Analizzare razionalmente i fatti – e di conseguenza votare sì
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
finalmente sta finendo la campagna per il referendum, imbruttita da una quantità per me veramente insopportabili di insulti, volgarità e soprattutto falsità, spesso spudorate e del tutto prive di senso. Vi segnalo a questo proposito che una fonte inglese ha attribuito ai siti vicini al movimento 5 stelle il record europeo della fabbricazione di bufale, in particolare quei “memi” visivi o grafici fatti in maniera da essere “divertenti” o “ironici (del tipo: se vuoi votare SI, fai una croce sul No che così viene cancellato) che è così facile ricopiare sulla propria pagina, diffondendoli in maniera epidemica (https://www.buzzfeed.com/albertonardelli/italys-most-popular-political-party-is-leading-europe-in-fak, per una traduzione italiana http://www.ilpost.it/2016/11/30/inchiesta-buzzfeed-bufale-online-m5s-russia/).
Io credo che non bisognerebbe basarsi su queste bufale per decidere e nemmeno su antipatie superficiali, che regolarmente colpiscono soprattutto i governanti attuali, dimenticando quel che di peggio è stato fatto in passato dai loro predecessori e che sarebbe rifatto probabilmente domani dalle stesse persone. Mi rivolgo con questa cartolina non a coloro che hanno già preso una posizione, spesso con un fanatismo degno del tifo calcistico, ma a coloro che sono ancora incerti, si rendono conto che l’occasione è importante, per certi versi storica, e vogliono degli argomenti razionali. Ne ho già forniti qualche giorno fa qui (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=64536), ma ritengo che valga la pena di fare ancora uno sforzo, voi ed io, per decidere in maniera consapevole domenica. Questa cartolina sarà magari un po’ lunga, ma in fondo chiedo di seguirla solo a coloro che desiderano ancora delle informazioni fattuali, non urla o opinioni personali, sulla materia del contendere. La considero quindi un servizio.
Vi sono due livelli razionali di analisi che bisogna seguire per giudicare. Il primo è il contenuto della riforma, che è stato molto deformato, il secondo è l’analisi politica delle conseguenze del voto. Per il primo punto ho preso un riassunto formulato da un sito non particolarmente vicino alle mia posizioni, l’ho condensato e integrato, ottenendo così delle informazioni che mi sembrano particolarmente chiare. La mia fonte è questa: http://www.termometropolitico.it/1236973_referendum-costituzionale-tutto-quello-che-ce-da-sapere.html. Per chi voglia risalire al testo originale, consiglio la versione ufficiale curata dalla camera dei deputati, che mette a confronto il vecchio e il nuovo articolato della Costituzione (http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500n.pdf), senza commenti e analisi; e anche una buona fonte del sì che spiega articolo per articolo che cosa comporta la riforma (http://www.bastaunsi.it/la-riforma-costituzionale-articolo-articolo/). Ma questo è il riassunto di “Termometro politico” che vi propongo io:
La riforma costituzionale su cui gli italiani saranno chiamati a esprimersi domenica prossima è la diciassettesima della storia Repubblicana e modifica più di un terzo dell’attuale testo. Gli articoli oggetto di revisione sono 47 e non riguardano la prima parte della Costituzione – fino all'art. 54 – che riguarda i principi fondamentali della Repubblica, la forma di stato, i diritti individuali. La riforma è davvero “storica” in quanto costituisce una revisione parziale della Costituzione dopo 33 anni di discussioni e tentativi andati a vuoto. La prima commissione bicamerale fu la Bozzi del 1983, passando per la De Mita-Iotti di dieci anni dopo (1993-1994) e la D’Alema del 1997, fino alle riforme costituzionali del 2001 e del 2006, quest’ultima approvata dal terzo governo Berlusconi ma bocciata dagli elettori. La riforma costituzionale si può dividere in tre grandi temi: a) il superamento del bicameralismo paritario e il nuovo Senato, b) la riforma del Titolo V e l’abolizione di Cnel e Province, c) le nuove prerogative del governo, l’elezione del Capo dello Stato e la nuova normativa in materia di referendum.
Matteo Renzi con Benjamin Netanyahu
Vengono innanzitutto modificate sia la composizione che le funzioni del Senato: rispetto ai 315 senatori attuali, la seconda Camera sarà composta da 100 membri: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica per “altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (i vecchi senatori a vita che però rimarranno in carica solo 7 anni). I nuovi senatori saranno eletti indirettamente “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i consiglieri regionali”. Il Parlamento dovrà approvare una legge per decidere il modo di far scegliere ai cittadini quali consiglieri regionali mandare al Senato in occasione delle elezioni regionali: è probabile che ci sia una seconda scheda per votare i senatori. Ogni Consiglio quindi manderà al Senato un sindaco – non per forza del Comune capoluogo – e uno o più consiglieri in proporzione alla popolazione. L’Assemblea non sarà mai sciolta perché il mandato di ogni senatore decade insieme a quello del Consiglio Regionale che lo ha eletto. Per i nuovi senatori rimane l’immunità parlamentare (ma solo per i reati commessi nella loro qualità di senatori, non dunque per reati commessi come sindaci o consiglieri) e non prenderanno alcuna indennità per il nuovo lavoro a Roma.
Quello delle funzioni del nuovo Senato è il punto centrale della riforma. Viene superato il bicameralismo paritario per cui entrambe le Camere hanno gli stessi poteri. Con la nuova Costituzione, Camera e Senato non avranno più le stesse funzioni, anche in ragione della diversa composizione. Il Senato non deciderà più della fiducia al governo e servirà a rappresentare le istituzioni territoriali facendo da raccordo tra Stato, Regioni, Comuni e tra questi e l’Unione Europea. Oltre alla funzione legislativa, solo la Camera eserciterà le funzioni di indirizzo politico e di controllo sull’operato dell’esecutivo. Ma la modifica più importante riguarderà la funzione legislativa. Viene superata la tradizionale “navetta” tra Camera e Senato e sono previsti diversi nuovi procedimenti legislativi:
- sistema bicamerale: riguarderà le leggi costituzionali, quelle su referendum, minoranze linguistiche, trattati Ue, enti locali, leggi elettorali, insindacabilità e ineleggibilità.
- sistema monocamerale partecipato: il testo di legge approvato dalla Camera può essere discusso dal Senato e modificato entro 30 giorni ma la Camera può decidere di accogliere o ignorare le richieste di modifica
- sistema monocamerale rinforzato: per le leggi riguardanti le competenze delle Regioni, se il Senato si esprime a maggioranza assoluta, la Camera potrà respingere le proposte di modifica solo a maggioranza assoluta.
Sui rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali, la riforma va nel senso opposto rispetto alla riforma del centrosinistra del 2001 che affidava anche alle Regioni molte materie di interesse generale attraverso la “competenza concorrente”. L’obiettivo è quello di ritornare ad una centralizzazione di alcune materie evitando tutti i contenziosi tra Stato e Regioni che negli ultimi anni hanno intasato i lavori della Corte Costituzionale. Per questo, vengono completamente abolite le “materie concorrenti” e lo Stato riacquista la potestà legislativa su molti temi come la sicurezza sul lavoro, la produzione e il trasporto dell’energia o la tutela dei beni culturali. Inoltre viene introdotta la cosiddetta “clausola di supremazia” alla tedesca per cui lo Stato centrale, con legge apposita, potrà intervenire anche sulle materie esclusive delle Regioni se lo richiede “la tutela dell’interesse nazionale”. La parola “province” viene abolita dalla Costituzione e viene inserito un tetto agli stipendi di governatori e consiglieri regionali che non possono superare quello del Sindaco del Comune capoluogo. La riforma riguarda – tranne che per la nomina dei senatori – solo le Regioni a Statuto ordinario.
L’ultima parte riguarda modifiche minori ma non meno importanti: Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) viene abolito. La riforma incide su alcune prerogative dell’esecutivo che avrà una sorta di “corsia preferenziale” per le leggi che ritiene fondamentali così da farle approvare da Camera e Senato entro e non oltre 105 giorni (proroghe comprese). Inoltre vengono inseriti in Costituzione i limiti oggi previsti dalla legge ordinaria per la presentazione e l’approvazione dei decreti legge. Cambia l’elezione del Capo dello Stato: rispetto ai 1008 grandi elettori attuali si riuniranno in seduta comune 730 parlamentari. Per eleggere il nuovo Presidente, serviranno i due terzi degli aventi diritto nei primi tre scrutini (come oggi), mentre dal quarto i tre quinti (oggi è la maggioranza assoluta) e dal settimo sempre i tre quinti ma dei votanti. Infine, oltre al referendum abrogativo, viene aggiunto quello propositivo e di indirizzo. Dall’altra parte, per presentare una legge di iniziativa popolare serviranno 150mila firme invece che le 50mila attuali ma a quel punto il Parlamento dovrà approvarla in tempi certi. Una modifica riguarda anche il referendum abrogativo per cui se vengono raccolte 800mila firme invece che 500mila, il quorum si abbassa alla “maggioranza dei votanti” delle ultime politiche.” Vi sono inoltre due articoli che proteggono la parità di genere nelle nuove camere; è istituito anche un giudizio preventivo di legittimità da parte della Corte Costituzionale sulle leggi elettorali.
Come vedete non si tratta affatto di “rottamare” la Costituzione, come sostengono le versioni catastrofiste del no, e neppure di mettere in dubbio il suo carattere sociale e democratico o addirittura il suffragio universale. Non si rinuncia alla sovranità nei confronti dell'Unione Europea, una delle bufale più diffuse e più infondate del fronte del No. E non si costruisce affatto un esecutivo particolarmente forte. E' una modernizzazione che elimina relitti inutili (Cnel, province), elimina raddoppiamenti e sovrapposizioni, con i relativi “lacci e laccioli”, costruisce un sistema più capace di decidere, al cui centro sta la Camera dei Deputati, eletta come sempre direttamente e a suffragio universale. Una modernizzazione che andava fatta da tempo e su cui più o meno tutti convenivano (anche Berlusconi, che a suo tempo ne aveva proposta una molto simile). Le opposizioni sono oggi politiche e mirano soprattutto a scalzare Renzi, outsider del sistema politico e soprattutto del vecchio Pd, che non l'ha mai accettato.
Questo è il secondo tema, le conseguenze di una vittoria del No. C'è chi spera nella caduta del governo, soprattutto fra i grillini e i “tifosi” che hanno scelto Renzi come oggetto di odio al posto di Berlusconi. Altri si rendono conto della crisi che si scatenerebbe in questo caso e più modestamente vogliono solo “azzoppare” Renzi, sperando di ritagliarsi qualche chance in più. Ma si tratta di giochi pericolosissimi. Per capire il rischio vi riporto qui di seguito due sondaggi, uno tratto dalla stessa pagina di Termometro politico che ho citato sopra (e definito come “media dei sondaggi al 17 novembre”), la seconda che il Fatto del 12 ottobre attribuisce alla rete 7. Ho sistemato i dati per partito, separando i due sondaggi da una barra: Pd 31,8/30,6; M5S 28,9/31,2; Lega 12,4/11,4; FI 11,8/12,0; FDI 4,1/4,0; SI 3,5/3,7; NCD 3,0/3,0; altri 4,9/4,9. Come vedete sono dati bene assestati, che restano abbastanza costanti a distanza di un mese e anche cambiando fonti.
Che cosa dicono questi sondaggi, rispetto al referendum? Che se vince il Sì a Renzi non conviene cambiare, il governo va avanti come previsto fino al 2018 inoltrato, e nel frattempo le ali di sinistra dentro e fuori il Pd si ridimensionano grazie al risultato (D'Alema per esempio va in pensione in Europa come ha promesso), il processo di riorganizzazione del centrodestra ha il tempo di compiersi, e soprattutto gli elettori hanno il tempo per vedere all'opera i 5 stelle e di scoprire che al di là della protesta non sono assolutamente capaci di governare e per molti versi sono più soggetti all'illegalità dei vecchi partiti, con il probabile risultato di uno sgonfiamento elettorale anche piuttosto completo.
Se invece vince il No, è evidente che il Pd va in crisi, che le lotte interne lo dilaniano, che la vecchia generazione di sinistra cerca di tornare prepotentemente al comando, magari in concorrenza con la nuova sinistra degli Ingroia e dei De Magistris. Il governo difficilmente regge, si cambia rapidamente la legge elettorale e si va a nuove elezioni. Chi approfitta di questa svolta? Non la destra, aspramente divisa come sappiamo fra “populisti” e “liberali”, come sarà anche di più dai probabili risultati delle nuove destre europee. Non il Pd, per le risse che probabilmente lo condannerebbero a una scissione. Chi vincerebbe sarebbero i 5 stelle, che comunque pesano già più di tutta la destra (se se ne potessero sommare i voti). Avrebbero anche l'appoggio dell'estrema sinistra, dentro e fuori il Pd, cui li avrà uniti la campagna referendaria, ma anche l'anticapitalismo d'accatto, il terzomondismo e non ultimo l'odio per Israele. Avremmo insomma probabilmente quel governo Di Battista – Bersani da cui ci ha salvati per miracolo all'inizio della legislatura l'inesperienza dei grillini. Non mancherebbe l'alto patronato di D'Alema, che non ha rinunciato alla presidenza della repubblica, di Grillo, e di tutti gli intellettuali paleocomunisti di cui è ricco il nostro paese. Una catastrofe per l'Italia, la peggiore soluzione possibile.
Ecco, il punto è questo. Chi vota no rifiuta una buona riforma costituzionale e aiuta un governo a guida grillina. E' una responsabilità gravissima che avrebbe conseguenze molto pesanti sull'economia, sulla sicurezza e anche sul tema che ci riguarda direttamente, i rapporti con Israele e il Medio Oriente. Da amica di Israele (almeno al livello della dirigenza politica, lo staff diplomatico e militare è rimasto filoarabo dai tempi di Moro e Craxi), l'Italia diverrebbe la più vociferante sostenitrice del palestinismo, della Fratellanza Musulmana, dell'integralismo islamico in tutte le forme. Anche e soprattutto sul piano politico, dunque, votare sì è una nacessità, un interesse vitale del paese. Chi vota no per antipatia per Renzi ma vorrebbe un'Italia più liberale, più amica di Israele, più capace di innovare e di crescere, fa dunque un errore clamoroso, sceglie il peggio del peggio, il contrario di quel che vuole davvero al posto di una situazione non certo perfetta ma promettente e migliore del passato. Chiedo a tutti di pensarci lucidamente, razionalmente, freddamente. Di lasciare da parte gli slogan a effetto e l'antipatia per attenersi a un'analisi dei fatti. E di conseguenza, di votare Sì.
Ugo Volli