Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/11/2016, a pag. 3, con il titolo "A Berlino, Gentiloni apre a un'intesa Trump-Putin", l'analisi di Daniel Mosseri.
Giuste le parole di Gentiloni su Trump: è opportuno attendere e vedere ciò di cui sarà capace prima di giudicare. Sulla politica migratoria invece Gentiloni concorda completamente con la politica del governo tedesco, cioè di un'apertura indiscriminata i cui frutti si sono già raccolti nei molti attentati sul suolo europeo.
Ecco l'articolo:
Daniel Mosseri
Paolo Gentiloni
Berlino. L’accordo è sul 2016 “annus horribilis” ma non irrecuperabile, e sulle migrazioni. Su tutto il resto, però, Paolo Gentiloni e il suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier parlano con accenti diversi: da Trump a Putin passando per la difesa comune europea le visioni dei due paesi non sono coincidenti. Lo scambio di vedute è avvenuto al Berliner Forum Aussenpolitik, tradizionale appuntamento autunnale sui temi della politica estera organizzato dalla Körber-Stiftung, fondazione di area liberale con base ad Amburgo. Sull’elezione di Trump Gentiloni sospende il giudizio spiegando che “è troppo presto” per valutare quale via il presidente eletto vorrà seguire in politica estera. Come sente il nome del successore di Obama, invece, Steinmeier si fa scuro in volto.
“Le relazioni transatlantiche”, spiega, “sono la base dell’occidente e vanno curate. Speriamo che negli Stati Uniti prevalga la stessa lettura”. Il politico socialdemocratico non è il solo dirigente europeo che avrebbe preferito la vittoria di Hillary Clinton, tuttavia è forse l’unico ministro degli Esteri che in piena campagna presidenziale ha definito il magnate repubblicano “un predicatore d’odio”. Dalla Casa Bianca al Cremlino il passo è breve e Gentiloni afferma che di fronte al rapporto fra Stati Uniti e Russia, “Frank-Walter e io abbiamo la stessa posizione: uniti ma dialoganti”. Se è vero che, da bravo socialdemocratico, Steinmeier preferirebbe un approccio più soft con la Russia, è anche vero che FrankWalter è il ministro degli Esteri di Angela Merkel. Della cancelliera, cioè, che al Consiglio europeo di fine ottobre ha cercato di inserire l’espressione “nuove sanzioni” contro la Russia nel documento finale del summit al paragrafo relativo alla guerra in Siria.
E’ stato dunque Renzi a rompere le uova nel paniere franco-britannico-tedesco mettendosi alla testa di un gruppetto di frondisti contrari ad alzare i toni con Mosca. Risulta poi difficile immaginare grandi aperture filorusse da parte di Steinmeier di qui al prossimo febbraio: il 12 di quel mese il Bundesversammlung (i deputati del Bundestag più un pari numero di delegati dei Länder) si riunisce per eleggere il successore di Joachim Gauck e la Cdu di Merkel ha deciso che farà convergere i suoi voti sul ministro degli Esteri candidato dall’Spd. Una scelta sensata e interessata: Merkel si libera di un fastidioso concorrente per la cancelleria e l’Spd in calo di voti guadagna per sé la carica più alta, strappata solo due volte dal Dopoguerra a oggi.
Svincolato da imminenti incarichi presidenziali, Gentiloni ha invece parlato senza peli sulla lingua: “Se (negli Stati Uniti, nda) c’è un’apertura verso Mosca, io sono contento. Tanto più perché chi ci contestava (l’approccio con la Russia, nda) erano proprio i Repubblicani. Io – ha ribadito – non sono preoccupato di una possibile alleanza fra autoritari. E’ un pericolo che non vedo”. Traduzione: noi abbiamo metabolizzato l’elezione di Trump, adesso tocca a voi.
Lo Ja di Schäuble al referendum italiano
Sulle migrazioni Gentiloni ha invece sposato la linea tedesca: “Spero che la calma relativa nel Mediterraneo orientale prosegua e che le tensioni con la Turchia non portino a conseguenze serie sull’accordo sui migranti raggiunti a marzo”. Quanto agli arrivi dal quadrante centrale del Mare Nostrum, “vedo una consapevolezza della necessità di fare presto negli accordi con alcuni paesi africani. Ci sono risorse aggiuntive, oltre a quelle di Bruxelles, che verranno stanziate dall’Italia dalla Germania e dalla Francia. Faremo una proposta comune per questi paesi, in particolare per il Niger”. A ravvivare il dibattito italo-tedesco è poi intervenuto il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble con un netto “se potessi, voterei Sì al referendum in Italia”. Un endorsement i cui effetti, in Italia, sono quantomeno da ponderare.
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