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La Repubblica Rassegna Stampa
26.11.2016 Yehoshua: non chiamatela intifada del fuoco
Intervista di Francesca De Benedetti

Testata: La Repubblica
Data: 26 novembre 2016
Pagina: 15
Autore: Francesca De Benedetti
Titolo: «Israele è in fiamme ma non chiamatela Intifada del fuoco»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/11/2016, a pag.15, con il titolo " Israele è in fiamme ma non chiamatela Intifada del fuoco" l'intervista a A.B.Yehoshua di Francesca De Benedetti.

Se l'augurio che A.B.Y. esprime alla fine dell'intervista " dare piena cittadinanza ai palestinesi, rendere tutti uguali di fronte alla legge", allora si deve prendere atto del suo notevole cambiamento di posizione. Più che qualcosa da realizzare, raggiungere, basta constatarlo, in Israele di fronte alla legge tutti i cittadini sono uguali. Diverse sono le tradizioni, i costumi, le regole che governano la società, difficile andare d'accordo tra chi vive secondo regole democratiche e chi invece ubbidisce a una religione che vuole i cittadini sottomessi.

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A.B.Yehoshua        Francesca De Benedetti

Una colonna di fumo taglia Israele. Il fuoco ha attraversato Haifa per poi lambire Gerusalemme. Quattro giorni di incendi, 80mila sfollati, una dozzina di arresti e l'ombra di una nuova Intifada: la "Eshtifada", l'Intifada del fuoco. Il primo ministro Benjamin Netanyahu parla di «atto di terrorismo». «La terra, la terra. Qui in Israele la Storia e le tensioni passano sempre sul corpo della terra», dice il grande scrittore Abraham Yehoshua. Lui conosce bene ogni angolo di quella terra arsa: è nato a Gerusalemme, da dove ci risponde, e ad Haifa insegna all'Università. Siamo di fronte a una nuova Intifada? «La polizia parla di casi di incendio doloso, il primo ministro dice che i piromani sono terroristi. Io attendo di aver chiari tutti gli elementi e invito a mantenere calma e lucidità. Mi sembra troppo presto per incolpare i palestinesi di tutti questi incendi, o per parlare di nuova Intifada. Non significa che io sia sereno, quando penso alla situazione in Israele. Anzi, vivo nel rimpianto ormai. Dopo cinquant'anni ho perso molte delle mie speranze di pace per questa terra. Ora che da due mesi ho perso anche la mia amata moglie, la disperazione mi attraversa. Fatico a parlare». Netanyahu vede la mano palestinese dietro il susseguirsi di incendi. Che cosa ne pensa? «Che non ci sono ancora abbastanza elementi per valutare, ma è plausibile che molti roghi abbiano causa naturale. Il meteo, l'arsura, mesi senza una goccia di pioggia, un caldo che colpisce noi così come l'Italia o la Grecia, le pinete che prendono fuoco immediatamente: dobbiamo considerare tutti questi fattori con molta attenzione prima di affrettarci a gettare la colpa sugli arabi. Del resto i roghi hanno colpito anche le terre abitate dai palestinesi, e poi bisogna dare atto agli arabi di stare mostrando grande solidarietà. Offrono ospitalità alla gente di Haifa che ha perso la casa». Crede quindi che il primo ministro abbia tratto conclusioni affrettate? «Sarebbe opportuno da parte sua usare cautela, anche per evitare autogol. Sa, se davvero ci sono dietro elementi terroristici, io da cittadino mi chiedo: perché il governo, la polizia, i servizi segreti non hanno saputo prevenire e proteggere?». Un anno fa è esploso il caso dell'Intifada dei coltelli, ora c'è chi già battezza i roghi l'Intifada del fuoco. Non c'è pace? «Bombe, coltelli, pistole o forse fuoco, è chiaro che conosciamo sin troppo bene, da tempo, il prezzo del risentimento e del terrorismo. Ma negli ultimi dieci mesi abbiamo attraversato una fase relativamente tranquilla, meno sanguinosa e tesa del solito. Non mi farei prendere dalle "fiamme" e aspetterei prima di parlare di escalation». I contenziosi sull'acqua, ora i roghi. Questi episodi sono il segno che il conflitto in Israele tocca anche le risorse? «La terra, la terra. In Israele tutto ha a che fare con la terra: gli insediamenti, le tensioni. Ogni particella della nostra Storia ha sempre a che fare con questo elemento: la terra». Lei parla di mesi di relativa pace. Crede che le tensioni tra israeliani e palestinesi potranno sciogliersi? «Non farò la parte dell'ottimista: non lo sono, ormai. Ho passato cinquant'anni a credere fermamente che la soluzione dei due Stati fosse possibile. Sa cosa mi rimane di tutta questa speranza?». La disillusione? «Un grande rimpianto e la dura accettazione della realtà. Per la soluzione delle due nazioni è ormai davvero troppo tardi: è uno scenario impossibile. Da una parte c'è Israele, con i suoi insediamenti. Dall'altra, ci sono le responsabilità palestinesi: si sono rifiutati di negoziare, lo trovo grave. E poi, le pressioni internazionali sono troppo deboli. Con il cambio al vertice negli Usa, sarà pure peggio». Dice che l'elezione di Trump non sarà d'aiuto? «Obama non ha fatto nulla, anche se almeno ci ha provato. Su Trump non farò previsioni: da scrittore le dico che mi pare un personaggio romanzesco». Cosa si aspetta dal suo governo ora? «Vedo solo una via d'uscita: dare piena cittadinanza ai palestinesi, rendere tutti uguali di fronte alla legge. Solo così potremo smorzare i "veleni" dell'occupazione. Magari non risolveremo i problemi alla radice, ma almeno avremo tolto benzina ai "fuochi" della rabbia».

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