Riprendiamo da NAZIONE-GIORNO-RESTO del CARLINO di oggi, 03/12/2016, a pag.19, con il titolo " Quello è il cancello di Dachau, rubato due anni fa, era in Norvegia" l'articolo di Roberto Giardina, corrispondente da Berlino.
Roberto Giardina
Fino a che punto può arrivare la definizione di "collezionismo"? E' la domanda che ci poniamo quando leggiamo come il commercio dei 'memorabilia' dei regimi criminali - come racconta Giardina- rappresentano un fatto che riscuote successo. Chi terrebbe nella propria casa i simboli nazi/fascisti/comunisti e simili senza condividerne le ideologie?
Ecco il pezzo:
BERLINO- Dopo esattamente due anni e un mese è stata ritrovata la porta in ferro battuto del Lager di Dachau, con la scritta «Arbeit macht frei», il lavoro rende liberi, esempio del macabro umorismo nazista. Grazie a una soffiata anonima, la polizia norvegese l'ha recuperata in un deposito alla periferia della città di Bergen. In Germania è stata inviata una foto, e da un primo esame gli esperti bavaresi sono sicuri che si tratti dell'originale «con quasi assoluta cerezza».
Il furto della porta, pesante oltre un quintale e alta un paio di metri, era avvenuto a Dachau il 2 novembre 2014, si presume su commissione di qualche collezionista o di un gruppo neonazista. I ladri hanno potuto agire senza eccessiva preoccupazione perché la zona non era e non è videosorvegliata, entrando in azione tra due turni delle guardie notturne. Ma la scritta non è originale, le lettere in ferro scomparvero subito dopo la guerra, e furono sostituite da una copia fedele nel 1965. Si presume che il committente abbia poi rinunciato a comprare la porta a causa del clamore suscitato dal furto. E i ladri hanno preferito abbandonarla.
Dachau fu il primo lager a entrare in funzione già nelle prime settimane dopo l'avvento di Hitler, nel 1933. Vi venivano internati comunisti e altri oppositori del regime, e non era un campo di sterminio, ma i prigionieri morivano di stenti e per i maltrattamenti.
Già nel dicembre 2009 era stata trafugata la scritta «Arbeit macht frei» all'ingresso del lager di Auschwitz, in Polonia. Il fregio pesante una quarantina di chili e lungo cinque metri, era stato ritrovato diviso in tre parti qualche giorno dopo in una località nel nord del paese. Grazie a una taglia di 27.500 euro, fu possibile arrestare i colpevoli, cinque polacchi tra 25 e 39 anni che confessarono di aver agito su commissione di un collezionista svedese. Furono condannati a pene fino a due anni, come il mandante arrestato e condannato a Stoccolma. La scritta è stata restaurata e rimessa sul portone principale del lager, dove fu sterminato oltre un milione di ebrei.
Per le autorità polacche, la scritta avrebbe avuto un valore di almeno mezzo milione di euro sul mercato nero dei collezionisti. Gli oggetti del III Reich, dalle armi alle divise, alle decorazioni, continuano a crescere di valore, anche perché è sempre più difficile trovare pezzi autentici. I più fanatici sono gli americani, seguiti dai nuovi ricchi russi, seguiti dagli arabi e da cinesi e giapponesi. Il mese scorso, a un'asta a Londra un anello d'oro appartenuto a Eva Braun, la compagna del Führer, è stato aggiudicato per 1.250 sterline, un portarossetto per 360. In giugno, a Monaco, la casa d'aste Hermann Historica ha incassato 170mila euro grazie ai fan del III Reich. Tutti nostalgici? I superstiti dei campi di sterminio, e i loro discendenti, protestano, ma la vendita non è vietata.
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