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La Repubblica Rassegna Stampa
04.12.2016 Il Caso Maurizius, di Jacob Wassermann
Recensione di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 04 dicembre 2016
Pagina: 23
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «Il legal drama che conquistò Thomas Mann»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/12/2016, a pag.23, con il titolo " Il legal drama che conquistò Thomas Mann" la recensione di Susanna Nirenstein del libro "Il Caso Maurizius" di Jakob Wassermann (Fazi ed.)

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La copertina                                Susanna Nirenstein

 Scritto dall'ebreo tedesco Jakob Wassermann nel 1928, "Il caso Maurizius" è all'altezza della grande letteratura dell'epoca Un affresco potente che, partendo da una vicenda giudiziaria, ci parla di identità, doppiezza e ingiustizia. Raramente si rimane travolti dalla lettura di un libro con quella stessa gioia di scoperta che da ragazzi sentivamo immergendoci nei nostri primi Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert. Eppure It caso Maurizius di Jakob Wassermann ( Fazi, traduzione di Lucia Sgueglia) ha una forza narrativa, una ricchezza di linguaggio che ci trascina in una grande storia e in nuovi tortuosi pellegrinaggi e cadute della mente umana Scritta da un autore ebreo tedesco nato nel 1873 in Baviera e morto esule nel 1934 in Austria, dopo che i suoi lavori erano stati bruciati dai roghi nazisti. Il suo romanzo rievoca i tempi di Thomas Mann (ammiratore di Wassermann), di Hofmannsthal, di Schnitzler, tutti buoni amici di Jakob: tempi di grande letteratura. L'autore cavalca la sua trama con un impeto che lascia senza fiato. All'inizio siamo in una casa borghese tedesca dove un figlio perspicace di 16 anni, Etzel, cerca di capire da alcuni indizi dove sia sua madre, visto che il padre, il procuratore generale barone Wolf von Andergast, gli impedisce da sempre di averne notizie, di nominarla. Quell'uomo potente e energico dirige e sorveglia la casa con volontà ferrea e onnipresente. Ogni cosa comunque scorre in una sopportabile normalità perché Etzel ha imparato a convivere con tutto questo. Un giorno però uno strano vecchietto incomincia a far la posta a lui e anche a suo padre, senza imbarazzo. «Mi chiamo Maurizius., dice. Per Etzel è l'inizio di un'ossessione. Vuol capire chi è. E nei sacri cassetti del procuratore trova gli indizi: Leonhart Maurizius è il nome di un uomo condannato diciannove anni prima da suo padre all'ergastolo per uxoricidio. Il ragazzo rintraccia il vecchio, padre del recluso, che proclama l'innocenza del figlio e lo riempie di ritagli di giornali, di dubbi, di notizie. Etzel prova a interrogare il barone, lui lo zittisce. Le due generazioni a cavallo del primo conflitto mondiale sono a confronto. E qui iniziano le danze. E così che si innesca un vero turbine nelle coscienze e negli incontri dei protagonisti, e anche nei pezzi che a ritmo serrato ricompongono il grande affresco del caso Maurizius: in tutto cinquecentodieci pagine, a cui Wassermann farà seguire altri due tomi di una trilogia, i suoi ultimi, iniziati nel 1928, e finiti nel '33. L'urgenza etica di Wassermann è in piena tempesta. Si profila il nazismo. Wassermann pone più domande che risposte: non c'è compiacenza, e forse nemmeno moralismo. I dialoghi sono infiniti, le coscienze dei personaggi riversano in fiumi infiniti i loro ricordi, le loro insicurezze, le lezioni che hanno imparato dalla vita. E ognuno dei protagonisti è un alter ego di Wassermann: il senso di intrappolamento di Leonhart corrisponde a quello che lo scrittore percepiva intorno a sé (aveva scritto anche un libro sulla impossibilità di scelta tra essere ebreo o tedesco); mentre Etzel rappresenta l'innocenza del desiderio. E i temi forti sono la doppiezza, l'identità, l'ebraismo negato e ritrovato. Una storia portata sul grande schermo daJulien Duvivier, che nel 1953 girò il film con Eleonora Rossi Drago e Alida Valli, e sul piccolo da Anton Giulio Majano, che ne fece uno sceneggiato Rai nel 1961, con Virna Lisi, Corrado Pani e Alberto Lupo. La qualità della scrittura, e il cuore del romanzo, conquistano.

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