di capire cosa è accaduto e si rendono conto che nella ricostruzione norvegese c’è qualche problema.
L’arresto di Krekar viene ordinato dall’Italia a novembre del 2015, qualche giorno prima della strage di Parigi, nell’ambito di un’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros. L’ordinanza è emessa dal gip di Roma che, poi, per una questione di competenze, trasmette tutto a Trento dove aveva base la cellula terroristica che faceva riferimento a Krekar (e per la quale è stato chiesto il processo che si aprirà a marzo davanti alla Corte d’assise di Bolzano). In quel momento l’uomo si trovava in un carcere norvegese, già detenuto per altre vicende. E in prigione gli viene notificata la nuova ordinanza. Passano i mesi e qualcosa cambia. Il 3 marzo il giudice di Trento, Francesco Forlenza, annulla l’ordine di cattura per Krekar. «È passato troppo tempo dalla commissione dei reati» dice, e quindi non sussistono più le esigenze cautelari. In sostanza, per l’Italia il mullah non deve stare in prigione. La circostanza il giorno successivo viene comunicata dai carabinieri del Ros all’Interpol che informa l’autorità giudiziaria di Oslo. Da quel momento i norvegesi non fanno nulla. Non procedono ad annullare l’estradizione.
Lasciano le cose come sono. Ma interviene una novità. La detenzione per i fatti norvegesi di Krekar scade. Il mullah è un uomo libero e, dunque, potrebbe restare in Norvegia. Cosa che alla premier Erna Solberg, che segue personalmente la vicenda, crea non pochi problemi. Krekar è una spina nel fianco del governo norvegese da più di 13 anni, quando lo scoprono terrorista e gli revocano lo status di rifugiato politico. Nel 2007 i giudici della Corte Suprema lo dichiarano «minaccia alla sicurezza nazionale».
Ma Krekar non lascia il paese. Anzi, diventa una sorta di protagonista della vita politica prendendo posizioni provocatorie. Lancia una fatwa («Giuro che non vivremo se lei vivrà ») sulla scrittrice Mariwan Halabjaee, autrice di “Sesso, Sharia e donne nella storia dell’Islam”, anche lei curda ma residente in Norvegia. Nel 2010 sconosciuti sparano contro la sua abitazione. Lui denuncia di non essere protetto dal paese che lo ospita e nel gennaio del 2012 minaccia proprio la premier Solberg: «Se mi cacciasse e per questo motivo io morissi — avvisa — lei farà la mia stessa fine» dice pubblicamente e per questo viene condannato a 5 anni, condanna poi ridotta in appello.
Terminata di scontarla, nelle scorse settimane esce dal carcere. Ma i norvegesi non lo vogliono. Il Governo norvegese ha prima tentato di espellerlo, chiedendo anche un aiuto agli americani nella cui black list Krekar è inserito dopo i fatti dell’11 settembre. Poi si ricordano di quella vecchia inchiesta italiana, sulla base della quale lo arrestano il 23 novembre. Qualche giorno dopo sono però costretti a metterlo in libertà accusando l’Italia di non averli informati della revoca dell’ordinanza. «Non c’è stato comunicato perché sia stato revocato» dice la Procura, mentendo. La decisione di Roma è qualcosa che dobbiamo accettare, non dipende da noi» chiosa il premier Solberg ignorando, probabilmente, che la storia del Mullah non finirà qui.
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante