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La Stampa Rassegna Stampa
02.12.2016 Israele, Medio Oriente, Siria e la nuova amministrazione Usa: scenari per il 2017
Francesca Sforza intervista Benny Morris, Francesca Paci intervista l'iraniano-americano Vasi Nasr

Testata: La Stampa
Data: 02 dicembre 2016
Pagina: 15
Autore: Francesca Sforza - Francesca Paci
Titolo: «'Sarà il Medio Oriente il test dell'intesa fra Russia e Stati Uniti' - 'Basta allargamento, l'Europa si concentri sul Mediterraneo'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/12/2016, a pag. 15, con il titolo "Sarà il Medio Oriente il test dell'intesa fra Russia e Stati Uniti", l'intervista di Francesca Sforza a Benny Morris; con il titolo "Basta allargamento, l'Europa si concentri sul Mediterraneo", l'intervista di Francesca Paci a Vasi Nasr, professore iraniano-americano.

Ecco gli articoli:

Francesca Sforza: "Sarà il Medio Oriente il test dell'intesa fra Russia e Stati Uniti"

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Francesca Sforza

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Benny Morris

«Un conflitto tra Putin e Trump in Medio Oriente è possibile», dice Benny Morris, rappresentante di punta dei Nuovi Storici post-sionisti, e in passato più volte accusato, per via delle sue posizioni sui rifugiati palestinesi di essere un agente del nemico o un propagandista dell’Olp. Nei giorni scorsi è intervenuto su Iran e Isis all’evento del Foglio su «Israele, frontiera dell’Europa», ma oltre la minaccia iraniana, su Israele pesa l’incertezza delle future relazioni fra Trump e Putin.

Benny Morris, qual è la traccia impressa da otto anni di amministrazione Obama nei rapporti tra Israele e Stati Uniti?
«Non è facile tracciare un bilancio, di base le relazioni al momento restano buone e il fatto che l’amministrazione Obama abbia firmato un impegno di 4 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni da versare alle forze militari israeliane è il segno che l’America è vicina a Israele. Anche se in molti pensano che l’amministrazione Obama sia stata fragile, io credo di no, è stata buona. Il problema è sulla restituzione dei territori della West Bank, l’attuale governo israeliano non è d’accordo, e questa è la maggiore frattura fra Israele e gli Usa al momento».

Che cosa si aspetta dal nuovo presidente Donald Trump?
«Non so, non è stato chiaro sulle sue intenzioni in politica estera durante la campagna elettorale, non credo che abbia un’idea chiara del Medio Oriente, di Israele e degli altri. Molto dipenderà dai consiglieri di cui si circonderà. Mi giungono voci di un “non-disfavore” nei confronti degli insediamenti israeliani nella West Bank, ma presumo che questa posizione potrebbe cambiare, visto che attualmente la posizione dell’opinione pubblica Usa sugli insediamenti è invece piuttosto critica. Ciò che Trump potrebbe fare, e che Obama non ha fatto, è mettere l’accento sul fatto che i veri nemici della soluzione dei due Stati sono i palestinesi. Obama ha sottolineato gli ostacoli posti da Israele, Trump potrebbe sottolineare la resistenza che fanno i palestinesi a sottoscrivere un accordo con Israele».

Quanto profonda secondo lei è l’influenza della Russia in Medio Oriente?
«La Russia è tornata in Medio Oriente. Se n’era andata nel XIX secolo, con l’indebolimento e la caduta dell’impero russo, ma ora è di nuovo qui, ed è forte. Il suo sostegno al regime di Assad sul territorio siriano ha cambiato il corso delle cose. La relazione di Netanyahu con la Russia è buona, ma vedo una contraddizione tra l’impegno russo in Siria e lo stazionamento di truppe non lontano dal confine israeliano. Al momento non ci sono stati scontri con le truppe israeliane, ma potrebbe accadere. Cosa succederebbe in quel caso?».

Crede che un’alleanza tra Putin e Trump sul conflitto siriano sia possibile?
«E’ vero che Trump ha espresso un certo apprezzamento nei confronti di Putin, considerato un leader forte in opposizione al “debole Obama”, ma è anche vero che Trump si fa portatore di un’idea di America forte, e se quest’ultimo dato dovesse prevalere, allora ci si troverebbe di fronte a un chiaro conflitto di interessi tra un’America forte e una Russia forte. Da una parte Trump è contrario a mandare truppe in Medio Oriente - boots on the ground, come dice lui - dall’altra però non si può pretendere di avere un’America forte se i soldati Usa se ne rimangono a casa loro. E nel caso dovessero arrivare soldati americani in Medio Oriente, un conflitto con gli interessi russi sarebbe inevitabile».

Francesca Paci: "Basta allargamento, l'Europa si concentri sul Mediterraneo"

Non è chiaro che cosa intenda Vasi Nasr con "allargamento dell'Europa". Se si riferisce alla lotta contro il terrorismo islamico, anche con interventi diretti in Medio Oriente, la sua è una posizione in contrasto con la realtà. Il terrorismo è una minaccia sempre più presente anche sul suolo europeo: per vincerlo occorre combatterlo senza sconti. E non essere soprattutto - come lui è- la longa manus degli hayatollah iraniani in USA. Si veda il nostro commento del 20 novembre scorso.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=64468

Ecco l'intervista:

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Francesca Paci

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Vasi Nasr

L’Iran, il mondo arabo, la Turchia e l’ombra vorace di Mosca che si allunga su tutta la regione. «Finora l’Europa si è concentrata solo sul suo allargamento ma ormai non può più evitare il maggiore dei problemi, il Mediterraneo», nota Vasi Nasr al margine dei Mediterranean Dialogues, il forum organizzato dalla Farnesina e l’Ispi con la partnership de «La Stampa». Da lì passano le crisi e le sfide dei prossimi anni.

Attraverso il suo impegno in Siria la Russia sta guadagnando terreno. Riuscirà a convincere il neo presidente Usa Trump che mantenere in sella Assad è l’unica chance?
«La permanenza di Assad al potere è un dato di fatto. Su questo Putin non ha solo forti argomenti militari da portare a Washington ma anche politici. Chi potrebbe garantire l’ordine in Siria se non lui? Gli arabi non mi paiono in grado di controbattere. In più quando Trump si insedierà la questione di Aleppo est sarà chiusa alla maniera cecena».

Forse però la Turchia qualcosa da controbattere ce l’ha. O no?
«Anche la Turchia è obbligata a fare i conti con la Russia. Putin l’ha detto chiaro a Erdogan, deve scegliere tra i curdi e la cacciata di Assad. E credo che Erdogan non abbia dubbi, il suo scopo è bloccare il progetto curdo. Temo che il sogno della Patria per cui i curdi si battono contro l’Isis resterà tale. Erdogan continuerà a tuonare contro Assad perché si è speso troppo in questi anni ma non farà nulla, come non sta facendo nulla per impedire la caduta di Aleppo».

Esiste il ragionevole dubbio che la sopravvivenza di Assad non riporti la pace in Siria. Perché Putin non passa all’incasso subito sganciandosi per tempo?
«L’equilibrio delle forze regionali è cambiato. Assad è un dittatore sanguinario come Milosevic ma la bilancia pende ormai dalla parte di chi lo sostiene. Inoltre Putin non ha remore morali, gioca la sua partita, spianerà Aleppo come Grozny e lascerà l’Europa e la Turchia ad occuparsi delle decine di migliaia di profughi. Non m’immagino Trump che aumenta l’impegno militare Usa per contenerlo e comunque quando s’insedierà la storia dell’assedio di Aleppo sarà un ricordo. Gli arabi non possono farci nulla, sono deboli. Assad resterà e Putin avrà vinto».

È stato tra i primi a parlare di un nuovo asse militare tra Mosca e Teheran. Sta funzionando?
«Per ora sì. La Russia e l’Iran si battono dalla stessa parte in Siria e il loro coordinamento militare è assai più diretto di quello tra Putin e la coalizione a guida Usa. A questo punto l’Europa e gli Stati Uniti devono decidere cosa sia più minaccioso, Mosca o Teheran. L’America finora ha tenuto l’Iran in un quadro diverso ma lo scenario sta cambiando. Se Trump assumesse posizioni dure contro l’accordo nucleare spingerebbe l’Iran tra le braccia di Putin».

Crede che la politica estera di Trump sarà quella tratteggiata in campagna elettorale, a partire dalla nuova linea anti Iran?
«Per quanto siamo ancora ai preliminari le sue prime nomine suggeriscono un’inclinazione a fare quanto ha detto. Penso al ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale dato all’ex generale Flynn, uno molto soft con Russia e Turchia ma durissimo con Teheran. Inoltre Trump canalizza la rabbia di quella parte di partito repubblicano ostile all’accordo nucleare e assai contraria a raccogliere qualsivoglia eredità di Obama. Il punto vero però è che Trump non è ideologico, è un affarista che valuta sempre quant’è il guadagno possibile. Credo che sull’Iran la voce dell’Europa, della Russia e della Cina avranno un peso importante».

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